Ambiente
Un Nobel contro il fracking
Intervista a Jonathan Deal, ambientalista, autore e fotografo del Karoo, regione dell’entroterra sudafricano, ha vinto il Goldman Environmental Prize 2013 per il suo impegno contro la tecnica del fracking per l’approvvigionamento di shale gas. Tra gli altri premiati, l’italiano Rossano Ercolini (qui in una video-intervista esclusiva per Ae, che anticipa un’ampia intervista sul numero di maggio della rivista)
Sul palco del prestigioso “Goldman Environmental Prize 2013” -conosciuto come il Nobel alternativo per l’Ambiente-, insieme all’italiano Rossano Ercolini c’era anche Jonathan Deal, ambientalista, autore e fotografo del Karoo, regione dell’entroterra sudafricano.
Deal, presidente del TKAG (Treasure Karoo Action Group) -organizzazione no-profit fondata nel 2011 “da un gruppo di gente comune in una fattoria fuori da Graaff-Reinet”- ha ricevuto l’ambito riconoscimento per il suo impegno e la sua lotta quotidiana contro il fracking, la tecnica di fratturazione idraulica applicata dalle compagnie petrolifere per l’estrazione di shale gas.
Abbiamo intervistato Jonathan Deal subito dopo l’assegnazione del “Goldman Environmental Prize 2013”, e qualche ora prima il suo incontro con il presidente americano Barack Obama.
Innanzi tutto, complimenti per l’ambito riconoscimento. Come ci si sente a ricevere un premio così importante?
Il premio è un’occasione per creare alleanze, nuove sinergie e raccogliere contatti “influenti” che io non ho mai avuto. Il Premio Goldman è sinonimo di opportunità, come quella di incontrare il presidente Obama in persona. Dedico questo riconoscimento ai Sudafricani.
Un premio per la lotta contro il fracking. Quando e perché hai iniziato ad occupartene?
Ne sono rimasto coinvolto nel 2011, quando ho letto sui giornali che la Shell aveva pianificato di usare il fracking in Sudafrica. Una tecnica mineraria che provoca impatti sopra e sotto terra. Esistono seri rischi di una contaminazione dell’acqua nelle falde idriche sotterranee, particolarmente in una nazione dove l’acqua sotterranea è l’unica fonte di approvvigionamento.
Il Karoo (regione particolarmente arida), ad esempio, riceve circa 6 pollici (15,24 cm) di pioggia media annua, paragonati ai 60 pollici (152,40 cm) della Pennsylvania. In superficie, invece, sono incommensurabili i danni agli eco-sistemi, alla salute pubblica a causa dello smaltimento di rifiuti pericolosi e radioattivi, danni alle strade, all’atmosfera, inquinamento luminoso e acustico, l’effetto del fracking sul dislocamento di attività come l’agricoltura ed il turismo e i danni agli eco-sistemi naturali.
Sei stato testimone di un evento particolare in aree in cui lo shale gas viene estratto utilizzando la fratturazione idraulica?
Attualmente sto documentando i siti di fracking in Pennsylvania. E sono in procinto di visitare anche il Colorado, il Texas e la Virginia, in un tour che comincerà a breve.
Impatti sull’ambiente devastanti. Ma, dal punto di vista economico quali benefici hanno dal fracking le compagnie petrolifere?
Quello delle aziende è un punto di vista a breve termine. Tutto e subito. Parliamo di 2-3 decenni e dopo di che non se ne occuperanno più. Attualmente negli Stati Uniti d’America esistono molti pozzi completati che sono chiusi, perché il prezzo del gas per metro cubo è così tanto basso che va, addirittura, al di sotto del loro punto di pareggio.
Negli Stati Uniti il livello di attenzione sul fracking è alto. In Europa alcuni Paesi lo stanno mettendo in discussione. In Italia, al contrario, se ne parla poco. Secondo te perché? È solo una questione di informazione?
