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Trump e il complotto di QAnon: perché il dominio dell’irrazionale non è una carnevalata
La commistione tra possibilità e probabilità e il capovolgimento della realtà tra forti e deboli alimentano preoccupanti fenomeni cospirazionisti. Non possiamo liquidarli come buontemponi, scrive Roberto Settembre, giudice d’appello sui fatti del G8 di Genova a Bolzaneto
Il giudice dell’antica Roma, che si pronunciava “iusta alligata et probata”, se le prove non bastavano a convincerlo dichiarava “Non liquet”: rispondeva che no, lui non era in grado di rispondere, che la verità processuale non poteva venir accertata.
Questa circostanza rileva sulle cause per le quali oltre 70 milioni di americani e milioni di altre persone altrove danno credito alle parole di Donald Trump circa il complotto di cui sarebbe vittima. Ciò per tre ragioni.
La prima è di natura fattuale: solo i fatti concreti, messi sotto esame, sono indispensabili per il giudizio.
La seconda è procedurale: il giudice romano non ricorre al mito, al soprannaturale, all’irrazionale per pronunciare il suo giudizio. Non ci sono ordalie o riti magici da usarsi per cercare la verità. L’infanzia del mondo è già lontana nella mente del giudice di Roma antica. E quanto questo dato infantile sia importante, lo vedremo più avanti.
La terza discende da un atto di umiltà: il reale è così complesso che non sempre è possibile, con gli strumenti a disposizione, decodificarlo.
Detto questo, ritengo che quanto accaduto in Usa e altrove sia uno degli effetti dello scollamento tra l’informazione e la sua decodificazione, dove per informazione si intendono i fatti (nel caso che ci occupa la sconfitta elettorale di Trump, la reiezione dei suoi ricorsi anche da parte di giudici della sua area politica e l’assalto a Capitol Hill) e per decodificazione la loro spiegazione.
Tanto premesso, non è una novità che oggi sia in crescita la forbice tra l’informazione professionale e quella dei social media, la cui differenza dipende dalla loro diversa natura, dove l’una, frutto di un’élite di professionisti, affronta i temi con un approccio sostanzialmente razionalistico, fattuale, finalizzato a fornire al lettore non solo la descrizione dei fatti, ma le loro premesse, talché la complessità del reale viene analizzata attraverso la complessità del linguaggio, così attivando la cosiddetta vigilanza epistemica in luogo del bias egocentrico. Cioè l’intelligenza critica invece delle conferme del presupposto conoscitivo. E vedremo perché il bias egocentrico è sollecitato dall’uso spregiudicato dei social media, e dove conduce.
Oggi, sebbene nessuno pretenda di comprendere la fisica quantistica con gli slogan che esaltano il bias egocentrico, milioni di persone incapaci di comprendere un testo articolato in proposizioni subordinate e in sequenze logiche, pretendono di avere risposte semplici e immediate a problemi complessi.
L’altra, quella dei social, fornisce questo tipo di risposte, ma l’approfondimento delle notizie le è generalmente estraneo, poiché risponde ai bisogni di un pubblico dotato di tempi di fruizione molto più veloci e di una soglia di concentrazione minore.
Non solo. Tanto quanto l’informazione professionale e specialistica è razionale, tanto non lo è l’altra, come vedremo.
Ovviamente il detrattore del giornalismo professionale si guarda bene dal sostenere che l’informazione delle élite giornalistiche vada respinta perché razionale. E le ragioni starebbero nella sua inaffidabilità, nell’essere fasulla, venduta ai poteri forti, asservita a chi complotta contro il popolo: nessun giornale e nessun giornalista professionale si salva.
