Roma, segregare costa
di Duccio Facchini —
Tra "villaggi attrezzati", "centri di raccolta" e oltre 50 provvedimenti di sgombero forzato, il Comune di Roma ha speso nel solo 2013 oltre 24 milioni di euro per gestire il "sistema" dei cosiddetti "campi nomadi". L’Associazione 21 luglio, autrice del report "Campi nomadi Spa", ha ricostruito costi e ricadute di un meccanismo fallimentare. Ma le alternative esistono. L’ultimo capitolo della mai applicata Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti
L’amministrazione comunale di Roma, nel solo 2013, ha speso oltre 24 milioni di euro per gestire il “sistema” dei cosiddetti “campi nomadi”. Un meccanismo che trattiene -e talvolta espelle- circa 4.500 degli 8mila rom che vivono in città. Quella stimata dall’Associazione 21 luglio -atti amministrativi alla mano- è una cifra doppia rispetto a quanto già censito nella ricerca pubblicata nel 2013 da Berenice, Compare, Lunaria e OsservAzione intitolata “Segregare costa”.
Articolato in otto “villaggi attrezzati”, tre “centri di raccolta” e 54 provvedimenti di sgombero forzato, il “sistema campi” della Capitale è stato nuovamente analizzato pezzo per pezzo dall’associazione presieduta da Carlo Stasolla, che il 12 giugno ha presentato il frutto del proprio lavoro. Il rapporto “Campi nomadi Spa”.
Al centro del report, gli otto “villaggi di solidarietà”, distribuiti a Roma, costruiti su un totale di 147mila metri quadrati circa di aree pubbliche (in 5 casi), private (2) e miste (1). Da Lombroso (fondato nel 2000) a Candoni (sempre anno 2000), da Gordiani (2002) a Cesarina (2003), dal Camping River (2005), a Castel Romano (2005), da Salone (2006) a La Barbuta (anno 2012). Il primo dato allarmante è che sei delle otto strutture sono sprovviste di un presidio sanitario interno e che tutte distano almeno due chilometri dalla prima fermata degli autobus o tre chilometri dalle poste e dal mercato più vicino. Un elemento che già di per sé stride anche solo con il titolo del provvedimento presentato nel 2012 dal Governo italiano per corrispondere alle pressioni comunitarie in materia di tutela delle minoranze, e cioè la mai applicata “Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti”, di cui abbiamo già scritto nell’estate 2013.
(estratto da Campi nomadi Spa)
Nei "villaggi" elencati -dove trovano posto 878 famiglie- il Comune di Roma ha “investito” 16,4 milioni di euro. Di questi, meno del 15% attraverso bandi pubblici ed il resto mediante affidamenti diretti. Non solo, il 58% circa di quelle stesse risorse sono andate a favore dei “costi di gestione”, il 23% alla “sicurezza”, solo il 19% a progetti di “scolarizzazione” ed un misero 0,2% a iniziative di “inclusione”.
Non molto diversa è la situazione per i tre “centri di raccolta rom”, in via Salaria (2009), in via Amarilli (2010) ed il “Best House Rom” (2012). Tutti e tre, nel 2013, contavano residenti in poco meno di 700 persone. Costi totali: 6,2 milioni di euro, ed una media di affidamenti tramite bando pubblico registrata dall’Associazione 21 luglio che crolla addirittura all’1,2%.
Chiude l’elenco dei costi il capitolo “sgomberi forzati”. L’Associazione 21 luglio ne ha conteggiati 54 nel 2013 (4,5 al mese) e registrato in 1.231 le persone “interessate”, o colpite. “L’unico sgombero forzato del 2013 i cui costi sono documentati è quello avvenuto nel settembre 2013 in via Salviati/Collatina -si legge in Campi nomadi Spa- e in quell’occasione per sgomberare 120 rom il Comune di Roma ha sostenuto la spesa di 150.615 euro pari ad una spesa pro/capite di 1.255 euro”.
Oltre a chi subisce il “sistema" dei campi c’è poi chi ha la responsabilità della sua gestione: quegli operatori, cooperative, imprese selezionati dall’amministrazione. A guidare poi l’elenco per somma ricevuta nel 2013 dei 35 soggetti “coinvolti” nel “sistema” c’è il Consorzio Casa della Solidarietà (4,2 milioni di euro), seguito da Risorse per Roma (3,7 milioni di euro) e Eriches 29, Coop. RA.LA.M., AMA s.p.a., Arcisolidarietà, ATAC s.p.a., Coop. Inopera, Isola Verde e altri ancora.
È un “sistema aggrovigliato e perverso” quello studiato (e commentato) da Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, che porta Roma a spendere 24 milioni di euro per “escludere dalla città 8.000 persone di cui più della metà sono minori”.
Eppure un’alternativa esiste e i progetti di autocostruzione di Messina e Padova descritti nel rapporto ne sono l’esempio. Nel capoluogo siciliano, 14 famiglie rom hanno contribuito alla riconversione e ristrutturazione di alcune strutture di proprietà comunale. Un percorso, quello di "Casa e/è lavoro", che ha garantito loro altrettanti alloggi, in locazione gratuita per i primi cinque anni. Il costo del progetto (145mila euro) è proporzionalmente di gran lunga inferiore rispetto all’esperienza di gestione capitolina.
“Questi numeri -conclude Stasolla- dimostrano come se è vero che si è davanti ad un costo umano altissimo, in termini di discriminazione e di violazione dei diritti umani di cui sono vittime le comunità rom, ce n’è un altro economico e altrettanto insostenibile, che grava come un macigno sulla fragile finanza locale”.
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