Ambiente
Ue, compromesso al ribasso sui biocarburanti
Il voto del Parlamento europeo non recepisce la proposta della società civile, che chiedeva di limitare fortemente la domanda agricola per fini energetici, che ha causato un aumento del costo del cibo, accaparramento di terra, mettendo a rischio la sicurezza alimentare. La proposta al Consiglio d’Europa: per l’Italia, coinvolti i ministri Orlando e Zanonato
Ieri a Strasburgo il Parlamento europeo ha scelto una via del compromesso al ribasso sul dossier “biocarburanti”. Il voto degli eurodeputati era un appuntamento chiave nel percorso di modifica delle due Direttive Ue che regolano la produzione e il consumo di biocarburanti nel vecchio continente (Fuel Qualitive Directive e Renewable Quality Directive). Purtroppo, è prevalsa la linea di compromesso con le posizioni più intransigenti a sostegno degli interessi della potente lobby dei biocarburanti.
L’obiettivo di una revisione delle direttive sui biocarburanti sarebbe quello di migliorarne la performance ambientale in quanto la stragrande maggioranza di quelli utilizzati in Europa sono ricavati da prodotti agricoli (oleaginose in prevalenza) le cui emissioni complessive, dirette ed indirette, non rispettano le soglie di risparmio fissate nei criteri di sostenibilità. Insomma, non sono efficaci nel garantire un sufficiente risparmio di emissioni di gas ad effetto serra, che è poi l’obiettivo della Direttiva che ne promuove un massiccio impiego, ovvero quella sulle energie rinnovabili (RED). Per rimediare al problema, la Commissione europea ha proposto di limitare l’utilizzo di questi biocarburanti, fissando un tetto del 5% rispetto all’obiettivo complessivo di “sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili”, che è fissato al 10% entro il 2020 per il settore dei trasporti. Per essere più chiari, la Commissione propone di utilizzare biocarburanti di prima generazione -così sono chiamati quelli ricavati a partire da prodotti agro-alimentari- per coprire la metà dell’obiettivo prefissato.
Per molte ONG, come ActionAid, impegnate da anni sul tema degli impatti sociali dei biocarburanti, il tetto (cap) del 5% rappresentava un segnale positivo. Non tanto perché ciò possa risolvere il problema delle emissioni indirette dei biocarburanti, che necessiterebbe il loro conteggio all’interno dei criteri di sostenibilità ambientale attualmente in vigore -una misura che la Commissione non ha proposto di adottare-, quanto piuttosto per limitare, finalmente, la domanda agricola per fini energetici, che in questi ultimi anni è cresciuta significativamente contribuendo in modo determinante all’aumento del costo del cibo e al fenomeno dell’accaparramento di terra, con forti impatti negativi sulla sicurezza alimentare, in particolare delle popolazioni più povere.
La proposta di un limite del 5% sui biocarburanti di prima generazione, quindi, riconosceva il conflitto food/fuel, e rappresenta la giusta, anche se ancora insufficiente, direzione da prendere. Il Parlamento europeo avrebbe potuto tutelare l’interesse collettivo di milioni di persone che in tutto il mondo subiscono sulla propria pelle le conseguenze negative di politiche che non portano loro alcun beneficio, e obiettivi di sviluppo perseguiti dalla l’Ue -quelli che secondo il Trattato di Lisbona non devono essere compromessi da altre politiche (Eu Policy Coherence for Development)-.
Il voto di oggi non peggiora significativamente la proposta della Commissione. Che però arriva debole ad affrontare il passaggio tra le strette maglie del Consiglio europeo, dove -a parte i Paesi del Nord Europa- nessuno vuole sentire nemmeno parlare di limiti ai biocarburanti di prima generazione e di conteggio delle emissioni indirette. Si è evitata la debacle totale, anche grazie alla pressione di migliaia di cittadini europei sugli eurodeputati –la sola petizione di Oxfam ed ActionAid lanciata appena due settimane fa su change.org ha raccolto oltre 20.000 firme-, che ha certamente influenzato le posizioni di diversi di loro nelle ultime settimane;, ma non si è migliorato in modo significativo quanto la Commissione aveva proposto, e questo nonostante i mesi di dibattito e le diverse proposte buone uscite dalle Commissioni parlamentari, in particolare il parere di quella Ambiente (ENVI).
