Approfondimento
“Non state a guardare e non arrendetevi mai!”
Oscar Luigi Scalfaro è stato uno dei padri della nostra Costituzione repubblicana, che contribuì a far nascere dopo essere stato eletto all’Assemblea costituente nel ’46. Giovanissimo magistrato, ha dedicato tutta la vita alla politica. Lo abbiamo intervista a Roma, nell’aprile 2011, in occasione dell’uscita del nostro libro su Teresa Mattei che con lui partecipò alla Costituente.
Presidente, con Teresa Mattei ha vissuto l’esperienza unica dell’Assemblea Costituente.
Ho conosciuto Teresa Mattei, donna che ha vissuto momenti tremendi: la morte del fratello Giancarlo, suicida nella prigione di via Tasso, dove le torture erano spaventose, la scomparsa del giovanissimo marito Bruno Sanguinetti…
Ma la ricordo, con grande ammirazione, soprattutto perché nella sua vita ha lavorato per la difesa dei diritti delle donne e dei bambini. Bellissimo! Ho potuto avere pochi contatti con lei a quel tempo, perché allora il Pci aveva una rigida disciplina e i colloqui con esponenti degli altri partiti erano difficili. Posso citare un aneddoto: ero molto amico di Cino Moscatelli, comandante partigiano in montagna, e all’insurrezione era stato Sindaco di Novara. Un rapporto preziosissimo, che destava in tutti grande meraviglia. In una campagna elettorale in Valsesia, a Romagnano Sesia, Moscatelli venne per amicizia al mio comizio, e quelli del suo partito vennero a dirgli di andare via. Lui rimase, al termine ci abbracciammo in modo commovente: poteva non essere d’accordo con le mie idee, ma era lì per ascoltarmi.
La disciplina di partito colpì anche Teresa…
Teresa Mattei prese posizione contro il Partito e allora con il Pci non si ragionava. Era così, e chiuso. Togliatti in un suo discorso in Parlamento nel 1951 defini due parlamentari Aldo Cucchi e Valdo Magnani -per le loro posizioni critiche sui legami tra il Pci e l’Urss- “pidocchi sulla criniera di un nobile cavallo”. Io che li conoscevo bene li guardavo in faccia: stavano zitti ma era chiaro che non condividevano queste modalità e questo disprezzo. I due -allora c’erano questa disciplina e senso di dignità- presentarono le dimissioni perché erano stati eletti da indipendenti ma con i voti dei comunisti. La Costituzione però dice che non esiste il vincolo di mandato e perciò respinse le loro dimissioni.
Più di recente, quando ho terminato il mio settennato sono entrato nel gruppo misto, visto che da ex presidente mi sembrava corretto non prendere posizione. Ma nel gruppo misto ho trovato centinaia di onorevoli, perché chi non aveva il numero di 10 membri al Senato e 20 alla Camera confluiva lì. Questo è un sintomo della situazione odierna, che io chiamo la “patologia”, e di cui la vittima maggiore ancora oggi è il Parlamento. Colpire il Parlamento significa colpire nel cuore la democrazia. Demo-crazia -che non vuol dire “governo della piazza”- significa che le persone scelte liberamente dal popolo e sono la prima colonna della democrazia stessa.
C’era, soprattutto fra voi più giovani, la consapevolezza di avere la responsabilità di “rifondare” una nazione?
Questa domanda mi è stata fatta più volte. In un dibattito mi hanno chiesto se sapevamo di stare vivendo un periodo storico unico. Eravamo consapevoli che si vivesse una stagione assolutamente nuova nella difesa della dignità e dei diritti della persona. Tra le leggi che il governo provvisorio aveva promulgato, quella che riguardava la Costituente stabiliva che i 556 membri eletti avevano lo specifico compito di scrivere la Carta costituzionale.
Tuttavia, molte questioni erano ugualmente oggetto di discussione in Aula. Questo dava il termometro del valore del Parlamento: ad esempio, se era all’ordine del giorno del Parlamento la questione dell’occupazione delle terre o un’altra di analoga importanza, le piazze si calmavano, perché quella era davvero l’assemblea dei rappresentanti, votata dal popolo con le preferenze.
Oggi non c’è un Parlamento, non lo si può chiamare così. La legge attuale permette che ogni partito candidi chi vuole, indipendentemente dalla scelta del popolo. Ognuno così ha il suo pezzo d’interesse, il suo orticello. È un segnale pesante del calo dei valori fondamentali.
