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Ambiente

Sotto Firenze la Tav scotta

La nuova stazione sotterranea, un tunnel lungo 8 chilometri. Il nodo fiorentino dell’Alta velocità costerà 1,3 miliardi, ma il progetto è pieno di “falle”

Tratto da Altreconomia 131 — Ottobre 2011

Si chiama Monna Lisa la “talpa” che, da ottobre, dovrebbe scavare nel cuore di Firenze. Obiettivo: la realizzazione dei due tunnel di 8,3 chilometri che, insieme alla nuova stazione ferroviaria progettata da Norman Foster e a uno “scavalco” per eliminare le interferenze tra tratte storiche e linea ad Alta velocità, permetteranno ai treni Av di non fare tappa nella stazione di Santa Maria Novella. Il costo dell’investimento, che permetterà di risparmiare un quarto d’ora “tirando dritto” tra Milano e Roma, è di un miliardo e 500 milioni di euro. Un progetto alternativo da 300 milioni prevede la costruzione dei binari in superficie: proposto da comitati e associazioni ambientaliste, non è stato preso in considerazione. Anche se, scavando, c’è il rischio di minare la sicurezza idrogeologica del territorio e di compromettere la stabilità e l’integrità dei palazzi sovrastanti.
I lavori veri e propri per la realizzazione del nodo Alta velocità di Firenze devono ancora iniziare, ma in via Zeffirini. Zona Belfiore, le conseguenze della grande opera si possono già constatare. Dal tetto della palazzina in cui vive l’architetto Pierluigi ci si affaccia sul cantiere dei lavori propedeutici di quella che sarà la nuova stazione Alta Velocità, a poco più di un chilometro in linea d’aria dalla “vecchia” di Santa Maria Novella. Il cantiere è un’immensa spianata, pronta a diventare un’enorme buca nel mezzo del tessuto urbano. Grossi macchinari lavorano già “dalla mattina presto alla sera”, e il rumore è costante da più di un anno. “Ormai siamo abituati, anche se io sono un ‘privilegiato’ perché sono un po’ sordo -scherza Pierluigi, che fatica a immaginare l’enorme copertura di vetro della stazione Foster -452 metri di lunghezza, 52 di larghezza, 30 circa di profondità- dov’erano i macelli della città, immersi tra gli alberi. Eppure si costruirà, per un totale di 45mila m2 di superficie su tre piani, uno dei quali sarà destinato a biglietterie, negozi, ristoranti e agenzie di viaggio. “L’ennesimo centro commerciale in un’area da questo punto di vista già satura” commenta Anna Marson, assessore al Governo del territorio della Regione Toscana. Di cantieri come quello della stazione Foster, nella città de’ Medici, ne sono stati aperti altri due: uno adiacente all’attuale stazione di Campo di Marte e un altro in zona Rifredi, agli estremi dei due tunnel che permetteranno alla Tav di sottoattraversare Firenze. C’è anche un termine dei lavori: novembre 2016. “Anche se -spiega Pierluigi- il progetto prevede il lavoro contemporaneo di due talpe al posto di una fa, e ciò fa pensare che i lavori subiranno rallentamenti. In realtà -aggiunge- con tutte le cifre e i numeri che ci sono stati riportati dalla stampa in oltre dieci anni, è difficile dire con certezza cosa ci aspetta”. Ha ragione: da quando è stato firmato il primo accordo quadro (luglio 1995) tra il ministero dei Trasporti, gli enti locali, le Fs, e il committente, Tav spa (oggi sostituita da Rfi), all’ultimo accordo “d’aggiornamento” (3 agosto 2011), sono state indicate, soprattutto mezzo stampa, tante stime sui costi, presentati diversi progetti e varianti. Difficile capire, per i cittadini, cosa li aspetta. Sono preoccupati, però: la relazione 2010 dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici denuncia, per le tratte Av già realizzate, tra cui la Roma-Napoli e la Bologna-Firenze, “violazioni sistematiche” al codice, legate alla mancanza di evidenza pubblica nell’affidamento dei lavori e procedure di realizzazione fondate sulla “mera previsione di larga massima” delle opere da eseguire. Non solo: si parla anche di “violazione dei principi di economicità e di efficacia del sistema di realizzazione anche per i nodi ferroviari di Firenze e di Bologna che hanno registrato rilevantissimi incrementi di costo e dei tempi di realizzazione”. È il “modello grandi opere”, riconosciuto anche dai No Tav di Firenze. Per coprire i costi dell’Alta Velocità, oltre ai finanziamenti europei, il committente, Rfi, tramite le Fs, stipula contratti di finanziamento con le banche attraverso la Cassa depositi e prestiti. Debiti che dovranno essere restituiti con i guadagni ottenuti gestendo le tratte finanziate, ma che in ogni caso sono garantiti dallo Stato.
