Ambiente
Quando il Fondo rischia di andare a fondo
COP17, primo fine settimana dall’inizio dei negoziati. I faldoni sul tavolo sono ancora tutti aperti, ma dietro le quinte cominciano a muoversi le diplomazie parallele. E sul Green Fund, che dovrebbe assicurare più di 100 miliardi di dollari entro il 2020 per combattere il climate change, cominciano ad aleggiare appetiti ormai conosciuti. Perchè il dramma del cambiamento climatico può essere un business da qualunque parte lo si guardi: green economy, estrazione di nuove materie prime e, perchè farseli sfuggire, finanziamenti freschi.
Era successo a Copenhagen. Ce lo avevano ricordato pure all’inizio della Conferenza messicana, giusto un anno fa. A fianco della formalità delle Nazioni Unite, fatta di accreditamenti, organizzazioni osservatrici e documenti pubblicati, esiste la diplomazia informale, fatta di incontri a porte chiuse e di discussioni vis-à-vis. Lo stesso Yvo de Boer, l’ormai dimenticato predecessore della Christiana Figueres alla direzione dell’UNFCCC lo aveva fatto capire, al tempo del disaccordo di Copenhagen, che forse delle simil "green room", e quindi gli incontri tra pochi, avrebbero aiutato il percorso negoziale.
Visti i risultati, ci permettiamo di dubitarne. Ma nonostante ciò, la stessa Maite Nkoana-Mashabane, ministra sudafricana per le Relazioni internazionali, c’è ricaduta in pieno e non su una cosa da poco, visto che si sta decidendo come rendere operativo il Green Fund da 100 miliardi di dollari.
Sono le Filipppine, a nome del G77, a sottolineare la cosa, ricordando come una decisione tanto importante debba essere presa attraverso procedure trasparenti, che permettano di stanziare, e subito, i soldi necessari.
Ma la questione della trasparenza è solo uno degli aspetti. A tenere banco è l’ipotesi che il fondo possa coinvolgere in modo potenzialmente invasivo anche il settore privato. Insomma con un fondo non ancora stanziato, e per il quale gli Stati Uniti chiedono anche un contributo da parte dei Paesi in via di sviluppo (contraddicendo gli stessi principi della Convenzione quadro) perchè non inserire, oltre i due ambiti da sostenere come la mitigazione e l’adattamento, anche il settore privato?
"Le risorse finanziarie per il clima, specialmente quelle per l’adattamento, dovrebbero essere nella forma di finanziamenti e dovrebbero essere nuovi ed addizionali, prevedibili ed adeguati" ricorda Frances Quimpo del CEC (Center for Environmental Concerns) dalle Filippine. "Se agli investitori privati sarà consentito di avere un ruolo, i problemi che la nostra gente sta affrontando a causa del cambiamento climatico saranno messi in secondo piano rispetto all’opportunità per le imprese di fare profitti, e non sarebbe nulla di nuovo rispetto ai prestiti onerosi che per decenni hanno portato i Paesi in via di sviluppo
all’indebitamento ed alla povertà".