Racconto sempre un episodio, che non dimenticherò mai, dell’Assemblea Costituente: un giorno i comunisti -si discuteva non ricordo quale questione- scesero dagli scranni con l’intenzione di menar le mani. Per molti giovani, liberali, repubblicani, democristiani, fu uno choc. Ma dove siamo capitati? Che assemblea è quella dove si va avanti a pugni e calci? Terracini sospese la seduta e qualche ora dopo, alla ripresa, due che avevo visto picchiarsi discutevano insieme per scrivere gli articoli della Costituzione. Avevo pensato che sarebbe stata una rottura disastrosa, invece compresi che il dovere di redigere la Costituzione vinceva su tutto.
Che figura era Teresa Mattei in quell’ambito tanto importante?
La Mattei in un certo senso faceva parte già di un ‘mondo responsabile’. Lo era stata tra i partigiani, dove aveva avuto un ‘grado’ equivalente a quello di capitano. A Montecitorio era segretaria di Presidenza ed era la più giovane. Non ebbi molte occasioni di parlarle, ma notavo questa collega così giovane e così matura, mentre in quel momento io facevo parte delle “truppe” Ho riletto di recente uno dei suoi interventi in Aula: è quello di una persona che ha una maturità intellettuale considerevole. Un intervento non lungo, ma significativo. Dimostrava preparazione e serietà. Non esprimeva un pensiero giovane ma già maturo, quello di una persona che con la sofferenza ha maturato molte cose. E quando ha “rotto” con il partito ha dimostrato statura.
Per fare un paragone: noi giovani eravamo molto affezionati al presidente dell’Assemblea Costituente Terracini, che era comunista e di famiglia ebrea. Era stato in galera e al confino e quando all’insurrezione era uscito dal confino non aveva trovato neanche uno dei suoi ad accoglierlo.
Terracini ha sempre avuto una spina dorsale che nessun partito poteva piegare. Così i giovani democristiani, socialisti, liberali gli erano davvero affezionati. La stessa ammirazione provavo e provo per la Mattei.
Era così giovane e così esile -anche fisicamente- ed aveva avuto il coraggio di affermare le proprie opinioni e di mettersi contro il partito, che era un esercito schierato in campo, dicendo “No, non accetto”, cose grandiose.
Non è stato un peccato che abbia abbandonato la vita parlamentare?
Qualche volta ho pensato che forse fuori dal Parlamento ha prodotto più di quello che avrebbe fatto se fosse rimasta “ingabbiata” al suo interno. Teresa infatti è riuscita a fare solidarietà con le colleghe della Dc e di altri partiti, mantenendo una visione sempre ampia, perché quello che le interessava erano i diritti delle donne. Quanti sono disposti a difendere la dignità della donna insieme con persone di diversi schieramenti? Senza andare a calcolare la “fede” di ciascuno in questo o quel partito.
Teresa ha cercato nella sua vita la parità vera, quella per cui -per esempio- la donna che fa lo stesso lavoro dell’uomo non può essere pagata di meno. O che dev’essere tutelata sia come lavoratrice sia come madre. Ci sentimmo più volte durante il mio settennato. Lei fu molto buona con me.
I rapporti personali superavano quindi le barriere politiche?
Questa è stata una delle ricchezze dei nostri tempi, e spiega quale fosse il clima dell’epoca e della Costituente stessa. Avevo due grandissimi amici comunisti. Eravamo su schieramenti opposti ma c’era una grande stima e un rapporto di fiducia. Ebbi un ottimo rapporto anche con la Presidente della Camera Nilde Iotti, di cui ho sempre rispettato molto la fede nel Parlamento. In certi periodi “impossibili” del mio settennato, un biglietto, una telefonata che mi faceva capire il suo accordo con quello che facevo, erano iniezioni forti di fiducia. Avevamo studiato entrambi all’Università Cattolica di Milano: io a Giurisprudenza e lei a Lettere. Mi raccontava che era stato un suggerimento di suo padre, che le aveva detto: “meglio i preti che i fascisti”. Frase che ho trovato sempre molto efficace.
Teresa Mattei ha detto che nemmeno un terzo di quanto è stato sancito dalla Costituzione si è realizzato.