La risposta è nella “pubblica percezione” che viene guidata dall’informazione. Grazie alle proprie risorse l’industria petrolifera e gasiera, e le amministrazioni controllano i media. Li dominano. In Sudafrica siamo stati fortunati a lavorare bene con i media e siamo riusciti a creare una posizione internazionale. Per questo penso che il dibattito sul fracking sia una lotta globale. Va combattuto globalmente da parte di un gruppo coordinato di attivisti e da persone che sono preoccupate dalla prosperità a lungo termine delle proprie nazioni. Noi l’abbiamo iniziata e la porteremo avanti . Credo si abbiano possibilità di fermarlo là dove non è stato ancora iniziato, anche negli Stati Uniti, e limitandolo lì dove si sta già attuando.
In Italia le compagnie petrolifere hanno piani ingegneristici secretati. Pensi sia necessario renderli pubblici?
Sì, le tecniche utilizzate dovrebbero essere assolutamente svelate.
Una nota di colore. Negli ultimi mesi si è parlato del film “Promised Land” diretto da Gus Van Sant e con protagonisti Matt Damon e John Krasinski. Cosa ne pensi?
Penso che il film sia stato importante nel rendere più pubblica l’istanza, ma “The Sky is Pink” di Josh Fox su You Tube è migliore.
Qualche giorno dopo la nostra intervista, Jonathan Deal -particolarmente ispirato dall’incontro avuto con il presidente Obama- ci ha informato che a Washington, subito dopo la cerimonia di premiazione del “Goldman Environmental Prize 2013”, Darcey O’Callaghan -Direttore Internazionale del gruppo ambientalista “Food&Water Watch (FWW)”– ha accettato dalla Treasure Karoo Action Group una bandiera del Sud Africa.
Lo scambio simbolico di bandiere è parte di un’iniziativa tra Deal e l’Americans Against Fracking (AAF), una rete di organizzazioni che rappresentano coloro che si oppongono all’attività estrattiva di shale gas, e che annovera tra i suoi consiglieri personalità quali Josh Fox (produttore di Gasland), la cantante Natalie Merchant, l’attore Mark Ruffalo e più di 200 realtà associative che rappresentano collettivamente milioni di persone contrarie al fracking. “Si tratta di una semplice benché efficace consolidazione delle immense risorse nelle mani dei gruppi globali anti-fracking che può essere firmato anche dai singoli”.
Un’iniziativa che va a consolidare ulteriormente la “strategia multidimensionale” dell’organizzazione presieduta da Deal, comprendente tre obiettivi specifici: mantenere una conoscenza peritale e aggiornata degli sviluppi internazionali del fracking; fare uso dei forum pubblici e dei media; usare ogni mezzo legale, ivi incluso intentare cause, per proteggere le persone e l’ambiente.
Il TKAG (Treasure Karoo Action Group), gestito da un team esecutivo di volontari che si riunisce ogni settimana a Cape Town, combatte qualsiasi tentativo di far avanzare l’estrazione di shale gas in Sudafrica, opponendosi alla mancanza di un adeguato processo di consultazione pubblica, all’imperfezione dei piani di gestione ambientale e all’assenza di una struttura normativa adeguata. Al di là del Nobel alternativo per l’ambiente, il TKAG ha già ricevuto diversi riconoscimenti: nel maggio del 2011 documenta insieme all’Autorità per le norme pubblicitarie un reclamo dettagliato concernente gli spot ingannevoli e le dichiarazioni attraverso i media della Shell. L’Autorità per le norme pubblicitarie del Sudafrica giudica colpevole la Shell in quattro cause dopo il reclamo. Fu ordinato loro di ritirare i propri messaggi pubblicitari.
Il 9 gennaio del 2012, invece, l’Alta Corte del North Gauteng ha consentito al TKAG l’accesso alle informazioni riguardanti il gruppo di lavoro sul fracking che il ministro Shabangu ha incaricato per studiarne effetti ed implicazioni.
Si ringrazia per la collaborazione Francesco Giannatiempo