Opinioni
Un Leviatano sordo alle esigenze del Paese
Lo Stato "cresce", mentre l’Italia sta vivendo una progressiva estinzione: a dispetto di ogni idea di federalismo, e annichilendo le autonomie locali, le scelte fondamentali vengono sempre più centralizzate. Tra gli effetti di questa dinamica c’è la progressiva erosione di porzionii crescenti del welfare, mentre il lavoro è scomparso
L’Italia sta vivendo una progressiva estinzione, mascherata da una surreale discussione sulle sorti di vecchi e nuovi leader. Sta sparendo il lavoro, soprattutto quello buono, con una disoccupazione al 12,5 per cento, ma in realtà ben più alta e vicina ai livelli delle crisi più nere degli anni settanta.
Stanno sparendo i consumi, con un’inflazione crollata allo 0,7 per cento su base annua nonostante l’aumento dell’Iva. Abbiamo gli stessi dati della fase più cupa dell’economia nazionale, peraltro senza avere i prezzi esplosivi di allora.
Sta lentamente esaurendosi la capacità di risparmio delle famiglie, che ha costituito nel tempo un formidabile ammortizzatore sociale, e stanno sparendo gli ammortizzatori sociali “reali”, non ancora finanziati nonostante le manovrine e le cifre messe nellla Legge di stabilità.
Sta sparendo ogni traccia di certezza per i contribuenti, alle prese con continui annunci di nuove imposte e ancora ignari su cosa dovranno pagare da qui a fine anno.
Stanno sparendo le politiche industriali per lasciare spazio a singolari escamotage, come l’acquisto di quote di Alitalia da parte delle Poste o come il ricorso a Cassa depositi e prestiti per ogni iniziativa di salvataggio o di iniezione di liquidità. In questo senso il risparmio postale, sempre più in affanno, pare restare l’unica risorsa pronta cassa del Paese.
Tra gli escamotage si può collocare l’idea di accelerare i tempi della rivalutazione delle quote dielle banche italiane in Bankitalia per fare cassa sulle plusvalenze: l’organo di vigilanza bancaria diventerebbe così ancora più bancocentrico. Soprattutto sta svanendo lo Stato che non c’è, in primis perché dispone di un Parlamento incapace di far funzionare la macchina amministrativa e costretto dalle sue insufficienze a delegare alla burocrazia i propri compiti di indirizzo: avviene così che ogni atto si riduce a una operazione contabile, volta prima di tutto a tutelare ministeri e amministrazioni centrali come dimostrano proprio i numeri degli ultimi anni.
In tale ottica, la burocratizzazione del potere determina un centralismo senza una dimensione statuale della politica. Il Parlamento non crede nel governo, il governo annaspa quotidianamente e lo Stato diventa un’amministrazione che centralizza in nome di ragioni contabili conservando pressoché solo le poste di bilancio che permettono la sopravvivenza del centro, a discapito delle molteplici "periferie" istituzionali.
Questa dinamica è certo favorita dalle nuove procedure imposte dall’Europa a cui bisogna spedire una programmazione finanziaria solida e dunque fondata su tagli che per essere efficaci non devono essere democratici, devono cioè essere decisi dal centro, dallo Stato centrale.
Ma uno Stato centrale senza un Parlamento sovrano e con un governo costretto a equilibrismi semantici e narrativi tende a diventare una amministrazione burocratica autoreferente, distante dalle grandi crisi sociali e dal lamento dei territori, degli enti locali lasciati soli con le loro comunità. Si possono ipotizzare 400 milioni di euro per l’istruzione, ma se mancano le risorse per la mautenzione di scuole e asili, anche tali cifre, decisamente utili, rischiano di risultare vane.
Si assiste, in nome del centralismo burocratico, alla progressiva erosione di porzionii crescenti del welfare, soprattuto a partire dalle vertenze disseminate nel Paese, e di pezzi interi delle istituzioni, come le provincie -ormai svuotate di ogni reale risorsa e quindi inutilmente tenute in vita-. Peraltro, il centralismo senza politica tende ad indurre centralismi regionali, animati dalla volontà delle singole Regioni di definire un proprio perimetro di intervento, anche normativo, per supplire alla deriva di uno Stato burocratico che toglie risorse avocando a se decisioni ma non la loro traduzione in atto. Lungo questa strada la crisi della politica produce crescenti fratture, snaturando le relazioni istituzionali e finendo per generare un Leviatano sordo alle esigenze del Paese reale. Di burocrazia si può morire, soffocando.
* Università di Pisa