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“Noi della Diaz” è un precipitato di storie.
Non vi inganni il fatto che Lorenzo Guadagnucci sia un giornalista, anzi “il” giornalista che ha vissuto in prima persona la notte dei manganelli. “Noi della Diaz” è una storia che appartiene a tutti e che – in fondo – è stata scritta da tutte quelle persone che nella loro vita hanno subìto un sopruso da parte delle forze dell’ordine, quelle che vogliamo ostinatamente sperare siano – soprattutto nei loro vertici – dei leali servitori dello Stato e dei cittadini tutti.
“Noi della Diaz” è una storia di storie. Non è un caso che il titolo coniughi la prima persona plurale. È la storia di persone con nome e cognome ma anche di persone che, nella concitazione del momento, Lorenzo identifica con un tratto caratteristico, un vestito, la lingua parlata; è una storia non unidimensionale ma ricca di sfumature, dove non ci sono buoni e cattivi ma persone. Uomini della polizia che riversano sul primo malcapitato le proprie frustrazioni e altri che esitano a far ricadere il manganello. “Carcerieri” in ospedale capaci di umanità ma altri – come a Bolzaneto – pronti a esercitare in modo improprio il monopolio della forza.
“Noi della Diaz” è una storia che è diventata altre storie: il film del 2012 di Daniele Vicari “Diaz-Don’t Clean Up This Blood” (qualunque opinione se ne abbia) prende spunto da questo e da altri racconti e lo traspone in modo vivido, con Elio Germano nel ruolo di Lorenzo.
“Noi della Diaz” è una storia che non è finita per tutti, ma è proseguita con i molti processi, quelli ai manifestanti, quelli ai poliziotti, quelli ai depistatori e quello – fuori dalle aule di giustizia – allo Stato stesso.
Questa nuova edizione – la prima è del 2002 e la seconda del 2003 – cade nel ventesimo anniversario dei fatti di Genova ma il suo scopo non è solo fare memoria o celebrare una ricorrenza. La riflessione sulla “macelleria latinoamericana” – 66 feriti su 93 persone, alcuni anche in maniera grave – va infatti oltre la cronaca.
Lo testimonia la nuova prefazione del magistrato Enrico Zucca che mette in piena luce alcuni elementi che il tempo non cancella: la grottesca e menzognera gestione della comunicazione e dei media nella conferenza stampa del mattino dopo; la definizione di quello che è accaduto nella scuola e che integra in pieno la fattispecie della tortura; il tentativo di trasformare le vittime in colpevoli nel corso dei processi.
A proposito dei processi è utile ricordare la sentenza di condanna della Corte Europea dei diritti umani del 2017, nella quale, scrive Zucca: “i giudici di Strasburgo non hanno usato mezzi termini per condannare lo Stato italiano”.
Un libro – infine – che è di estremo interesse per chi voglia spiegare il G8 a “chi non c’era”, ai propri figli e nipoti, o a chi è ancora scettico su quello che è accaduto oppure che nel 2001 era “distratto”. Lo stesso obiettivo si pone “2001-2021 Genova per chi non c’era. L’eredità del G8: il seme sotto la neve”, di Angelo Miotto, appena uscito per Altreconomia.
Perché – come scrive Lorenzo – “la sfida resta quella di convincere che un altro mondo è possibile, cominciando a costruirlo”.
In appendice, l’agro “diario dal carcere”: i tre giorni di Paolo Fornaciari, arrestato in via Tolemaide il 20 luglio 2001 e pestato nel comando dei carabinieri.
Buona lettura.
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