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Relazioni da maneggiare con cura

Un debito pubblico gigantesco, margini di flessibilità sull’attuazione dei parametri europei e gli effetti benefici della liquidità immessa dalla Banca centrale europea (BCE) rappresentano tre fattori di debolezza per l’economia italiana. Anche per questo il nostro Paese "non può permettersi scontri duri, e neppure incidenti diplomatici, con le cancellerie del Vecchio Continente", commenta Alessandro Volpi

È scoppiata, di nuovo, una tempesta perfetta sui mercati finanziari, scatenata da un insieme di tensioni che neppure il mare di liquidità generato dalle banche centrali riesce a contenere. Le sempre più fosche previsioni sul rallentamento cinese, con una crescita di poco superiore al 6%, il crollo del prezzo del petrolio, che sembra non avere più una soglia minima, la ricomparsa della geopolitica come elemento di crisi internazionale, l’incapacità dell’Europa di assumere un ruolo centrale e l’evidente isolazionismo americano contribuiscono a spingere l’enorme volatilità in direzione ribassista, o addirittura recessiva. In un simile panorama tendono a riemergere molte delle inquietudini mai sopite rispetto alla capacità di tenuta del sistema finanziario italiano. Tali preoccupazioni si legano ad almeno tre tratti chiari di debolezza del nostro Paese.

1) L’Italia continua ad avere un gigantesco debito pubblico che non accenna a ridursi rispetto alla ricchezza del Paese, ma anzi, pur beneficiando di una sensibile diminuzione degli interessi da pagare per trovare compratori, persevera nella sua lievitazione. Si tratta di una montagna di oltre 2.200 miliardi, pari al 132,2% del Pil, una percentuale quasi doppia di quella della Germania e comunque superiore di circa 40 punti rispetto a Francia e Spagna. Una parte importante di questo debito deve trovare ogni anno collocamento sui mercati e, come accennato, ha bisogno di non pagare interessi troppo alti per non esplodere ulteriormente. Ma la presenza della colossale mole debitoria italiana non ha soltanto un valore numerico perché tende a rappresentare agli occhi dell’opinione pubblica internazionale la prova più tangibile del “peccato originale” dello sviluppo italiano, drogato dagli “aiuti di Stato” e della connaturata tendenza a trasferire sulle generazioni future i problemi del momento.

2) I conti pubblici italiani hanno potuto godere negli ultimi due anni di un margine di flessibilità più ampio di qualsiasi altro partner europeo e soprattutto nel caso della recente Legge di Stabilità la deroga rispetto ai vincoli del Patto ha permesso di rintracciare coperture finanziarie altrimenti molto onerose per i contribuenti. Nella sostanza, gran parte delle clausole di salvaguardia imposte dall’Europa, a cominciare dall’aumento dell’Iva, sono state rimosse utilizzando ampi margini di deficit e rinviando il raggiungimento del pareggio di bilancio. Nonostante il debito pubblico complessivo non stia riducendosi, la Commissione europea non ha dunque ancora censurato il ricorso italiano ad alcune “attenuanti” per mettere in definitiva sicurezza almeno il parametro meno gravoso dell’azzeramento del deficit. 



3) La forte spinta espansiva in termini di creazione di carta moneta da parte della Banca Centrale Europea di Mario Draghi, che ha mutato in profondità i paradigmi di condotta, molto ortodossi, seguiti dai suoi predecessori, è stata interpretata da numerosi osservatori internazionali come lo strumento più efficace per permettere il collocamento a tassi di interesse persino negativi dei titoli pubblici venduti alle impegnative aste del Tesoro italiano. In effetti, da quando il bazooka di Draghi ha iniziato a sparare liquidità, gli spread particolarmente dolorosi per il nostro debito sono crollati e il divario fra i tassi di interesse italiani e quelli tedeschi è quasi sparito. Certo, l’azione della Bce, che è stata ritenuta addirittura “incostituzionale” dalla Bundesbank, aveva come scopo primario la difesa dell’euro da eventuali attacchi speculativi mossi, appunto, dai pericoli di insolvenza dello Stato italiano. 


È indubbio, tuttavia, che per molti europei simili massicce iniezioni di liquidità operate dalla Bce, e indirizzate alle banche italiane perché comprassero titoli del debito nostrano, siano state considerate un salvataggio sotto mentite spoglie.

Alle luce di queste tre debolezze risulta evidente che l’Italia non può permettersi scontri duri, e neppure incidenti diplomatici, con le cancellerie del Vecchio Continente, pronte a sottolineare l’anomalia italica. Si capisce bene, allora, perché le dichiarazioni provenienti dalla Commissione europea secondo cui a Roma non esiste un interlocutore hanno contribuito a gelare la Borsa di Milano facendo ricomparire la cupa immagine della triste estate del 2011, quando l’Europa ha obbligato di fatto il nostro Paese a cambiare la propria politica finanziaria. Davvero la fase attuale obbliga a “maneggiare con cura” ogni esternazione pubblica perché continuiamo ad essere al centro del mirino.

* Alessandro volpi, Università di Pisa
 
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