I caduti sul campo, per noi da Rostagno a Ilaria Alpi e Hrovatin, da Giuseppe Fava, Mauro di Mauro ad Alessandro Ota, se offerti come esempio contrario, saranno visti come le eccezioni alla regola della stampa venduta, analogamente al mainstream anglosassone del 1944 su chi fossero i tedeschi veri oppositori del regime, e cioè solo quelli già impiccati dai nazisti. Il detrattore odierno dirà che solo la morte violenta è prova della genuinità di un esponente delle élite giornalistiche, e non sempre, mentre la verità, quella affidabile, che non può essere smentita, perché ogni alternativa è un debunking in mala fede, è quella dei social.
Ma perché ciò accade, dipende da un complesso di fattori, tra i quali valgono considerazioni di ordine psicologico e cognitivo.
Ovviamente ogni asserzione, come questa, si espone a giudizi opposti indotti dalla percezione personale dei fatti, dalle convinzioni e dalle logiche dello schieramento politico.
L’articolo di Giorgia Meloni sul Corriere della Sera del 9 gennaio 2021 circa le ragioni del suo sostegno a Trump ne è un esempio eclatante. Sembra inattaccabile sul piano logico, ma pecca di abili omissioni sulle ragioni per cui Trump dice e fa quel che fa e dice: la sopraffazione del forte sul debole, contrabbandando il forte, il suprematista bianco, come il debole, e indicando il debole, il nero che protesta contro le uccisioni della polizia, o il migrante che affronta il deserto o il mare e spesso vi muore, come il forte usato dalla sinistra mistificatrice della realtà.
Ma per comprendere le ragioni di tale sostegno si deve penetrare nel mondo dell’irrazionale, tanto quanto lo è il capovolgimento della realtà tra forti e deboli, che non può darsi sul piano razionale, ma che avviene quando gli eventi vengono intesi come successione causale e non temporale, ricercandosi la causa nel mondo delle mere possibilità, prescindendo dalle probabilità.
Allora si costruiscono territori di senso partendo dalla propria soggettività, risemantizzando i segni del mondo per costruire significati e condividerli con altri, sul presupposto che la massima condivisione sia sinonimo di veridicità. L’effetto sono schemi interpretativi posti alla base dei processi cognitivi di ciascun individuo, che derivano dalle sue esperienze, le accompagnano e portano a identificare e catalogare ogni elemento del mondo secondo modalità mentali che egli stesso si forma. Si creano così cornici contestuali all’interno delle quali si interpreta ogni elemento del mondo, si orientano le emozioni e le percezioni di chi entra in contatto con un oggetto prima di un’analisi più dettagliata. Il rischio sono decodifiche aberranti, pilotate dai social media, che giocano sui diversi piani dell’immediatezza e dell’anti mediazione.
E questa commistione tra il mondo delle possibilità e quello delle probabilità contribuisce a spiegare l’adesione alle visioni trumpiane e l’appiattimento delle opinioni su quelle divulgate dai social, col nesso strettissimo tra le teorie del complotto, la lettura cospirazionista della realtà, un fenomeno culturale e sociale come QAnon, l’incitamento di Trump all’odio verso il giornalismo professionale, l’adombramento delle manovre di un potere oscuro contro l’America vera, e infine lo scatenamento dell’assalto a Capitol Hill perché le elezioni erano truccate e i giudici dei suoi ricorsi venduti a Biden e ai poteri che lo sostengono. Anche quelli repubblicani.
Non solo: emblematica è l’adesione a credere possibile che gli assunti di Trump abbiano un fondamento di verità, così trasformando il mondo delle mere possibilità in probabilità veritiere.
Lo scienziato Carlo Rovelli intervistato in Canada sull’esistenza degli alieni ha detto: “Se vedo dalla mia finestra un uomo che corre vestito di bianco, alla congettura se si tratti del papa con un’amante in Canada mentre sta facendo jogging, devo rispondere che è possibile ma altamente improbabile”.
Ma per chi ci crede, significa che il meccanismo di questa trasformazione si attiva a comando dentro gli spazi cognitivi di soggetti altamente predisposti a credere sul terreno dell’irrazionale.
