Esteri
Petrolio e gas: preistoria di un’amicizia interessata (tra Italia e Kazakistan)
Il "caso Shalabayeva" deve fare i conti con gli interessi economici e politici intricati e stratificati di quel “sistema Italia” che vede negli accordi per lo sfruttamento energetico nel Caspio la propria punta di diamante. Nel 2007, Emma Bonino e Romano Prodi erano ad Astana con 200 industriali italiani, e poi visitarono -con Paolo Scaroni– il giacimento Eni di Kashagan
Quando si tratta lo spinosissimo caso Shalabayeva, spesso si omette di menzionare gli enormi interessi economici italiani in Kazakistan, a partire dal settore energetico. Ma non solo. Un lungo articolo uscito a marzo sulla rivista tedesca Der Spiegel parla del sostegno social-democratico europeo al presidente kazako Nursultan Nazarbayev e alla sua “dittatura post-moderna”. Figure di spicco del centro-sinistra del Vecchio Continente come Romano Prodi, Alfred Gusenbauer (cancelliere austriaco) e Aleksander Kwaniewski (presidente della Polonia) fanno parte dell’ “International advisory board” di Nazarbayev, non è dato sapere sulla base di quali livelli di compenso. Ciò che si sa è che lo stesso ex primo ministro inglese Tony Blair percepisce 9 milioni di euro l’anno in qualità di consulente del presidente kazako.
Quando, nell’agosto del 2007, il governo kazako ha avviato la rinegoziazione degli accordi di sfruttamento del mega giacimento di Kashagan (assegnato a un consorzio di giganti del petrolio guidato da Eni, i cui costi complessivi sono stati stimati lo scorso anno a 187 miliardi di dollari), si sono mossi tutti i livelli della diplomazia europea e nazionale per evitare che il giacimento passasse in mano russa o cinese. Dimenticando l’evidenza delle reali violazioni ambientali e dei diritti umani documentate da diverse organizzazioni della società civile internazionale recatesi nel paese (tra cui la Campagna per la riforma della Banca mondiale) il focus europeo e italiano è stato quello di tutelare gli interessi dell’azienda italiana (per l’appunto l’Eni).
Nell’ottobre 2007, Romano Prodi e Emma Bonino (allora ministro del Commercio con l’Estero) hanno guidato una delegazione di oltre 200 industriali italiani, partecipando al Forum economico Italia-Kazakistan ad Astana, organizzato assieme ad Abi e Confindustria. A margine dell’evento hanno “visitato” assieme a Paolo Scaroni (anche allora ad Eni) il giacimento di Kashagan. L’Italia ha sostenuto l’entrata del Kazakistan nell’organizzazione mondiale del commercio e la candidatura del paese alla presidenza Osce, mentre, durante il governo Berlusconi, ha firmato in un sol colpo 14 accordi economici bilaterali con il paese. Il tutto in occasione della visita a Roma di Nazarbayev, che Berlusconi definì “un caro amico”.
Il Kazakistan vanta riserve non sfruttate di petrolio e gas per miliardi di barili e metri cubi. Non c’è da stupirsi quindi se, nonostante i ripetuti appelli di organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch, l’Europa usi due pesi e due misure per garantirsi la propria “sicurezza energetica”. Paesi come il Kazakistan, l’Azerbaigian e il Turkmenistan sono tra i partner strategici europei per l’approvvigionamento del gas, mentre la stessa Commissione europea sta negoziando il primo accordo multilaterale per il gasdotto Trans Caspian, che dovrebbe appunto garantire la consegna di gas kazako e turkmeno al mercato del Vecchio Continente. Per dirla in maniera più schietta, il Kazakistan non è un paese al margine dell’agenda geopolitica europea, e nemmeno di quella italiana. Al contrario. Che in Kazakistan esista un sindacato unico (quello statale), che il settore petrolifero sia considerato “questione di priorità nazionale” e che la libertà di stampa e di espressione in merito alle questioni legate al petrolio siano di fatto inesistenti è fatto risaputo dai gabinetti di governo europei. Così come la cruenta repressione delle manifestazioni dei lavoratori del petrolio legati proprio alla costruzione degli impianti di Kashagan, e l’inasprirsi della repressione contro l’opposizione a Nazarbayev, che in molti ricollegano proprio alle proteste dei lavoratori del petrolio, non sono certo notizie che scopriamo noi.
Accertare le responsabilità del governo italiano sul mancato asilo politico ad Alma Shalabayeva e a sua figlia costituisce solo una parte di questa vicenda così spiacevole. L’altra parte investe gli interessi economici e politici intricati e stratificati di quel “sistema Italia” che vede negli accordi per lo sfruttamento energetico nel Caspio la propria punta di diamante, e che fa leva sulla confusione che ancora viene fatta tra la politica estera e gli interessi privati e finanziari di una multinazionale come l’Eni, in cui la partecipazione pubblica serve oramai solo come uno specchietto per le allodole. E quando parliamo di politica estera del nostro paese ovviamente ci riferiamo soprattutto ai vincoli internazionali nel rispetto dei diritti umani, nella cooperazione “allo sviluppo” e nella protezione dell’ambiente. E su cui è urgente fare chiarezza. Se poi tali presunte violazioni di diritti fondamentali avvengono in Italia nei confronti di dissidenti kazaki e di loro familiari, forse anche su imboccata delle autorità di Astana, non meravigliamoci. Chi va con lo zoppo petrolifero, impara a zoppicare pur di seguire il petrolio e il gas, si potrebbe parafrasare. Il tutto sotto gli occhi del nostro ministro degli Esteri, paladina dei diritti umani nel mondo.