Ambiente / Varie
Rinnovabili 2.0
La rivoluzione energetica è compiuta: tra il 2007 e il 2014 si è passati, in tutto il mondo, da una capacità fotovoltaica installata di 10 GW (gigawatt) a una di 183 GW. La nuova frontiera è l’autoconsumo, grazie alla possibilità di immagazzinare l’energia prodotta con apposite batterie. La sperimentazione di Retenergie con i sistemi di accumulo di 4USolution e le batterie di FIAMM
La rivista Forbes a inizio maggio s’è chiesta se Tesla ha intenzione di “uccidere” l’energia nucleare (“Did Tesla Just Kill Nuclear Power?”). Tesla è un’azienda americana di auto elettriche (e batterie), e pochi giorni prima aveva appena presentato un dispositivo per immagazzinare energia, rivolto in particolare a chi l’autoproduce da fonti rinnovabili e vuole aumentare la propria quota in autoconsumo. La batteria si chiama “Powerall” (www.teslamotors.com/powerwall, in foto), e nella prima settimana ha raccolto circa 40mila ordini. Per il momento, non si tratta di acquisti. Né di fatturato. Ma significa che il tipo di tecnologia che Tesla offre, e che si chiama storage, è oggi richiesta dal mercato. Che chi dieci anni fa ha scelto di autoprodurre energia elettrica investendo per l’acquisto di un impianto fotovoltaico -tra il 2007 e il 2014 si è passati, in tutto il mondo, da una capacità installata di 10 GW (gigawatt) a una di 183 GW-, oggi vorrebbe consumare l’energia prodotta in proprio, riducendo lo scambio con la rete elettrica.
Lo si fa già anche in Italia, dove nel 2014 il 43,3% del totale dell’energia elettrica prodotta proviene da fonti rinnovabili: chi installa a casa propria (almeno fino al 31 dicembre del 2015) una batteria di questo tipo ha diritto a una detrazione fiscale del 50% (in dieci anni). Il dispositivo per lo storage è infatti considerato come un intervento di ristrutturazione edilizia, volto al risparmio energetico.
La cooperativa Retenergie (www.retenergie.it) ha avviato una sperimentazione in partnership con 4USolution, una start-up di Savigliano (CN) che ha ideato il sistema di accumulo “Lucciola”. “Gli indicatori scelti per la valutazione sono l’autoconsumo, ovvero quanta energia prodotta dall’impianto fotovoltaico è stata consumata dall’utenza senza essere ceduta in rete, e l’autosufficienza energetica, ovvero il rapporto tra l’energia prodotta e il fabbisogno elettrico dell’utenza -racconta Tommaso Gamaleri, referente per i servizi tecnici di Retenergie-. In media la percentuale di autoconsumo è cresciuta dal 20% al 60% mentre il valore di autosufficienza energetica è passata dal 23% al 53%. Ciò si è tradotto in un risparmio annuo medio di 475 euro”.
Ai soci di Retenergie che hanno partecipato alla sperimentazione (tre), Lucciola è costata 4.500 euro più Iva. I prezzi di mercato vanno però dai 5.100 ai 9.950 euro, e dipendono dalla taglia, dalla capacità di accumulo, dalla qualità della batteria. “Attualmente il grado di penetrazione nel mercato è basso, e sono meno di mille le unità connesse alla rete -spiega ad Ae Marco Pigni, Regulatory Affairs Advisor di FIAMM (www.fiamm.com), società che produre le batterie (anche quelle attualmente installate all’interno di Lucciola), ma secondo alcuni analisti il numero degli impianti dovrebbe raddoppiare ogni volta che il prezzo di un impianto fotovoltaico più accumulo scende di 100 euro”. Pigni spiega che oggi l’investimento stimato è di circa 3.500-4mila euro al kW, e che dovrebbe scendere del 25-30% entro il 2018.
Mimmo Sordella di 4USolution (http://4usolution.org) sposta l’accento sugli incentivi fiscali, “uno strumento sufficiente ad invogliare l’acquisto”. Semmai, spiega Sordella, “sarebbe opportuno rivedere i tempi della detrazione, e ridurli da 10 a 5 anni, più vicini ai tempi di vita di una batteria, mediamente tra i 6 e gli 8 anni”.
Gli incentivi per far crescere questo tipo di mercato avrebbero, inoltre, un potenziale effetto positivo per il sistema: “A un incremento dell’autoconsumo corrisponde un ridotto impatto bi-direzionale sulla rete, che trasporterà meno energia” spiega Davide Chiaroni, vice-direttore Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano (www.energystrategy.it). Parla di impatto bi-direzionale perché un utente che autoproduce energia durante il giorno (da un impianto fotovoltaico) ma la consuma la sera, in realtà vende alla rete energia elettrica, per poi acquistarla in un secondo momento (non avendo la possibilità di immagazzinarla).
Gli incentivi, a partire dal “Conto Energia” (il programma che tra il 2005 e il 2013 ha concesso incentivi per l’energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici connessi alla rete elettrica), sono stati importanti anche per la penetrazione delle energie rinnovabili, e in particolare del fotovoltaico. Ma oltre ad avere “un impatto molto forte sui costi, rendendo sostenibili gli investimenti, hanno aiutato lo sviluppo della tecnologia, fino a portarli oggi ad essere compatibili con un regime di assenza di incentivazioni” spiega Chiaroni. Se è vero, continua, “che gli incentivi hanno creato una ‘perturbazione del mercato’, facendo in modo che venissero installate tecnologie ‘fuori-mercato’, essi hanno contribuito a far progredire quelle tecnologie”.
