Opinioni
Se a vincere è sempre il PEC (Partito Europeo Creditori)
L’Europa gendarme, sempre pronta a richiamarci ogni volta che sforiamo nei conti, fa parte di una strategia imposta dal "partito" che comprende banche, finanzieri e politici, affinché in tutto il continente si persegua la stessa politica dei bassi salari, della precarietà del lavoro, dell’espropriazione dei servizi pubblici, della svendita del patrimonio collettivo, di legittimazione dei paradisi fiscali.
Il commento di Francesco Gesualdi
Troppi scarni sono gli elementi per stabilire se la promessa di Renzi di aggiungere 80 euro nella busta paga dei lavoratori sia solo fumo o anche arrosto. A naso sa tanto di operazione elettorale, in vista delle prossime elezioni europee. Tant’è che dai benefici sono esclusi i più poveri. Il provvedimento annunciato da Renzi agirebbe solo sulle detrazioni per lavoro dipendente, per cui sarebbe escluso chiunque non sia al lavoro: disoccupati, cassintegrati e pensionati. Persone che i 1500 euro al mese se li sognano. Se arrivano ai 1000 euro è già grasso che cola, tant’è che molti di loro sono inclusi nella categoria dei poveri, se non dei poveri assoluti.
In una logica di equità, è da loro che si sarebbe dovuti partire, introducendo una franchigia esentasse fino a 12000 euro all’anno. Con la clausola che in caso di reddito inferiore alla soglia dovrebbe essere lo stato a compensare il contribuente. Un primo passo verso il reddito di cittadinanza che molti rivendicano. Perché Renzi non lo ha fatto? Forse per insensibilità sociale o più subdolamente perché gli ultimi hanno scarso peso ai fini elettorali. Ma la versione ufficiale è che per un’operazione di questa portata sarebbe servita una somma che l’Europa ci avrebbe negato. Così veniamo al solito ritornello: “l’Europa non vuole, l’Europa ci chiede, l’Europa ci impone”. E con questo ci fanno ingoiare qualsiasi sacrificio e immobilismo.
Ora l’Europa ha le sue responsabilità. La sua insensibilità sociale è proverbiale e oltre che criminale è anche stupida perché danneggia i suoi stessi protetti. Ma troppo spesso si usa l’Europa come foglia di fico per nascondere la propria assenza di volontà politica. E non è certo colpa dell’Europa se il nostro sistema fiscale è iniquo, se non abbiamo il coraggio di tassare in maniera seria gli alti patrimoni, se non lottiamo seriamente contro l’evasione fiscale, se tolleriamo la corruzione, se finanziamo spese inutili e dannose come l’alta velocità, le autostrade, gli F35, mentre tagliamo scuola e previdenza sociale. Così scopriamo che l’Europa gendarme, sempre pronta a richiamarci ogni volta che sforiamo nei conti, fa parte di una strategia imposta dal partito dei creditori europei, che comprende banche, finanzieri e politici, affinché in tutto il continente, da Helsinki a Cipro, si persegua la stessa politica dei bassi salari, della precarietà del lavoro, dell’espropriazione dei servizi pubblici, della svendita del patrimonio collettivo, di legittimazione dei paradisi fiscali. In una parola la politica liberista che ha per fine l’arricchimento dei già ricchi alle spalle di lavoratori e cittadini. E per salvare le apparenze si mette su il teatrino delle parti dove c’è il buono che suo malgrado non può fare le cose giuste perché c’è il cattivo che glielo impedisce. Peccato che il cattivo sia tale per i trattati liberamente sottoscritti dai buoni, alcuni dei quali così zelanti da trasformarli in tutta fretta in legge costituzionale. Valga come esempio l’Italia che ha introdotto in Costituzione l’obbligo di pareggio di bilancio pur non avendone l’obbligo.
Allora è esattamente questo progetto che dobbiamo smascherare, cominciando a dire che non ne possiamo più di sentirci sbarrare sempre la strada in nome del debito. Ma qui dobbiamo essere chiari. Noi abbiamo il dovere, oltre che il diritto, di spendere a favore di occupazione, scuola, inclusione sociale, dignità delle famiglie, difesa del territorio, ribellandoci all’austerità. Ma non facendo altro debito, bensì utilizzando le risorse che oggi destiniamo al debito. Ossia gli interessi che ammontano a 85 miliardi. Dobbiamo annunciare ai creditori che noi la spending review la facciamo, ma la prima voce che tagliamo è la loro, perché di soldi per il debito ne abbiamo spesi fin troppi. Per l’esattezza 2230 miliardi dal 1980 ad oggi. Per pagarli, da venti anni facciamo sacrifici, ma senza farcela, e ogni anno accendiamo nuovo debito per pagare la parte che non riusciamo a coprire con i nostri risparmi. Così noi siamo nella trappola di chi si indebita per gli interessi, in una spirale senza fine. Ed è proprio questa spirale che dobbiamo rompere autoriducendoci gli interessi allo 0,50%, il tasso di interesse che le banche commerciali pagano sui prestiti che ottengono dalla Banca Centrale Europea. Ciò che è giusto per le banche non deve esserlo anche per la comunità?
Fra i primi punti del programma di Tsipras, c’è la convocazione di una conferenza europea sul debito pubblico. Venendo dall’esperienza greca, Tsipras sa che quando il debito assume certe dimensioni diventa impagabile e ostinarsi a volerlo onorare significa portare il paese alla rovina con grande soddisfazione di chi non aspetta altro che potersi spartire le sue membra. Noi questo destino lo dobbiamo evitare. Per questo è importante mandare al Parlamento europeo forze non più dalla parte dei creditori, ma dei cittadini, seriamente intenzionati ad avviare un piano di ristrutturazione del debito per liberarcene una volta per sempre. L’unico modo per riconquistare la nostra democrazia e la nostra libertà di fare politica.