E che si tratti di dominio della sfera cognitiva dell’irrazionale su quella dello spazio razionale emerge dai contenuti della propaganda di QAnon, secondo la quale i democratici, la Clinton in testa, sarebbero guidati da satanisti, pedofili e cannibali che violentano i bambini, li uccidono e se ne cibano, e per questo meritevoli di morte, come la presidente della Camera Nancy Pelosi per la quale gli invasori avevano già eretto la forca.
Allora, sulla scorta di tali premesse, l’uomo vestito da capo indiano e le centinaia di accoliti che bivaccano nel Campidoglio, gli individui armati che si aggirano brandendo i laccetti per far prigionieri, non sono una carnevalata di buontemponi che entrano ordinati nelle sale di Capitol Hill scattandosi i selfie, talché il poliziotto morto col cranio spaccato da un estintore sarebbe stato solo un incidente imprevisto, la donna uccisa dagli agenti la prova che gli invasori sono pacifici, e non reagiscono scatenando l’inferno, e i tre morti d’infarto sono una bazzecola, mentre il furgone abbandonato con le bombe molotov e le armi, sarebbe, al più, un avvertimento a Biden in stile mafioso rientrante nei giochi di potere Usa.
Certo non si ha la prova che Donald Trump sia un affiliato di QAnon, tuttavia ha proclamato, soprattutto dopo l’assalto al Campidoglio, gli assalitori buoni “patrioti” che lottano per smascherare le bugie e le frodi altrui. E milioni di persone in Usa e molte qui da noi gli danno ragione.
Dominio dell’irrazionale, dunque, agito dal meccanismo cognitivo analogo a quello accertato dalla neuropsichiatria infantile, per cui i bambini piccoli sono incapaci di connettere i fatti tra di loro sul piano logico conseguenziale, ma ricorrono a spiegazioni magiche per tenere a bada l’ignoto, cioè il non conoscibile nell’immediatezza, e così come nell’antichità il mito e il soprannaturale davano le risposte, oggi l’ideologia domina le menti e dà le risposte che il soggetto vuole ricevere.
In QAnon, come nell’ideologia dei suprematisti bianchi, operano in tal senso spinte emozionali di natura sessuale, analoghe a quelle che giustificavano il KKK al linciaggio dei neri accusati di violare le donne bianche. Una visione ideologica di cui sarebbe utile domandarne ragione a chi dà credito alle parole di Trump sul patriottismo e la mansuetudine degli invasori di Capitol Hill.
Ora, sebbene non sia questo il luogo per esaminare i meccanismi mentali di una lettura olistica della realtà dominata dai complotti, le distruzioni nelle sale del Campidoglio, il tentativo di rovesciare la nomina di Biden, comunque ritardata, la fuga dei senatori e dei deputati in spazi angusti e i loro contagi da Coronavirus, i 56 agenti feriti dai “patrioti”, quello assassinato, l’uso di taser contro gli agenti sono i tasselli di un evento che solo una buona fede inquinata dall’ideologia o la mala fede possono leggere come la reazione all’elezione rubata dal complotto, tanto potente da capovolgere una marcia pacifica in una realtà insurrezionale.
Come Trump, anche Mussolini spinse i suoi seguaci a marciare su Roma, e come Trump lo fece senza partecipare, restando a vedere come finiva. E come finì lo sappiamo bene. Oggi nessuno ha la faccia di negarlo.
Il revisionismo può trovare indizi per correggere quel che la storiografia ha descritto, ma non capovolgere e negare la realtà.
Quello dei social e di chi ci crede sui fatti Usa si chiama negazionismo, e deve suscitare allarme e indignazione nelle persone capaci di pensare con intelligenza critica.
Roberto Settembre, magistrato dal 1979 al 2012, ha redatto la sentenza di appello sui fatti del G8 di Genova a Bolzaneto, a riposo come presidente di sezione di Cassazione.
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