Ambiente / