Ambiente / Opinioni
“Sviluppo”, “crescita”, “benessere”. Un minimo comun denominatore per il confronto
L’editoriale del numero 130 di Altreconomia
A luglio, prima della “pausa estiva”, abbiamo ricevuto una visita in redazione. Si trattava dell’alto dirigente di una delle maggiori aziende cementiere italiane. Aveva letto un nostro libro, e voleva confrontarsi con noi.
Il volume in questione è Le conseguenze del cemento, nel quale cerchiamo di mostrare quanto la filiera dell’edilizia (dalle cave alle grandi opere, passando per i cementifici) abbia troppo spesso costi ben più alti dei benefici, con la differenza che i primi sono per la collettività, i secondi per pochi soggetti. Questo dirigente, la cui società è ampiamente citata nel libro, ci teneva a esporci la sua versione dei fatti. È stato un incontro molto cordiale e corretto, utile credo a noi quanto a lui. Dal caso concreto siamo arrivati a parlare di sistema economico e modelli sociali, usando parole come “crescita”, “sviluppo” e “benessere”. Le posizioni sembravano talmente distanti e inconciliabili, che a un orecchio esterno la nostra conversazione pareva condotta in due lingue diverse.
Al termine dell’incontro, in redazione ci siamo chiesti se, in casi come questo, sia meglio insistere nel sostenere le proprie posizioni, o non perdere la risorsa scarsa tempo.
Forse né l’una né l’altra.
Dovremmo sempre accettare il confronto, e tendere a un risultato positivo, ogni volta che dibattiamo con “universi” tanto distanti dai nostri. Siano essi dirigenti industriali, politici, economisti ultraliberisti o semplicemente individui scettici o cinici. È doveroso trovare almeno una “base” dialettica da cui partire, un minimo comun denominatore sul quale siamo tutti d’accordo. Asserzioni, princìpi che tutti diano per condivisibili, slegati dai fatti.
Il primo di questi potrebbe essere il concetto di limite.
Senza dire che il petrolio o il pesce si stanno esaurendo (affermazioni che portano inevitabilmente allo scontro, anche se coi dati alla mano), siamo tutti d’accordo che, prima o poi, le cose finiscono? e che val la pena di capire quando questo avverrà? È giusto dire che dovremmo chiederci quando smettere di cementificare?
Secondo principio: non tutto ciò che è possibile è auspicabile. Diamo per vera la possibilità che esistano comportamenti possibili -economicamente, socialmente- che tuttavia sono dannosi o insensati e che quindi andrebbero evitati?
Terzo: nel conto finale di ogni attività economica andrebbero messi tutti i costi, nessuno escluso. Questi comprendono i costi ambientali, sociali e sistemici, siano essi odierni o futuri.
Quarto principio: l’ottimo sociale non è la somma degli ottimi individuali. È un assunto molto forte: il benessere generale deve prevalere su quello individuale. Siamo d’accordo su questo?
Infine: facciamo nostro il principio che una stessa cosa possa essere fatta bene o male.
Il fatto che in alcuni contesti una grande opera -come la Tav, ad esempio- abbia senso, non vuol dire che lo mantenga sempre e comunque.
Ogni iniziativa non deve essere giudicata solo nella sua casistica, ma nel suo complesso.