Esteri / Varie
Ostaggi di Bill
La Commissione europea spende ogni anno 5,4 milioni di euro in licenze Microsoft. L’open source? “Troppo di nicchia” —
La Commissione europea è ostaggio di Microsoft. La stessa multinazionale dell’informatica cui l’Antitrust dell’Unione europea, soltanto poco più di un anno fa (marzo 2013), aveva comminato una multa milionaria (561 milioni di euro) per aver disatteso gli accordi sulla scelta del browser, e non aver consentito agli utenti Windows di poter appunto scegliere liberamente il programma di navigazione da impiegare.
Quando si tratta di sistemi operativi e strumenti di produttività desktop (ad esempio il pacchetto Office), infatti, l’istituzione guidata oggi da Josè Manuel Barroso e che si rinnoverà insieme al Parlamento europeo con le elezioni del 24 e 25 maggio, risulta “in a situation of effective captivity with Microsoft”.
A dar conto della condizione di assoggettamento di una delle più importanti istituzioni comunitarie nei confronti della corporation fondata da Bill Gates -e guidata dal 4 febbraio scorso dall’amministratore delegato Satya Nadella- è stato proprio il Segretario generale della Commissione europea, Catherine Day. L’ha fatto il 31 gennaio 2014, a seguito di un’interpellanza presentata dall’europarlamentare svedese Amelia Andersdotter, interessata a conoscere le attività e le iniziative della Commissione a proposito di contratti e licenze in materia di software e di conseguente sviluppo delle soluzione open source. E non è un caso che abbia deciso di farlo in vista del mese di maggio 2014. Ma non per le elezioni (o non solo) quanto perché proprio questo è il mese in andranno in scadenza gli attuali contratti in essere. “L’attuale dipendenza -scrive Day ad Andersdotter- non è nuova e non riguarda soltanto la Commissione. Il 98% delle istituzioni pubbliche è nelle nostre stesse condizioni”.
Microfost “domina” il mercato, costringendo l’esecutivo comunitario a investire ogni anno 5,4 milioni di euro, e cioè due terzi delle risorse stanziate alla voce del proprio bilancio definita “office desktop solutions” in favore dell’impresa americana. Il resto -2,8 milioni di euro- spetta a fornitori indipendenti. È una mancanza di scelta (“lack of choice”) che, secondo Catherine Day, comporta benefici: “Avere un produttore solo -spiega nell’allegato alla risposta fornita ad Andersdotter intitolato “Future Office Automation Environment: Next Steps”– garantisce innegabili vantaggi in termini di costi, funzionalità, interoperabilità e coerenza tra sistemi che dialogano”. Ma il tasto “aggiorna” in questo campo non funziona. Infatti, sempre secondo Day, “business continuity” e costi di investimento rendono “nei fatti impossibile” un “cambio immediato” della filosofia e delle scelte comunitarie a riguardo. Il percorso richiederà più tempo ed è per questo che i contratti in scadenza verranno prorogati, in vista di una soluzione che nel calendario ha cerchiato il biennio 2017-2018, quando sarà già oltre metà mandato la nuova classe dirigente che si appresta ad approdare nelle istitutizioni europee. Quella della Commissione europea non è soltanto una dichiarazione di manifesta debolezza nei confronti di una multinazionale che, come visto, ha già multato, ma è anche una stroncatura di ogni sorta di alternativa soluzione open source. “L’utilizzo e lo sviluppo di questi strumenti -sostiene Day- è molto lento e la loro adozione risulta ancora marginale. I sistemi ad oggi esistenti scontano gravi limitazioni in termini di funzionalità (multilinguismo), supporto e servizi annessi”. Un’autentica “nicchia” del mercato, è la definizione sprezzante della Commissione.
Alla replica di Catherine Day ha fatto seguito una lettera aperta che l’organizzazione di promozione del software libero Free Software Foundation Europe (fsfe.org) ha indirizzato al Direttore generale del settore “Innovazione e supporto tecnologico” del Parlamento europeo, Giancarlo Vilella, cui spettano le decisioni su indirizzo e modalità di spesa in questo settore. Carlo Biana, avvocato milanese e rappresentante del team italiano di Free Software Foundation Europe racconta così movente e obiettivo della missiva spedita il 26 marzo scorso.
