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Perché il Sudan non è il Sudafrica

Il Sudan non è il Sudafrica. Non perché in Sudan non inizia il campionato del mondo di calcio, ma per una questione di elezioni. Dopo quasi cinquant’anni di apartheid, le prime elezioni democratiche in Sudafrica, quelle del 1994, avevano cambiato…

Il Sudan non è il Sudafrica. Non perché in Sudan non inizia il campionato del mondo di calcio, ma per una questione di elezioni.

Dopo quasi cinquant’anni di apartheid, le prime elezioni democratiche in Sudafrica, quelle del 1994, avevano cambiato per sempre il Paese e avevano impressionato il mondo: i milioni di sudafricani in composte e lunghissime file davanti ai seggi avevano consegnato il potere a Nelson Mandela e avevano saputo evitare il rischio di una guerra civile.

In Sudan invece le recenti elezioni (aprile 2010) non sembrano avere cambiato nulla. La guerra civile tra Nord e Sud durata dal 1983 al 2005 ha ucciso – direttamente o indirettamente – due milioni di sudanesi e ha lasciato rancori e divisioni profonde. Gli accordi tra Nord e Sud – o meglio trai due partiti egemoni, rispettivamente Ncp (Partito del congresso nazionale) e Splm (Movimento di liberazione – hanno obbligato i due rivali a dividersi il potere politico e le risorse economiche, a formare un governo di unità nazionale, a indire queste elezioni e soprattutto a organizzare per il prossimo gennaio un referendum in cui i sudsudanesi dovranno scegliere se rimanere a vivere in un Sudan unito o se creare un Sud Sudan indipendente.

Omar el Bashir è stato confermato presidente del Sudan con il 68% dei voti validi. Bashir ha preso il potere nel 1989 e da allora non l’ha mai mollato; porta sulle sue spalle il peso di due guerre civili, quella nel Sud e quella in Darfur; proprio per i crimini di guerra e contro l’umanità che sarebbero stati commessi in Darfur, la Corte penale internazionale ha emesso contro di lui un mandato di cattura. Ora grazie a questo voto “democratico” – non importa se le opposizioni si sono ritirate all’ultimo e se ci sono state innumerevoli segnalazioni di irregolarità e contrattempi nello svolgimento delle elezioni: di fronte allo spettro di una nuova guerra civile, tutti gli osservatori internazionali (Usa, Ue, Ua, Lega Araba) hanno accettato il risultato delle urne – Bashir potrà girare il mondo sostenendo di essere il presidente voluto dalla maggioranza dei sudanesi.

In Sud Sudan, che grazie ai trattati di pace ha una ampia autonomia, è stato confermato presidente Salva Kiir, il leader dello Splm, con oltre il 90% dei voti.

L’impressione è che queste elezioni siano state una mossa importante ma interlocutoria in attesa della mossa decisiva: il referendum di gennaio sull’autodeterminazione del Sud; tutti gli osservatori danno per scontato che la grande maggioranza dei sudsudanesi non vedano l’ora di diventare indipendenti, anche se è politicamente scorretto dirlo ufficialmente, in quanto la creazione di un nuovo stato in Africa sconvolgerebbe quel principio di intangibilità dei confini così caro alla Unione africana.

Se Bashir si “accontenterà” di governare a Khartoum potrebbe accettare un Sud Sudan indipendente, guidato incontrastatamente da Kiir, il quale in cambio si impegnerebbe a non infastidire Bashir nel Nord. Una divisione politica che preannuncia una divisione – anche fisica – del paese.

In una simili ipotesi, l’unica cosa che terrebbe in qualche modo ancora uniti i due Sudan sarebbero gli interessi economici. In primo luogo il petrolio: i giacimenti di petrolio sono nel Sud, ma gli oleodotti portano il petrolio prima a Khartoum dove viene raffinato e poi a Port Sudan, dove viene esportato. Sud e Nord possono così dividersi il business. E i grandi investitori, prima fra tutti la Cina – negli ultimi dieci anni il Sudan ha sviluppato una cooperazione economica con Pechino che è diventata un modello per tutta l’Africa – sono pronti a fare affari sia con il Nord sia con il Sud. Senza contare che sia i paesi dell’estremo oriente sia i paesi arabi hanno già iniziato a investire somme considerevoli in enormi estensioni di terra sudanese: l’agricoltura intensiva per l’esportazione potrebbe essere il prossimo boom economico sudanese.

E i problemi che affliggono i sudanesi: la povertà, la malnutrizione, gli sfollati in Darfur, le migliaia di morti causati dagli scontri tra etnie, nel Sud e nell’ovest del paese? Possono aspettare. Il Sudan non è il Sudafrica e Bashir (ma nemmeno Kiir) non è Mandela.

Diego Marani

 

Diego Marani è curatore di Darfur. Geografia di una crisi e di Scommessa Sudan, la sfida della pace dopo mezzo secolo di guerra, entrambi editi da Altreconomia.

 

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