Abbiamo spesso rischiato di non applicare alcune cose che ritengo fondamentali. Mi sono sentito particolarmente in dovere di porre attenzione, per la responsabilità che ho avuto, all’articolo 11 della Costituzione, con quel verbo “ripudia la guerra”, che non lascia spazio a dubbi. Allora ad esempio, dopo il mio settennato, prima di cominciare la guerra dell’Iraq, mi trovai a dire: “non si è andati contro l’articolo 11, ma di sicuro ne è uscito un po’ sofferente…”. Il Consiglio Supremo della Difesa dichiarò che si era in stato di “non belligeranza”. Ricordo che quando uscì questo comunicato mi sentii ringiovanire, perché avevo sentito questo termine nel periodo fascista. “Non belligeranza” vuol dire che sono armato dalla testa ai piedi, e se sparo, sparo contro Tizio e a favore di Caio… Ma se ripudio la guerra questo comporta ripudiare anche la “preparazione” alla guerra. In questa occasione, molto più della politica ha fatto Papa Giovanni Paolo II, cui anche chi non faceva parte della Chiesa riconosceva il ruolo di “capo” del popolo che voleva la pace.
Queste posizioni fondamentali, come quella del diritto al lavoro, devono essere difese. Sostenere che oggi ogni cittadino ha “diritto al lavoro”, e fare sì che questo diritto sia effettivo è veramente cosa di là da venire. Racconto la mia esperienza di allora: finiti gli studi mi aveva catturato l’attrattiva della magistratura; sognavo la ricerca della verità applicata alla giustizia (i giovani sognano, e meno male che ogni tanto si sogna). Decisi però di dare una volta sola (lo si poteva dare al massimo due volte) l’esame di magistratura. Se fosse andato male, non avrei fatto il secondo. Potevo permettermelo perché sapevo che la Banca Popolare di Novara, che allora era la prima banca popolare dell’Europa, era pronta ad assumermi quali che fossero i miei titoli di studio, perché era in una fase di espansione.
C’era una vera possibilità di scelta. Oggi no. Abbiamo persone laureate che vanno a scaricare cassette ai mercati generali per avere quattro soldi in tasca perché hanno famiglia e figli.
Quale potrebbe essere considerata oggi una forma di “Resistenza”?
Prima di tutto: non state alla finestra a guardare. È troppo comodo. È grande la tentazione da parte dei giovani di dire che la politica è sporca e che è un mondo di profittatori. Se questo fosse vero si moltiplicherebbero le ragioni per entrarvi a portare un clima diverso per attuare la giustizia per chi ne è più lontano. È dannoso stare con le mani in mano. Allora dico: non state a guardare e non arrendetevi mai! Lo ripeto ai giovani “Non arrendetevi mai”.
La Carta costituzionale è minacciata? E qual è la minaccia più grave?
Si ha la sensazione che sia in atto una corrosione generale… Tante volte ho detto che la Costituzione è una tavola di legno, perché il legno è più vivo del marmo, ha sempre qualche cosa da dire. Se però ho una tavola di noce e colpendola con un pugno lascio il segno vuol dire che c’è un’erosione, che le tarme divorano questo legno dal di dentro. Che cosa possiamo fare? Entrare nel merito e nel dibattito, comunque sia, altrimenti ci tiriamo fuori dalla comunità di cui abbiamo l’onore di fare parte. Un atteggiamento, una parola, tutto può servire. Tutto. E verrà il giorno che finisce… (il Presidente sorride). Sotto l’altro aspetto, il vulnus più grave inferto alla Costituzione, a mio parere, è la legge elettorale! Chi ha votato e scelto davvero questi nomi? Nessuno! Quindi questa è una legge contro la democrazia, la quale, come abbiamo visto, ha come punto focale la scelta dei rappresentanti del popolo. Siamo sottozero. Ma non perdiamoci d’animo.
Un ultimo ricordo di Teresa Mattei…
Ribadisco che la ricordo con grande ammirazione per la puntualità e la saggezza. Non ho mai riscontrato in lei atteggiamenti faziosi o polemici, ma anzi una maturità molto anticipata, anche per la fermezza dimostrata di fronte al suo partito. La scelta di Teresa è stata di percorrere la strada della difesa dei deboli, per tutta la vita.
La mia stima per una donna che ha fatto cose molto belle non inizia oggi, ma continua -da allora- con molto affetto.
Roma, 5 aprile 2011
Oscar Luigi Scalfaro, nato a Novara, classe 1918, iscritto all’Azione Cattolica dall’età di dieci anni, è uno dei padri della nostra Costituzione repubblicana, che contribuì a far nascere dopo essere stato eletto all’Assemblea costituente nel ’46. Giovanissimo magistrato, ha dedicato tutta la vita alla politica. Ha militato per molti anni nella Democrazia Cristiana. È stato parlamentare in tutte le legislature -dal ’48 al ’92-, anno in cui fu nominato presidente della Camera dei Deputati, funzione che svolse un solo mese, diventando Presidente della Repubblica nel maggio di quell’anno.