Il Renewable Energy Report del maggio 2015, curato dall’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, evidenzia anche un altro effetto indotto dallo sviluppo della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel nostro Paese: il PUN (Prezzo Unico Nazionale) medio, cioè il prezzo a cui viene acquistata l’energia prodotta nel nostro Paese, è passato dai 72,23 euro per MWh del 2011 ai 52,08 euro per MWh del 2014, con un calo di oltre il 27%, mentre la produzione da fonti rinnovabili cresceva dal 29% a circa il 45% del totale. Questa riduzione ci riguarda: il PUN si riflette (indirettamente) nel costo della componente “energia” delle nostre bollette, anche se non abbiamo un impianto fotovoltaico sul tetto di casa. Secondo i ricercatori del Politecnico di Milano, anche depurando il dato relativo alla riduzione del Prezzo Unico Nazionale di fattori quali la riduzione della domanda complessiva, il calo del prezzo del petrolio, del carbone e del gas (le materie prime fossili utilizzate per generare energia elettrica, e quindi “concorrenti” delle fonti rinnovabili), “il calo del PUN attribuibile alle rinnovabili è nell’intorno del 16,9%”.
Le rinnovabili, cioè, fanno sì che l’energia costi meno, per tutti i cittadini italiani.
Questi dati andrebbero inseriti all’interno di una Strategia energetica nazionale, capace di inserire queste variabili all’interno di una cornice condivisa. “La Germania -spiega Gianluca Ruggieri, ricercatore dell’Università dell’Insubria- nel disegnare uno scenario di riduzione delle emissioni entro il 2050 tra l’80 e il 95% rispetto al 1990, immagina politiche fondate su tre pilastri: l’efficienza energetica a partire dagli edifici, capaci di consumare tra il 40 e il 60% in meno di oggi, la generazione da fonti rinnobabili e l’accumulo”. La Strategia del governo italiano invece tiene insieme la “produzione sostenibile di idrocarburi nazionali” (vedi l’articolo a fianco) e lo “sviluppo sostenibile delle energie rinnovabili” ma non si occupa di coordinare queste azioni, rendendo difficile -ad esempio- disegnare il nuovo mercato elettrico nell’era “rinnovabili 2.0”.
Se ad esempio un obiettivo fosse quella di ridurre l’impatto dell’energia elettrica sulla rete (si tratta di costi fissi di sistema, che a caduta hanno un peso in bolletta), oltre allo storage ci sarebbero altre vie, come favorire la possibilità di costruire reti locali, Sistemi efficienti di utenza (SEU). Attualmente, ad esempio, se un impianto è di proprietà di un condominio ed è realizzato su area condominiale, può cedere energia elettrica solo al condominio, per le utenze comuni, mentre i singoli condomini, che hanno un loro contatore, non possono usare l’energia prodotta da quell’impianto, ma devono acquistarla dalla rete.
E una rete “meno intasata” potrebbe evitare situazione come il black out che si è registrato a Milano a inizio luglio, nonostante ci sia energia elettrica in abbondanza, nei giorni in cui l’Italia ha toccato il record di domanda di energia elettrica, registrato il 7 luglio alle 16 con 56.883 megaWatt.
L’Italia è “dotato di un sistema elettrico ed energetico pensato nel ventesimo secolo”, ricorda Marco Pigni di FIAMM. L’azienda italiana è impegnata in alcuni progetti sperimentali legati all’accumulo di energia sulle isole. Legambiente ha pubblicato a luglio un report sulle “11 isole in transizione verso ‘100% rinnovabili’” (legambiente.it), mentre in Italia c’è solo un esperimento in corso a Ventotene.
Altrove, dal Giglio a Lampedusa, le isole si alimentano con energia prodotta da generatori a gasolio. Energia fossile incentivata in bolletta (tra 0,01 e 0,1 centesimi di euro per kWh), a carico di tutti gli utenti italiani. Che presto potrebbero “pagare” anche le centrali termoelettriche inattive: nell’autunno del 2015 potrebbero essere bandite le prime gare del “capacity payment”, il meccanismo che incentiva l’“energia fossile di riserva”. —
La tariffa svolta
Nell’arco dei prossimi tre anni, tra il 2016 e il 2018, l’Italia vivrà una rivoluzione, perché dopo oltre quarant’anni si interviene con una riforma che cambierà la bolletta elettrica delle famiglie italiane.
L’elemento centrale, secondo i documenti di consultazione che l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ha messo a disposizione degli utenti e di tutte le parti interessate (fino a inizio settembre è stato possibile inviare osservazioni) è la scomparsa della “tariffa progressiva”, cioè del meccanismo che permette di pagare “sotto-costo” i primi 1.800 kilowatt ora (kWh) consumati in un anno, scaricando in parte quel costo su “chi consuma di più”, applicando cioè una tariffa che cresce sempre di più al crescere dei consumi, dopo il superamento di determinate soglie (in particolare quelle di 2.700 kwH/anno e 4.500 kWh/anno). La tariffa progressiva sarebbe sostituita da una tariffa flat, piatta. Secondo l’Autorità, chi ha un fabbisogno maggiore di energia elettrica non è per forza uno sprecone. Tra i fattori che influenzano i consumi, infatti, c’è il numero dei componenti del nucleo famigliare. E se nel 1971 le famiglie piccole, fino a 3 componenti, erano il 57,3% del totale, oggi sono il 78,2% del totale. Soggetti che finiscono con l’essere “sussidiati”, perché consumano -spesso- meno di 1.800 kWh all’anno.
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