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Opinioni

Lo Stato-Casinò

Ci sono numeri che colpiscono molto. Quelli della raccolta plurimiliardaria di giochi e lotterie sono tra i più sconvolgenti: le cifre relative agli ultimi anni infatti fanno dubitare dell’esistenza della peggiore crisi dell’economia italiana dal dopoguerra.

Oppure, costituiscono la drammatica testimonianza della disperazione dilagante e del diffondersi di una malattia sociale di acuta gravità che spinge migliaia di italiani a sperperare il pochissimo denaro di cui dispongono; un dato questo tanto più preoccupante in un paese dove, secondo le ultime rilevazioni di Bankitalia, la metà più povera della popolazione deteneva solo il 9,4% della ricchezza complessiva e il 10% delle famiglie più ricche era titolare di quasi il 46% di tale ricchezza.

Nei primi 10 mesi del 2012, la raccolta di videolotterie, giochi on line, lotterie, gratta e vinci e amenità simili è stata pari in Italia a 70,26 miliardi di euro, che si sommano ai 62,3 miliardi dell’analogo periodo dell’anno precedente: oltre 150 miliardi di euro in due anni costituiscono un’enormità, proveniente dalle tasche più o meno magre degli italiani, ben superiore all’impatto complessivo delle ultime tre manovre finanziarie che hanno sommato la cifra record di 100 miliardi cumulati.

Quanto gli italiani destinano al gioco è decisamente superiore ai pesanti aumenti fiscali sommatisi in questi due anni e ai tagli di spesa draconiani posti in essere dal governo Monti. Su questa montagna di denaro allo Stato rimane, in base ai dati forniti dall’Agenzia delle dogane e dall’Amministrazione autonoma dei monopoli, poco meno di 7 miliardi di euro, con un calo del gettito fiscale rispetto al 2011, nonostante il già ricordato incremento della raccolta, dell’8,2% dovuto al progressivo spostamento da parte degli utenti, magari anche per effetto delle scelte dei gestori, su giochi gravati da una tassazione più bassa.

A rendere meno angoscianti queste cifre concorrono i numeri sulla spesa effettiva degli italiani che, al netto, delle vincite è pari, ogni anno, a 14-16 miliardi di euro. In sostanza, il paese si gioca una settantina di miliardi e ne perde annualmente una quindicina; in tempi di crisi sono numeri davvero incredibili. Di fronte ad un fenomeno di simili proporzioni sono necessarie misure urgenti: non è davvero accettabile il persistere di un’aliquota media intorno al 10%, più bassa di quella sui titoli di Stato, il cui collocamento è così indispensabile per la salute dei conti pubblici.

Aumentare l’aliquota media di qualche punto garantirebbe certamente un gettito maggiore che consentirebbe di migliorare le condizioni fiscali del paese e dunque di inserire l’innalzamento del prelievo proveniente da giochi e lotterie nell’ambito di un riequlibrio più complessivo dei carichi tributari tra le diverse imposte. Questo naturalmente non deve indurre all’individuazione di ricette troppo facili per cui, attraverso l’incremento delle aliquote sui giochi, si possono reperire le risorse per la totale cancellazione dell’Imu sulla prima casa in quanto una tale copertura presenta costanti elementi di aleatorietà e assomiglierebbe molto agli escamotage contabili destinati a finanziare maggiori spese senza di fatto avere la certezza delle risorse realmente disponibili, con conseguenti, successive difficoltà di bilancio.

Ma soprattutto l’ipotesi di aumentare il gettito fiscale dai giochi vorrebbe dire coltivare delle vere e proprie ludopatie che dovrebbero essere invece scoraggiate con l’adozione di regole più severe e restrittive sia per i costi economici sia per i costi sociali e umani conseguenti. L’aumento dell’aliquota, in tal senso, dovrebbe essere abbinato ad altri disincentivi di natura regolamentare volti a ridurre piuttosto che ad incrementare la diffusione di queste forme di giochi. Proprio il termine giochi, del resto, qualifica molto male una destinazione verso cui si indirizza una parte tanto rilevante della ricchezza nazionale, la successiva distribuzione della quale viene affidata al caso, alla retorica della “dea bendata”, che rappresenta l’ultima delle soluzioni a cui un paese civile e la sua popolazione dovrebbero affidarsi.

Certo, introdurre troppe regole potrebbe favorire il diffondersi di un mercato nero dei giochi, ben oltre i confini già esistenti; ma tale motivazione non può certo essere utilizzata per giustificare il diffondersi di una patologia così grave che distorce in maniera palese qualsiasi principio di “sana” distribuzione della ricchezza. Lo Stato non può seguire le logiche dei Casinò.

*Università di Pisa

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