Ambiente
Una tassa per il clima
A lato della conferenza mondiale sui cambiamenti climatici, in Europa prende corpo l’ipotesi di far pagare le emissioni a settori finora esclusi dal conteggio La strada verso la riduzione delle emissioni di CO2 è lastricata di buone intenzioni. Mentre a…
A lato della conferenza mondiale sui cambiamenti climatici, in Europa prende corpo l’ipotesi di far pagare le emissioni a settori finora esclusi dal conteggio
La strada verso la riduzione delle emissioni di CO2 è lastricata di buone intenzioni. Mentre a Copenhagen i Paesi Onu si riuniscono per discutere un nuovo accordo per frenare i cambiamenti climatici (dal 7 al 18 dicembre, vedi Ae 110), in vista della scadenza del Protocollo di Kyoto, Bruxelles analizza la possibilità di istituire una carbon tax, una tassa minima sui gas climalteranti che dovrebbe entrare in vigore nel 2013 e colpire le emissioni di famiglie, trasporti e piccole e medie imprese. Di quegli ambiti che, pur esclusi dall’Emission Trading Scheme (Ets), il meccanismo di monitoraggio e scambio di “diritti di emissione” che riguarda i grandi soggetti industriali (11mila in Europea, circa 700 in Italia, vedi Ae 102), sono responsabili in media di oltre la metà delle emissioni di CO2 dei Paesi europei.
Nel nostro Paese, ad esempio, i settori esclusi dall’Ets emettono 330 milioni e 450mila tonnellate di CO2, il 50 per cento in più rispetto ai settori soggetti all’Emission Trading Scheme (220 milioni e 300mila tonnellate) secondo una stima della società di consulenza Althesys.
Se l’Italia applicasse una carbon tax, seguendo l’esempio degli altri Paesi europei che l’hanno già fatto (la Danimarca, la Norvegia, la Finlandia, la Svezia e, per ultima, la Francia, dal 2011), lo Stato potrebbe incassare, ogni anno, tra i 5,6 e i 35,7 miliardi di euro. I conti li fa Althesys, in base al prezzo fissato per ogni tonnellata di emissioni di CO2 in Francia (17 euro/t) e Svezia (108 euro/t).
“È urgente che residenziale, trasporti, commercio e terziario riducano le proprie emissioni, e siccome nemmeno dopo il 2012 verranno inclusi nell’Emission Trading Scheme, un’altra forma di tassazione è auspicabile” spiega Marzio Galeotti, che insegna Economia dell’ambiente e dell’energia a Scienze politiche a Milano e ha collaborato con l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc).
La carbon tax, spiega, “è uno strumento economico di politica ambientale, la cui efficacia dipende dall’aliquota. All’inizio può essere bassa, per garantirne l’accettabilità politica, ma dev’essere previsto e prevedibile un inasprimento progressivo”. Come in Svezia, dove in meno di 20 anni il contributo è quadruplicato -da 27 euro per ogni tonnellata agli attuali 108- e le emissioni sono calate del 9%. La finalità della tassa è, ovviamente, “far pagare il costo dell’inquinamento prodotto. ‘Alterare’ i prezzi alternativi delle risorse energetiche, rendendo più care quelle fossili. Ricondurre i costi degli effetti dannosi e nocivi per il clima che le emissioni provocano a coloro che ne sono responsabili.
Pensiamo, ad esempio, a un’ondata di calore straordinaria come quella dell’estate 2003, che ha provocato morti e costi ospedalieri che sono ricaduti sulla collettività”. La certezza delle pena, pecuniaria, dovrebbe convincere costruttori edili ed inquilini, gestori di centri commerciali, compagnie aeree e automobilisti a prestare attenzione alla propria efficienza energetica. In Italia, però, il dibattito è ancora ingessato: siamo fermi alla Finanziaria del 1999, quando l’allora ministro dell’Ambiente Edo Ronchi aveva introdotto una sorta carbon tax “che gravava sull’anidride carbonica generata dai diversi combustibili -come spiega Galeotti in un articolo pubblicato da lavoce.info- commisurato alla quantità di gas emesso, con lo scopo di contenere progressivamente la produzione di gas-serra”. “Una proposta affossata dalla resistenza dell’industria e dal centrodestra, che era contrario” dice oggi Galeotti. “Dobbiamo far passare l’idea che siamo di fronte ad un doppio dividendo -conclude Galeotti-, per l’ambiente e la collettività”. Ad esempio tassando l’energia e utilizzando gli introiti per detassare il lavoro dipendente o premiare i più virtuosi, come faranno in Francia.