“Il nostro tentativo è quello di ricondurre le istituzioni europee a un più bilanciato acquisto di software, sia per un uso interno sia per un uso verso l’esterno, con particolare riferimento all’adozione di formati documentali aperti -spiega Biana-. Anche perché l’Unione europea, nella sua parte Antitrust, ha fatto molto per porre fine a questa condizione di ‘lock-in’”. Un atteggiamento bifronte: “Le stesse regole che l’Ue impone per il procurement -penso alla concorrenza spinta-, riflette ancora Biana, decadono quando si arriva al capitolo ‘infrastruttura tecnologica’.
Gli operatori sono i medesimi e le gare di fatto nominano un prodotto e non invece una specifica tecnica”.
“Nella nostra lettera chiediamo di uscire da questa condizione di dipendenza -ad esempio nelle infrastrutture di video-streaming come Windows Media Player o Silverlight– e non certo per una questione di costi”, rivendica Biana. Sul punto è molto chiaro: “Non è un fatto di ‘quantità’ ma di ‘qualità’ della spesa”. La quota di quei 5,4 milioni di euro spesi dalla Commissione per prodotti Microsoft spesi in licenze “sono una spesa, punto. Ma se la stessa cifra la investi in apertura, formazione e ricerca di competenza open source -aggiunge Biana- quella diventa un investimento”. La Commissione contesta un’insufficienza tecnica al software libero. “È un falso ritornello -riflette Biana-, smentito da un esempio classico: non penso che esista un prodotto con un supporto linguistico dalla natura migliore di quello di LibreOffice (libreoffice.org) e i supposti costi di migrazione potranno tranquillamente essere recuperati negli anni e indirizzati in assistenza e formazione, come già detto”. Vede spiragli? “Buone pratiche ci sono, come il software in parte libero e aperto chiamato AT4AM, in uso ai parlamentari europei per poter proporre e discutere gli emendamenti legislativi”.
Desktop e software che prendono anche la forma della sicurezza e della riservatezza dei propri dati. Secondo la direzione italiana di Linux Society, infatti, “della valenza politica del software libero si è avuto prova durante il conflitto diplomatico svoltosi con gli Stati Uniti sullo scandalo Nsa/Prism -spiegano-. Il fatto che l’Europa -e dunque i cittadini e le imprese europee- non sappiano implementare ed adottare piattaforme proprie determina un circolo vizioso di dipendenza e sudditanza tecnologica, non più teorica ma a questo
punto dimostrata ed empirica, dalla quale è difficile uscire”. Un modo c’è, forse, e si chiama “voto”. È in questa direzione che si muove la campagna “We promise” (wepromise.eu/it, promossa tra gli altri da Fsfe, Wikimedia e Access Info Europe) che dà conto di quei candidati al Parlamento europeo che abbiano formalmente assunto l’impegno in favore di standard aperti, protezione dei dati personali, crittografia e open source. Quando Ae va in stampa (17 aprile) delle decine di aspiranti europarlamentari italiani i firmatari, però, sono solo cinque (36 in Germania). —
A piede libero
I programmi open source vengono spesso rilasciati in forma gratuita, e questo comporta un notevole risparmio per l’utente. Esistono alternative “libere” a programmi che costano centinaia di euro. In un mercato dominato dalla pirateria, utilizzare programmi open source vuol dire poter fare a meno di software taroccati, programmi prestati da amici o scaricati illegalmente, con licenze fittizie. Attenzione però: non tutti i programmi e le applicazioni per smartphone e tablet, anche se gratuite, sono open source.
Spesso sono concessi gratuitamente ma non prevedono né licenze libere, né la possibilità di intervenire sul codice sorgente. Un esempio su tutti è il programma di navigazione “Explorer” di Microsoft. La crescita dei programmi open source è considerevole: le statistiche del sito SourceForge (sourceforge.net), un portale che ospita molti dei progetti open source, confermano questa tendenza con oltre 430mila progetti, 3,7 milioni di utilizzatori registrati e quasi 5 milioni di download al giorno. Si può sostituire il proprio sistema operativo (Windows di Microsoft o Mac Os di Apple) con Linux e tutte le sue varianti: un sistema operativo free e open source (gnu.org).
La “transizione” va fatta con attenzione, per non perdere dati preziosi. Il Linux Day può essere un’occasione per cambiare: il 25 ottobre 2014 sarà la quattordicesima giornata nazionale per GNU/Linux ed il software libero.