Alcuni obietteranno che a fronte di un 5% di limite proposto dalla Commissione all’utilizzo di biocarburanti ricavati da prodotti agro-alimentari, il Parlamento europeo ha proposto un limite di poco più alto (il 6%), ma includendo anche le cosiddette coltivazioni agro-energetiche, ovvero quei prodotti agricoli che pur non andando in competizione con la destinazione alimentare, competono con l’utilizzo di terra, una risorsa chiave per produrre cibo. E che il Parlamento ha almeno chiesto di includere, nella direttiva sulla qualità dei carburanti, il conteggio delle emissioni indirette (ma a partire dal 2020). Tuttavia tre considerazioni guidano il nostro giudizio negativo. In primo luogo quell’1% significa milioni di tonnellate di cibo da destinare ancora per altri anni alla produzione energetica. Infatti, l’attuale media europea di sostituzione di fonti fossili con rinnovabili (la stragrande maggioranza delle quali sono biocarburanti) è del 4,5%. Ciò lascia un ampio margine di crescita del consumo di biocarburanti di prima generazione.
Secondo le stime di ActionAid, il valore energetico dei prodotti agricoli necessari a raggiungere il 6% di sostituzione, sarebbe sufficiente a sfamare oltre duecento milioni di persone. Per questo motivo, limitare in modo molto più consistente e progressivamente azzerare l’uso dei biocarburanti ricavati dal cibo e, più in generale, dall’utilizzo di terra fertile, è una misura che andava presa ieri e non rimandata a domani. In secondo luogo, perché una proposta migliore c’era già, ed era quella della Commissione ambiente del Parlamento europeo che proponeva un limite al 5.5%, che includeva anche le coltivazioni agro-energetiche, e l’introduzione del conteggio delle emissioni indirette in entrambe e direttive pure con tempi differenti. Questa proposta, passata in Commissione ambiente anche grazie al sostegno di diversi europarlamentari popolari, il gruppo che più si è opposto all’adozione di queste misure, è stata stravolta dal compromesso raggiunti alla vigilia del voto tra gli stessi popolari e i liberali.
Il giudizio negativo è mosso però anche da una terza considerazione: la palla passa al Consiglio, le cui posizioni -almeno quelle sin qui espresse- sono lontanissime anche dal solo compromesso raggiunto dal Parlamento europeo. Per questo motivo era importante che al Consiglio giungesse una proposta “forte” su cui costruire il compromesso, e non una proposta già diluita che rischia di essere ulteriormente aggravata e resa del tutto inefficace. Il voto su importanti emendamenti non è avvenuto a larga maggioranza. Lo stesso voto sul pacchetto finale degli emendamenti ha registrato una maggioranza risicata. Questo evidenzia le forti divisioni interne al Parlamento sul tema di cui il Consiglio dovrà inevitabilmente tener conto.
Tuttavia, pur trattandosi di un compromesso al ribasso, gli eurodeputati hanno lanciato un chiaro messaggio ai governi europei sulla necessità di introdurre un limite all’utilizzo di biocarburanti ricavati da coltivazioni alimentari e agro-energetiche dedicate. Potrebbe ascoltare questo messaggio i ministri dell’Ambiente, Andrea Orlando, e dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, per portare a Bruxelles dall’Italia una posizione che contribuisca a rafforzare l’intero impianto di modifica delle direttive proposto dalla Commissione. La sfida, lo dimostra il voto di oggi, non è per niente semplice e senza un ruolo attivo della società civile non è possibile vincerla.
* Right to Food Policy Officer, ActionAid Italia