Esteri
Un baco per i libri di storia – Ae 83
Le teorie complottiste sull’11 settembre dimostrano come sia semplice manipolare le informazioni e le passioni umane. E persino la storia Pubblichiamo l’introduzione all’edizione italiana del libro “11 settembre. I miti da smontare”, pubblicato da Altreconomia/Terre di mezzo Editore e disponibile…
Le teorie complottiste sull’11 settembre dimostrano come sia semplice manipolare le informazioni e le passioni umane. E persino la storia
Pubblichiamo l’introduzione all’edizione italiana del libro “11 settembre. I miti da smontare”, pubblicato da Altreconomia/Terre di mezzo Editore e disponibile in libreria e nelle botteghe del mondo (216 pag., 14 euro). È la versione approfondita dell’inchiesta giornalistica condotta negli Usa da Popular Mechanics. La traduzione è curata da Paolo Attivissimo e dal gruppo di ricerca Unidisettembre.
La prima volta che ci misurammo con la verità sull’11 settembre fu quasi per gioco. Era il 2002, non era passato ancora un anno dall’attentato al World Trade Center di New York e in rete aveva fatto la sua comparsa un sito con una teoria un po’ strampalata: l’11 settembre 2001 il Pentagono non sarebbe stato colpito da uno degli aerei di linea dirottati dai terroristi ma, forse, da un missile. La segnalazione ci era giunta
in redazione via mail.
Scaricammo dalla rete il materiale e ci documentammo sull’autore del sito, il francese Thierry Meyssan. A una rapida verifica e comparazione con quanto allora sapevamo, le teorie di Meyssan ci apparvero fantasiose e non sostenibili; ci colpì già allora l’uso disinvolto dei documenti e delle fonti, utilizzate solo là dove servivano a confermare la tesi dell’autore e non prese in considerazione nella loro globalità. Usammo però le foto e il sito di Meyssan per un corso che allora ci avevano chiesto di tenere in alcune scuole superiori dell’alto milanese; tema l’informazione e, in particolare, l’informazione alternativa. Preparammo una serie di diapositive e mostrammo ai ragazzi le immagini di Meyssan illustrando le sue prove. Usammo, per il trasferimento dei dati, dei floppy disk. Sembra passato un secolo. Il ricordo dell’11 settembre era ancora ben presente: tutti quei ragazzi, come noi, avevano visto e rivisto le immagini degli aerei che si schiantavano sul World Trade Center, le torri che crollavano su se stesse, i pompieri, lo sgombero delle macerie di ground zero che andò avanti per mesi; centinaia di ore di trasmissioni tv, di testimonianze, di inchieste. Insomma, i fatti, quasi in presa diretta. Vero che, invece, dell’aereo sul Pentagono (come d’altra parte del volo United Airlines 93 che si era schiantato in Pennsylvania) si era parlato di meno. Quello che accadde quel pomeriggio con quei ragazzi ci sorprese e ci sgomentò. Pur essendo contemporanei dei fatti narrati, quasi testimoni, essi si lasciarono affascinare subito dalle tesi di Meyssan e incominciarono a discuterne, non più a partire da ciò che conoscevano ma invece sulla base delle tesi complottiste.
Erano caduti nella trappola con una facilità sconcertante. Ricordiamo che quando mostrammo le manipolazioni di Meyssan restarono un po’ delusi. Noi quel giorno ci sentimmo di avere assolto al nostro compito: l’informazione alternativa è, per noi, quella che tenta di verificare sempre le notizie e le fonti prima di rilanciarle e di fare da megafono a qualsiasi tesi.
Con l’esempio dell’aereo sul Pentagono avevamo tentato di dimostrare ai ragazzi quanto fosse facile cadere nei tranelli dell’informazione (alternativa o ufficiale non importa) e quanto fosse importante conservare la propria capacità di giudizio critico. Tornammo in redazione con una sensazione nuova: che quello a cui avevamo assistito poteva essere l’inizio di un “baco” che, da lì in avanti, avrebbe potuto riempire i libri di storia e distrarre dalla verità. Capimmo, allora, come potevano essere nate le teorie negazioniste sull’Olocausto. Ne conoscevamo la forza e l’impossibilità di sradicarle dalla storiografia comune.
