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Parigi, la voce delle popolazioni indigene
A COP21 si discute degli effetti del cambiamento climatico su terre e tradizioni delle popolazioni indigene. Il racconto di tre giovani giornalisti del progetto collaborativo "Agenzia di Stampa Giovanile", 30 ragazzi di 12 Paesi, tra i quali 8 italiani.
Il Green Climate Fund (GCF), strumento fondato dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCC) per assistere i Paesi in via di sviluppo nel contrasto al cambiamento climatico n passaon prevede per loro ancora alcun ruolo attivo
“I popoli indigeni hanno diritto a definire ed elaborare le priorità e le strategie per lo sviluppo o l’utilizzo delle loro terre o territori e delle altre risorse” – Art. 32 della Dichiarazione delle Nazioni. Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni
Alla COP21 si stanno susseguendo molti eventi paralleli sul ruolo delle popolazioni indigene nelle strategie di adattamento e mitigazione. Durante l’evento "Potenziamento delle strategie di adattamento e di mitigazione e della sicurezza alimentare attraverso l’accesso diretto al Fondo Verde del Clima” è stata sottolineata l’importanza del ruolo attivo che queste popolazioni dovrebbero avere.
Jo Ann Guillao, ricercatore del Centro Internazionale per la Ricerca Politica e l’Educazione (TEBTEBBA) delle Filippine, ha parlato della forte interrelazione che c’è tra i cambiamenti climatici, la biodiversità e le conoscenze tradizionali. Per lui “la conoscenza tradizionale è una parte inseparabile della cultura degli indigeni e delle comunità locali, strutture sociali, economia, sostentamento, credenze, tradizioni, costumi, legge consuetudinaria, salute e il loro rapporto con l’ambiente locale” e questo è fondamentale per realizzare un contributo chiave per affrontare il cambiamento climatico.
Parlando degli impatti dei cambiamenti climatici e degli interventi, le popolazioni indigene rimangono al centro della scena ma il Green Climate Fund (GCF), fondato dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCC) come meccanismo per assistere i Paesi in via di sviluppo nelle pratiche di adattamento e mitigazione per combattere il cambiamento climatico, non prevede ancora nessun ruolo attivo per loro.
Klimaren Ole Riamit, direttore esecutivo dell’Indigenous Livelihood Enhancement Partners (ILEPA) dal Kenya e Victoria Tauli-Corpuz, inviata speciale delle Nazioni Unite sui diritti delle popolazioni indigene ha spiegato quali sono le richieste chiave delle popolazioni indigene. Prima di tutto, le popolazioni indigene dovranno avere accesso diretto alle risorse finanziarie, sotto il GCF, attraverso le loro organizzazioni rappresentative, basandosi sulle esperienze e sui precedenti di altri fondi del clima. Inoltre, il GCF dovrà impegnarsi a sviluppare la propria capacità di valutare e garantire appieno il rispetto delle norme dei diritti umani internazionali e gli obblighi relativi alle popolazioni indigene.
Oltre all’evento sopra descritto, si è tenuto un altro appuntamento parallelo riguardante le relazioni tra le popolazioni indigene e l’accesso ai fondi climatici per le politiche di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico. Il focus principale è stato posto su un progetto per gli indigeni dell’Amazzonia chiamato REDD+ Amazzonia Indigena RIA finanziato dal Programma di Investimenti Forestali (FIP). La cosa più interessante durante la discussione è stata che il tavolo del dibattito è stato condiviso da leader indigeni, persone del governo peruviano, del WWF a un rappresentante della Banca Mondiale.
Durante la prima parte vi è stato l’intervento di Plinio (rappresentante degli indigeni), che ha parlato di diritti di proprietà, gestione delle risorse e governance territoriale, in quanto vi sono attualmente pressioni dovute allo sviluppo delle attività petrolifere, alle piantagioni di palme da olio, e alla costruzione di impianti idroelettrici che afflige il 75% dell’area.
In seconda battuta è invece intervenuto Luis Tayori Kentero della tribù Harakbut che ha esposto uno studio sviluppato da dieci comunità per il governo peruviano. Il progetto in questione si basava sugli studi portati avanti da alcuni indigeni, che si sono focalizzati sulla ricchezza archeologica e culturale di alcune zone, sui luoghi sacri e sui danni che questi luoghi subiscono a causa dei cambiamenti climatici. “La regione di Madre de Dios è un territorio ricco di biodivesità ma in cinque anni potrebbe essere una regione desertica a causa dell’ambizione umana che guarda solo a soddisfare i bisogni senza pensare a quelli degli altri”, ha sostenuto Tayori Kentero.
In generale, durante questi primi giorni, sono stati dati molti spazi per far esprimere agli indigeni le loro richieste ai governi e agli organismi di finanza internazionali, a differenza dell’ultima COP, nella quale il tempo dedicato ai loro interventi spesso risultava marginale e insufficiente, vista l’importanza della loro voce.
* progetto di giornalismo collaborativo "Agenzia di Stampa Giovanile"