Il committente (che è Rfi), tramite gara d’appalto, affida a un soggetto che si chiama contraente generale la progettazione, la direzione e la realizzazione dei lavori, nel caso di Firenze quelli relativi al nodo dell’Alta velocità (comprensivo di passante ferroviario, nuova stazione e scavalco) e alle opere infrastrutturali ad esso connesse. A sua volta il contraente generale subappalta, con affidamento diretto regolato dal diritto privato, ad altre imprese. Il contraente generale, istituto contrattuale non rintracciabile in nessun ordinamento dei Paesi europei, è incaricato di realizzare i lavori in qualità di appaltatore, retribuito al 100% dal committente per il proprio operato, e al tempo stesso assume i compiti di direzione e controllo tipici del committente. Appaltatore e concessionario allo stesso tempo, il contraente generale controlla, di fatto, sé stesso.
Con l’Alta velocità bastano 37 minuti da Firenze per raggiungere Bologna, dov’è possibile capire perché se aumentano gli imprevisti, le varianti, i tempi e, di conseguenza, i costi, il contraente generale ci guadagna. Ad esempio, la realizzazione della galleria tra la nuova stazione Av e il deposito locomotive avrebbe dovuto costare 30 milioni di euro, mentre alla fine ne sono stati spesi circa 86. Ciò significa un bel più 189% dei costi in corso d’opera, con un ritardo nella conclusione dei lavori di oltre sette anni.
Torniamo a Firenze. A vincere la gara d’appalto, nel 2007, per la realizzazione del nodo Av è un’associazione temporanea tra imprese (Ati) costituita dall’emiliana Coopsette e da Ergon Engineering and Contracting (poi diventata la Società di progetto contraente generale “Nodavia”).
La prima sta realizzando anche la nuova stazione Tiburtina a Roma. La seconda si è aggiudicata il secondo maxilotto del Quadrilatero Umbria Marche e il project financing per la costruzione della bretella autostradale Lastra a Signa-Prato.
Per quanto riguarda il nodo Av di Firenze, l’emiliana Coopsette ha vinto la gara d’appalto con un ribasso del 25,3% su una base di 915,2 milioni, per un totale di 691 milioni di euro. Come si apprende da una comunicazione in Consiglio regionale nel marzo del 2011 dell’assessore ai Trasporti Luca Ceccobao, a quei 691 milioni di euro vanno aggiunte le spese di progettazione, il collaudo dei lavori, gli espropri e le mitigazioni ambientali che hanno innalzato il costo complessivo dell’intero nodo fiorentino a circa un miliardo e 300 milioni di euro. Quasi il doppio. Ma c’è dell’altro: a settembre 2011 Rfi comunica all’associazione ambientalista Idra (associazioni.comune.fi.it/idra/inizio.html), che da anni si batte contro la realizzazione del nodo Alta velocità di Firenze, che la spesa è di 1,5 miliardi di euro: 120 milioni di euro per lo scavalco Rifredi-Castello, 600 milioni di euro per i tunnel di sotto-attraversamento, 350 milioni per la stazione di Foster e 300 milioni per le opere collaterali. Costi ai quali vanno aggiunti altri 130 milioni di euro per oneri e spese tecniche. “Sulla base dei dati disponibili relativi alle altre tratte -spiega il “No Tav” Maurizio De Zordo- abbiamo stimato che le cifre nel tempo potrebbero lievitare anche a tre miliardi di euro”. La tratta Roma-Napoli è passata dai 2,09 miliardi di euro, previsti dalla convenzione del 1991, ai 4.463,9 milioni dell’ottobre del 2007; la Bologna-Firenze da 1,05 miliardi di euro dell’ottobre del 1991 ai 4,18 del luglio del 2007.
Anche a Firenze, a cantieri pressoché chiusi, alcuni costi cominciano a lievitare. Nell’ultimo accordo di aggiornamento, quello del 3 agosto scorso, si legge ad esempio che per completare gli interventi di messa in sicurezza del torrente Mugnone, che scorre a fianco di quella che sarà la nuova stazione Av, sono necessari “ulteriori 16,1 milioni di euro oltre ai 44,5 milioni di euro già previsti”. Senza considerare che, come denuncia Girolamo Dell’Olio portavoce di Idra “i 960 giorni fissati per i lavori scadevano il 2 novembre 2010 ma ad oggi (6 settembre 2011, ndr) i lavori non sono ancora terminati”. Tempi più lunghi, costi più alti. Un altro “incidente di percorso” è rappresentato dal problema dello smaltimento dei materiali di scavo (il cosiddetto smarino) che verranno estratti dal sottosuolo fiorentino durante la trivellazione dei due tunnel. Il progetto originario prevedeva il conferimento di parte dei materiali, in totale circa 3 milioni di metri cubi, nell’ex miniera Enel di Santa Barbara, a Cavriglia (Arezzo), per la sua rinaturalizzazione. Il 28 luglio scorso il comitato No Tunnel-Tav di Firenze e l’associazione Italia Nostra hanno presentato richiesta di sospensione dei lavori per diverse irregolarità nel progetto, e una di queste riguarda proprio lo smarino, che è un rifiuto speciale. “La legge prevede che tali rifiuti debbano essere conferiti in discariche autorizzate -denuncia Girolamo Dell’Olio-. Per questo, prima di far entrare in azione ‘Monna Lisa’ (la talpa, ndr) bisognerebbe trovare una discarica autorizzata”. Conferire lo smarino in una discarica autorizzata per rifiuti speciali, sottolinea Maurizio De Zordo “costerebbe molto di più dell’iniziale soluzione prevista, causando un aumento dei costi che nessuno ha previsto”. Ai costi economici si legano quelli ambientali dell’opera. Secondo l’assessore regionale al Governo del territorio Anna Marson, inoltre, “sin dall’inizio il progetto Tav per Firenze non ha trattato in modo adeguato i rischi idrogeologici, i possibili danni al patrimonio archeologico ed edilizio, l’integrazione con la rete del trasporto regionale”. A preoccupare maggiormente i cittadini, soprattutto quelli che abitano al limitare dei cantieri, è la realizzazione dell’avveniristica stazione Foster, enorme volume interrato “che intersecherà perpendicolarmente la falda acquifera, e potrebbe incidere sulla stabilità del terreno in un modo che non è possibile prevedere” denuncia De Zordo. Anche per questo l’associazione Idra ha sollecitato nei mesi scorsi la Regione Toscana a richiedere al ministero dell’Ambiente alcune delucidazioni sulla “garanzia di correttezza amministrativa” dell’iter per l’approvazione della stazione Foster, e in particolare la valutazione di impatto ambientale (Via). Nella risposta, datata 31 marzo 2011, la Direzione generale per le valutazioni ambientali del ministero dell’Ambiente, prende tempo (30 giorni), ritenendo di “dover avviare una più approfondita opera di ricerca presso gli archivi di questo Ministero […] in ragione della vetustà del procedimento”. “I termini indicati dal ministero sono scaduti da tempo -denuncia Idra, ma della Via non c’è nessuna traccia».
Oltre alle ombre relative all’iter amministrativo, rimane il fatto che “in nessun altro Paese è stata pensata una stazione appositamente per l’Alta velocità -spiega Ivan Cicconi, direttore dell’Istituto per la trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale, www.itaca.org-: è una follia, sia dal punto di vista economico, sia da quello tecnico. Sarà necessario, ad esempio, collegare la Foster a Santa Maria Novella per permettere ai passeggeri di non perdere eventuali coincidenze”. Cicconi ha ragione, e il collegamento ha un costo stimato di 32,4 milioni di euro.
L’associazione Idra il 1 agosto del 2011 ha inviato un esposto alla Procura della Repubblica, alla Corte dei Conti e agli enti locali competenti, scrivendo che le anomalie e le criticità che accompagnano il progetto del nodo fiorentino sono tali che “i lavori per il sottoattraversamento Avnelle condizioni descritte potrebbero configurarsi come un cantiere infinito, assoggettato a ogni sorta di contestazioni, contenziosi, interruzioni e verifiche, con effetti devastanti sulla durata dei lavori, e risultati indesiderabili per l’immagine internazionale di una città cara al mondo come Firenze, sottoposta a un interminabile intervento a cuore aperto”. Sul piatto della bilancia associazioni e comitati cittadini hanno messo lo studio tecnico di un’alternativa all’interramento, ovvero la realizzazione dei due binari aggiuntivi in superficie, un intervento da 300 milioni di euro (solo la stazione Foster dovrebbe costare 350 milioni). Ma allora perché, per usare le parole del presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, è necessario “realizzare il nodo Av di Firenze presto e bene”? E, soprattutto, chi paga? La Corte dei Conti un’idea ce l’ha: nel dicembre 2008, nella “Risultanza del controllo sulla gestione dei debiti accollati al bilancio dello Stato contratti da Fs, Rfi, Tav e Ispa per infrastrutture ferroviarie e la realizzazione del sistema ‘Alta Velocità’” spiega che “i debiti contratti dalla holding Ferrovie dello Stato (che controlla al 100% Rfi, la società che gestisce la rete, ndr)” siano stati “successivamente accollati allo Stato”. E scrive: “In aggiunta ai conti pubblici, si aggraveranno ancor di più i carichi fiscali delle generazioni future nei cui confronti rischia di slittare inesorabilmente lo stock di debito emergente in modo così improvviso ed insostenibile, in relazione alle risorse attualmente disponibili”.

Cronache dal fronte No Tav
90mila euro al giorno. Tanto costa mantenere le forze dell’ordine a difesa del cantiere dell’Alta velocità di Chiomonte, in Val Susa (To), dove dovrebbe essere realizzato il tunnel geognostico della Maddalena, propedeutico alla realizzazione della tratta Torino-Lione. Il dato lo ha fornito il sindacato di polizia a inizio settembre. Novantamila euro al giorno per difendere quello che “più che un cantiere è un vero e proprio fortino”, commenta Rino Marceca, vicepresidente della Comunità montana Val Susa e Val Sangone. Che spiega: “Hanno fatto passare l’installazione della recinzione per l’inizio delle attività”. Per questo Mario Cavagna, presidente di Pro Natura, e Alberto Veggio, consigliere comunale di Condove, un Comune della valle, hanno denunciato, in un esposto del 2 settembre inviato al Comune di Chiomonte, alla Procura e ai carabinieri di Susa, che l’attività di “realizzazione di manufatti in calcestruzzo armato, posizionamento di rete metallica […] finalizzati alla realizzazione di recinzioni definitive” risulta “non conforme a quanto previsto dal quadro normativo vigente”. Secondo il documento, infatti, la società Lyon Turin Ferroviarie (Ltf), entrata in possesso dei terreni il 27 giugno scorso quando l’area è stata sgomberata dalle contestazioni No Tav, non possiede le autorizzazioni necessarie a edificare: presso il Comune di Chiomonte non c’è traccia di autorizzazioni per Ltf. Anche l’ordinanza del prefetto del 22 giugno dichiara quelle aree disponibili per le forze di polizia ma senza citare “la realizzazione di opere edili di qualsiasi tipo” si legge nell’esposto.
Un “presunto abuso edilizio” quindi, per di più realizzato per reprimere quanti, in questi ultimi mesi, hanno contrastato la realizzazione della “costosissima ed inutile tratta Torino-Lione”, come denunciano i No Tav. Non tutte le aree in cui è stato realizzato “il fortino”, inoltre, rientrano all’interno della planimetria del cantiere per il cunicolo esplorativo. Tra queste ci sono l’area del museo archeologico di Chiomonte e quella di un’azienda vinicola che si trova nei pressi del cantiere, che “produce vino doc con uve Avanà all’interno di in un progetto finanziato con fondi dell’Ue per la ripresa delle economie di montagna” (vedi l’articolo sotto) racconta Rino Marceca. Una piantagione di lavanda, invece, “è stata letteralmente distrutta dall’invasione dei 2mila poliziotti che hanno sgomberato il presidio No Tav alla fine di giugno”.
Così, per difendere le “grandi opere” (solo per la tratta Torino-Lione si parla di oltre 17 miliardi di euro), si rischia di compromettere un’economia montana già fragile.