Una menzogna che si autosostiene e si perpetua. Avevamo assistito a qualcosa del genere, alla nascita di una grande menzogna. Ma perché si operano questo genere di manipolazioni, e a chi giovano? Le risposte per noi erano due. Da un lato avevamo a che fare con quelle che, nei nostri corsi, chiamavamo “le notizie attese”: notizie che si radicano nei nostri cuori, e probabilmente nelle nostre paure, nel timore che al peggio non ci sia mai fine; non siamo disposti a credere a un dio, ma a un “grande vecchio” che manipola la storia -e così però ai nostri occhi finisce col dare senso e coerenza a tutto quanto accade- questo sì. Dall’altro lato -e per noi di Altreconomia era molto chiaro- tutto questo poteva diventare un grande affare commerciale. Decidemmo di dedicare una piccola inchiesta a Meyssan. Era il nostro modo di opporci alla menzogna che avevamo visto nascere. Eravamo nella primavera del 2002. Era davvero l’alba dei complottisti. Poi ne avrebbero parlato in molti, colleghi giornalisti ed esperti di tutte le razze. Scoprimmo che Meyssan nel frattempo aveva scritto un libro e che questo libro era in cima alle classifiche di vendita in molti Paesi. Sarebbe stato così anche in Italia.
Scrivemmo tutto questo nel numero di ottobre di Altreconomia. Ci sembrava importante documentare per i nostri lettori quanto stava accadendo: non ci importava tanto la verità storica dell’attentato alle Torri Gemelle, ma la facilità con la quale le menzogne entrano nel nostro sapere quotidiano. Accade così per i grandi fatti dell’economia, per cui non sappiamo più riconoscere il vero dal falso e tutto finisce con l’assomigliare a una grande melassa superiore a qualsiasi nostra capacità di giudizio; diventiamo incapaci di riconnettere i fatti in catene di cause ed effetti, e restiamo preda dei grandi affabulatori di turno.
Erano mesi caldi. Venivamo dall’esperienza del G8 di Genova (luglio 2001): era morto un ragazzo, avevamo seguito il vertice in ogni sua piega, eravamo stati in mezzo ai manifestanti, testimoni della guerriglia dei black bloc
e delle cariche di carabinieri e polizia. Non conoscevamo le strade, ma le avremmo conosciute nei mesi successivi, una per una, quasi metro per metro. Stavamo lavorando allora sulla ricostruzione di quanto era accaduto in quei pochi giorni: due anni di lavoro intenso per un libro-inchiesta (Carlo Gubitosa, “Genova nome per nome”, Terre di mezzo Editore, 2003) di 600 pagine. Sapevamo quanto era complessa la verità, e come essa fosse già diventata una ricostruzione mitologica ad uso delle parti. Le forze dell’ordine da un lato, i manifestanti dall’altro. I miti.
Ecco, forse questo -erano in fondo gli stessi mesi- oltre al nostro mestiere, ci aveva reso più sensibili, anche più vulnerabili, rispetto a quanto avveniva a proposito dell’11 settembre. Ma quello che allora non avremmo immaginato era che le teorie complottiste si sarebbero estese anche all’evento più noto e più tragico di quell’11 settembre, le Torri Gemelle. Avremmo dovuto arrivarci: le tesi di Meyssan infatti possono stare insieme soltanto se tutto ciò che è accaduto in quel giorno viene rimesso in discussione. Ci hanno messo cinque anni per imporre alla discussione la loro verità. Nell’autunno 2006 anche in Italia il dibattito su ciò che è accaduto “veramente” l’11 settembre ha raggiunto il culmine. O almeno speriamo che sia così, e che la marea, da qui in avanti, si ritiri. Ma nel 2006, attorno alla data dell’anniversario degli attacchi terroristici, tutti ne hanno parlato: giornali, televisioni, film, internet.
E ovviamente libri. Non uscirà questo “baco” dalla testa di molte generazioni, il sospetto che le cose non siano andate così come sono state raccontate, ma almeno speriamo che non entri nei libri di storia. Per questo abbiamo deciso di pubblicare in Italia l’inchiesta di Popular Mechanics che ci è sembrato un ottimo lavoro di verifica e approfondimento. Delle teorie complottiste non resta in piedi niente. Il che non significa che tutto è chiaro, che si possono spiegare tutte le serie di errori umani, di omissioni e di imprevidenza che hanno reso possibile l’11 settembre.
Quello che non perdoneremo alle teorie complottiste è che ci hanno obbligato, e probabilmente lo faranno ancora, a occuparci di ciò che non è accaduto.
Ci hanno fatto perdere un sacco di tempo, di energie civili, di passione, che avrebbero potuto essere impiegate su ben altri versanti. Per esempio per capire come l’odio e la violenza possano crescere tra noi. E qual è il peso delle ingiustizie in tutto ciò.
Da qui in avanti vorremo essere costretti a occuparci delle nostre vite quotidiane, del mondo reale, non delle menzogne.
La redazione di Altreconomia