Esteri / Approfondimento
Monitor, osservatorio sul mondo (dicembre 2017)
Un “filo rosso” lega le cose che succedono in Paesi diversi di ogni continente. Questa rubrica -a cura della redazione di Altreconomia- non vuole offrire al lettore notizie, ma la capacità di leggere i fatti in una cornice più ampia. Per comprendere le dinamiche economiche, sociali e politiche di quelli che comunemente vanno sotto la voce “Esteri”
Stati Uniti: l’emergenza dei farmaci oppiacei
Nord America
Negli Stati Uniti si continua a morire di overdose e i principali responsabili sono i farmaci oppiacei. In base ai dati del “Centers for disease control and prevention” (cdc.gov), nel 2015 la cosiddetta “Opidemic”, l’epidemia dei farmaci a base di oppiacei, ha ucciso circa 33mila persone negli Stati Uniti, su un totale di 52mila decessi per overdose. Si tratta di 91 cittadini statunitensi che muoiono ogni giorno. Con un aumento di quattro volte rispetto al 1999. Una recente inchiesta del New York Times stima che il numero dei decessi nel 2016 potrebbe superare le 59mila unità. E, in assenza di interventi adeguati, la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente nel 2017. Il presidente Donald Trump ha proclamato lo stato di “emergenza sanitaria pubblica”. Ma, denuncia sempre il NYT, non sono stati stanziati fondi aggiuntivi.
Se l’America Latina manca gli obiettivi “green”
America Latina
Cresce l’utilizzo delle energie da fonti rinnovabili in America Latina, ma in modo disomogeneo e non sufficiente a soddisfare gli impegni presi nella riduzione dei gas serra. Per il “Climate Action Tracker” (climateactiontracker.org), solo la politica del Costa Rica sarebbe “compatibile” con questi impegni. “Insufficienti” Brasile, Messico e Perù, “fortemente insufficiente” l’Argentina e “criticamente insufficiente” il Cile. Il Brasile è il più grande inquinatore regionale, con un aumento della deforestazione e un’economia lontana dall’essere carbon free procede in direzione opposta rispetto al proprio “Piano di espansione energetica 2026” che fissava come obiettivo quello di rifornirsi da fonti rinnovabili per il 48% del suo fabbisogno nazionale (escluso l’idroelettrico). Nel complesso, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, l’America Latina contribuisce al 5% dei gas serra del Pianeta, ma con la crescita della combustione fossile e dell’industria del cemento questa percentuale è destinata ad aumentare.
I lobbisti del gas e le scelte dell’Unione europea
Europa
Nel corso del 2016 l’industria del gas ha speso oltre 100 milioni di euro e ha schierato oltre mille lobbisti e un esercito di addetti alle pubbliche relazioni per fare pressioni sugli organismi dell’Unione europea. È la denuncia di Corporate Europe Observatory (CEO, corporateeurope.org), contenuta nel report “The great gas lock-in”.
“La vicinanza dell’industria del gas ai decisori politici e il loro potere finanziario gli ha permesso di imporsi all’ordine del giorno, mettendo il proprio profitto prima dell’interesse del clima e dei mezzi di sussistenza delle comunità che si trovano lungo la catena di approvvigionamento del gas”, si legge nel report. All’interno della Commissione europea e dei governi si è fatta strada l’idea che il gas sia un combustibile “pulito”. Sono stati così sottoscritti accordi per la realizzazione di nuovi progetti infrastrutturali, spesso controversi come la costruzione di nuove pipeline per aumentare le importazioni di gas da Azerbaijan e Algeria (Paesi che non rispettano i diritti umani).
In Libia, migranti venduti all’asta. La denuncia in un reportage della CNN
https://tinyurl.com/yas2455h
Inquinamento atmosferico: Cina e India sono circondate
Asia
Lo scorso 7 novembre, nella città di Delhi è stato dichiarato lo stato di emergenza per la salute pubblica a causa del grave peggioramento della qualità dell’aria. Le centraline hanno rilevato una concentrazione di 710 microgrammi di PM 2.5 per metro cubo contro i 112 microgrammi per metro cubo che si registrano solitamente in città (dati OMS). Ben al di sopra di Londra (15 grammi per metro cubo) e persino di Pechino (85 micro grammi per metro cubo).
Tutta l’Asia deve fare i conti con i problemi legati all’inquinamento atmosferico. Più della metà dei 6,5 milioni di morti causati dall’inquinamento atmosferico si registrano in soli due Paesi: India e Cina. Dove sono numerose le città densamente abitate e congestionate dal traffico a motore, come Pechino, che sono circondate da una foschia persistente di aria inquinata la maggior parte dei giorni dell’anno. Un problema che riguarda anche diverse metropoli pachistane come Peshawar, Islambad e Karachi.
Una ricerca curata da Greenpeace e dall’università di Harvard prevede per i Paesi del Sud-Est asiatico un drastico peggioramento della qualità dell’aria a causa dell’aumento del consumo di energia elettrica (più 83% tra il 2011 e il 2035) con un conseguente aumento del consumo di carbone. I ricercatori calcolano che già oggi circa 20mila persone muoiano nella regione a causa delle emissioni inquinanti delle centrali a carbone. E questo numero arriverà a quota 70mila entro il 2030 se verranno realizzati tutti i progetti di ampliamento o di costruzione di nuove centrali a carbone attualmente in programma.
Negli ultimi 25 anni abbiamo perso 300milioni di ettari di foresta e l’acqua potabile a disposizione per ogni abitante si è ridotta del 26%. Sono dati che fanno gridare all’allarme gli scienziati riuniti nella “Union of concerned scientists”.
I droni Inglesi restano Siria e Iraq
Medio Oriente
Ai primi di novembre, il ministero della Difesa inglese ha annunciato che i caccia impiegati in Siria e Iraq contro i miliziani dell’ISIS torneranno nel Regno Unito entro i prossimi sei mesi. Mentre “i droni continueranno a volare sopra Iraq e Siria per aiutare le forze locali a vigilare contro il ritorno dei miliziani”. Un fatto che per Chris Cole, fondatore del sito di informazione “Drone wars UK” andrà ad alimentare l’instabilità nella regione.
9.460 i richiedenti asilo afghani deportati dall’Europa nel Paese d’origine nel 2016 (3.290 nel 2015). La denuncia di Amnesty
Migrazioni, il 75% di chi si sposta resta in Africa
Africa
L’Africa è in movimento, ma la destinazione non è l’Europa. Il 75% di tutti gli spostamenti nelle regioni dell’Africa sub-sahariana rimangono all’interno del continente. Nella maggior parte dei casi, il modello dominante è la migrazione interna: in Nigeria e in Uganda, l’80% di chi lascia la propria casa resta all’interno del Paese. È quanto emerge da uno studio curato dalla Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per cibo e agricoltura, fao.org) dal titolo “Rural Africa in motion” e corredato da mappe dettagliate su crescita demografica e spostamenti. “Conoscere le dinamiche migratorie è essenziale per elaborare risposte adeguate alle migrazioni interne ed esterne”, spiega Kostas Stamoulis, direttore generale del dipartimento per lo sviluppo sociale ed economico della FAO. Tanto più che nei prossimi anni l’Africa dovrà fare i conti con gli effetti dei cambiamenti climatici (che spingeranno ulteriormente i fenomeni migratori) e con la crescita della popolazione che porterà circa 380 milioni di giovani nel mercato del lavoro entro il 2030.
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