Opinioni
Nessuna tassazione senza rappresentanza
La bozza della legge di Stabilità 2016 mostra una volta di più come sia ormai sparita l’autonomia finanziaria dei Comuni, e anche le Regioni vedono contratti i propri margini di autonomia. Gli enti locali vivono solo sui "trasferimenti" dello Stato. C’è davvero il pericolo di perdersi per strada oltre duecento anni di storia costituzionale
Le ultime Leggi di stabilità e le varie modifiche normative introdotte di recente tendono a dar vita a un forte centralismo istituzionale, destinato a generare non poche conseguenze. I tre livelli in cui era articolata la dinamica delle funzioni e delle competenze amministrative si sono di fatto significativamente ridotti, non solo per il progressivo esaurimento delle Province ma anche per il deperimento degli altri due livelli, a cui sono sottratte prerogative vitali. Ormai è sparita l’autonomia finanziaria dei Comuni: la cancellazione dell’Imu e della Tasi sulla prima casa, il permanere del gettito sui fabbricati produttivi nelle mani dello Stato e la natura tariffaria della tassazione sui rifiuti hanno privato gli enti locali di qualsiasi capacità di prelievo fiscale autonomo. In estrema sintesi, ai Comuni è rimasta la possibilità di agire soltanto sulle aliquote dell’Imu sulle seconde case dal momento che la calda esortazione del presidente del Consiglio a non toccare le aliquote della compartecipazione Irpef ha limitato anche l’utilizzo di questo strumento. In realtà, in maniera paradossale, la residua possibilità di aumentare dello 0,8 le aliquote Imu sulle seconde case è riservata solo ai Comuni che lo avevano già fatto nel 2015 e non agli altri; un premio, in sostanza, a chi è stato meno virtuoso.
Si approda così ad una situazione in cui l’unica voce fiscale rimasta ai Comuni con molte limitazioni -appunto quella sulle seconde case- grava su cittadini che spesso, soprattutto nei Comuni turistici, non sono residenti e dunque non votano nel territorio in cui vengono tassati. Il rischio derivante da tutto ciò è che la partita delle entrate locali si giochi interamente sul terreno delle tariffe dei servizi, dalle mense agli scuolabus, senza alcun legame con un’idea più complessiva di fiscalità generale, in grado di permettere ai Comuni di concepire una politica fiscale complessiva. Ritorna in auge, al contrario, la finanza “derivata”, costruita sui trasferimenti che dovrebbero provenire dallo Stato, obbligato a “restituire” ai Comuni il gettito dei tributi soppressi: una scelta -quella tracciata anche nella bozza di Stabilità 2016- che non consente però in alcun modo agli enti locali di essere giudicati per la loro capacità di realizzare formule di equità e di efficacia fiscale, contraddicendo il fondamentale principio per cui “non esiste tassazione, senza rappresentanza”, a meno di non considerare la futura, unica, Camera parlamentare nelle condizioni di garantire un simile, fondamentale patto di cittadinanza.
D’altra parte, anche le Regioni vedono contratti i propri margini di autonomia finanziaria, già normativamente ridotti, per effetto dei vincoli sovraordinati a cominciare da quelli che bloccano le addizionali Irpef, i cui aumenti sono imposti unicamente dai piani di rientro dai disavanzi sanitari. Se poi a ciò si assomma il potenziale buco di circa venti miliardi di euro che promana dall’improprio utilizzo effettuato dal Piemonte e da altre Regioni delle risorse messe a disposizione dallo Stato per la liquidazione dei debiti pregressi, i vincoli all’autonomia finanziaria risulteranno ancora più stringenti. Si tratta dell’esito, per molti versi scontato, di una profonda riforma del fisco che non ha preso le mosse dal sistema delle imposte statali, a cominciare dall’Irpef e dalle sue aliquote, ma dai tributi locali, prima modificati a più riprese, con eccessiva velocità, e ora drasticamente tagliati. In questo modo le istituzioni più vicine ai territori sono state private della parte decisiva della propria azione politica e amministrativa -le entrate- per essere trasformate, peraltro senza modifiche dell’assetto normativo del Testo unico che ne qualifica la natura e le funzioni, in mere esecutrici delle scelte dello Stato, nell’ambito di una prospettiva, come accennato in apertura, fortemente centralistica.
Ma così facendo quale sarà la rappresentanza che legittima la tassazione? C’è davvero il pericolo di perdersi per strada oltre duecento anni di storia costituzionale.
* Alessandro Volpi, Università di Pisa
© Riproduzione riservata
Nella foto, l’assemblea ANCI che si è tenuta a Torino il 28 ottobre, al Lingotto. Il governo è intervenuto per presentare la bozza di legge di Stabilità