Check point Val di Susa

Un fine settimana tra i No Tav, che aprono le case e i presidi agli italiani, per mostrare una protesta pacifica

Gli attivisti No Tav hanno aperto le loro case agli italiani. Dietro lo slogan “Vieni in vacanza in Val di Susa” c’era la voglia di mostrare cosa sta succedendo davvero nella valle in quest’estate 2011, di far conoscere un movimento ampio, trasversale, pacifico, che nulla ha a che vedere con le sue rappresentazioni mediatiche. Penso ai “presidi”, ovvero le 20 postazioni che il movimento ha creato sul territorio in quindici anni di lotta, inseguendo i diversi tentativi di cantierizzazione: molti di questi luoghi, anche lontani dalla Maddalena di Chiomonte, non sono fortini ma snodi di convivialità, socialità e aggregazione politica. Molti ci dicono che sono i pensionati le colonne portanti del movimento. Qualcun’altro sostiene (è sarcastico) che se il progetto dell’alta velocità fosse cancellato, i legami sociali e intergenerazionali costruiti in questi anni verrebbero meno e la coesione della valle declinerebbe. Con l’iniziativa “Viene in vacanza in Val di Susa”, i No Tav mi hanno portato dentro quella che è una mobilitazione permanente. La perimetrazione del futuro cantiere ha infatti consolidato e rafforzato la militarizzazione del territorio. Diversi ettari sono recintati con rete, in alcuni tratti doppia, con in cima rotoli di filo spinato con lame. All’interno 150 tra Carabinieri, Guardia di finanza, Polizia ed Esercito si alternano ogni giorno in quattro turni. Il “fortino militare” è stato creato nell’area del Parco naturale ed archeologico della Maddalena. Durante i lavori di costruzione dell’autostrada, negli anni Ottanta, furono rinvenute otto tombe neolitiche. Così il percorso fu spostato più a valle, per valorizzare il sito e costruire un museo. Con l’arrivo dei militari le tombe sono state ricoperte dalle ruspe e il museo, inaccessibile, è utilizzato come bagno di servizio. Accanto al museo sorge la cantina sociale Clarea: nell’area recintata si trovano infatti le coltivazioni di Avanà, un vitigno autoctono riscoperto e valorizzato. Via Avanà si snoda tra i vigneti ed è chiusa da un enorme cancello in metallo. Da una postazione d’osservazione la polizia filma chiunque si avvicini all’ingresso. I lavoratori della cantina e i proprietari dei terrenni devono esibire un passi per varcare il cancello. Una situazione che ricorda un check point militare nei territori palestinesi. Anche per un altro particolare. Subito dietro il cancello si scorge un albero tagliato di fresco. È il grande cedro sul quale si era arrampicato, per due giorni, il pacifista nonviolento Turi Vaccaro. Quand’è sceso, l’albero è stato abbattuto. Il cantiere-fortino è collegato direttamente all’autostrada, dove a suon di ruspe è stato aperto un varco. È proprio dall’autostrada che dovrebbe arrivare a breve la prima scavatrice.
Il movimento continua a non mollare la presa. Il presidio nel bosco a ridosso della recinzione assomiglia ad un parco avventura. È stata costruita un bellissima baita in pietra e sugli alberi spuntano tre casette. Un cartello informa che si organizzano corsi di tree-climbing. Durante l’estate la presenza del movimento è stata rafforzata attraverso i campeggi No Tav. Adesso è in preparazione un nuovo presidio a Giaglione. La strategia è mantenere costantemente sotto assedio il cantiere. Venerdì 9 settembre l’ennesimo tentativo di entrare nell’area si è concluso con due arresti e con gravi affermazioni dei vertici della Polizia e del ministro dell’Interno, Roberto Maroni: “I No Tav vogliono il morto”, ha detto. Non è così: andando in vacanza in Val di Susa mi accorgo che il movimento parla di vita. Una vita dignitosa e libera sulla propria terra.
Caterina Amicucci

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