Ambiente
Rio+20. Quando il mercato rimane intoccabile
La nuova versione della bozza di documento finale per Rio+20 arriva, dimagrita, sui tavoli delle diplomazie mondiali. Il lavoro di limatura ha tolto di mezzo molte parentesi quadre, ma non la fede in un mercato "unico motore dello sviluppo sostenibile". Il Segretario Onu è ottimista. Un po’ meno i movimenti mondiali, che per l’occasione lanciano una campagna di pressione sulle delegazioni nazionali.
A fine maggio era depresso, a inizio giugno è diventato ottimista. L’andamento ambivalente delle aspettative di Ban Ki-Moon, segretario generale delle Nazioni Unite, su una riuscita quanto meno vendibile del vertice di Rio+20 testimoniano la totale discrezionalità della situazione.
L’ultima versione della bozza di documento finale della Conferenza, l’oramai famoso zero-draft su cui da mesi si scervellano delegazioni di mezzo mondo, è dimagrita ad 80 pagine dalle oltre 200 dei primi di maggio. Molti passi avanti sono stati fatti a detta di diverse delegazioni, e buona parte delle parentesi quadre (e quindi i punti lasciati in sospeso) sono scomparse, ma alla chiusura dell’ultimo formal-informal meeting solo 70 dei 312 paragrafi considerati hanno trovato un sostanziale accordo.
In ogni caso, la speranza di una vera e sostanziale transizione verso un modello diverso è lasciata a languire in un angolo. E i passaggi che lo dimostrano sono molti, a cominciare da quel comma dell’articolo 52 (sotto il capitolo "Green economy") che ribadisce come, nell’ottica dello sradicamento della povertà e dello sviluppo sostenibile, si debba evitare "ogni misura che possa costituire un mezzo di discriminazione arbitraria ed ingiustificabile o un restrizione nascosta del commercio internazionale". All’interno di un tale ragionamento ci stanno sicuramente i sussidi all’esportazione in campo agricolo, ma ci stanno anche tutta una serie di situazioni (come la denuncia alla Wto del Canada da parte del Giappone sulle sue politiche energetiche, o la minaccia di ricorrere al tribunale della Wto contro l’Argentina sulla sua politica di restrizione dell’import) che parla più di spazio politico tolto agli Stati ed ai Governi, che non di rispetto delle pari opportunità in campo commerciale.
Un passaggio ripreso e sottolineato nel capitolo "Trade", dove ad ogni pié sospinto viene sostenuta ed ampliata la filosofia della Wto che, in questo momento di stallo del negoziato commerciale internazionae, si sta applicando nella miriade di trattati bilaterali di libero scambio che si stanno ratificando in giro per il mondo.
Sarà possibile fare un passo in avanti considerando intoccabile il moloch del mercato e della sua liberalizzazione?
D’altra parte, il fatto che un articolo (il 54 bis) che parla della necessità per i Paesi sviluppati di cambiare stile di vita e di consumi sia ancora sotto parentesi quadra (con richiesta di cancellazione da parte non solo degli Stati Uniti, ma anche dell’Unione Europea) la dice lunga sulla retorica "pro-sostenibilità" e sulla coerenza delle politiche dell’UE.
Per questo un ampio schieramento della società civile e dei movimenti mondiali, anche italiani (come Osservatorio Italiano sulla Salute Globale, Mani Tese, Fairwatch, CeVi e Intervita o l’Associazione Botteghe del Mondo), ha recentemente fatto circolare una campagna di pressione sulle delegazioni governative, con l’obiettivo di mettere sul tavolo alcune questioni ancora irrisolte. Come il ruolo del settore privato, ancora troppo lasciato libero di perseguire i suoi interessi particolari. Nello specifico si chiede di "stabilire un forte quadro normativo per il settore privato al fine di garantire un effettivo contributo,piuttosto che una minaccia, allo sviluppo sostenibile da parte di questo settore. In particolare le multinazionali, molte delle quali controllano una grande quantità di risorse e hanno una notevole influenza sui governi anziché averla i cittadini comuni, sono responsabili di molte violazioni dei diritti umani e di modelli di produzione e di consumo insostenibili. Pertanto devono essere sottoposte ad un maggior controllo pubblico e a una regolazione sociale."
E, d’altra parte, di "garantire l’accesso e il controllo democratico da parte dei piccoli agricoltori, delle donne, dei popoli indigeni, dei giovani e di altri gruppi emarginati sulle risorse come terra, acqua, semi, foreste, finanza, tecnologie appropriate e infrastrutture. Avere mezzi sicuri di sostentamento è fondamentale per la realizzazione dei diritti delle persone e delle loro libertà. In aggiunta, i governi dovrebbero promuovere più sistemi comunitari per l’uso e la conservazione delle risorse naturali."
Controllo democratico, sostenibilità e regole stringenti ai privati.
L’ABC della svolta necessaria, che rischia di rimanere lettera morta sull’abbecedario della storia.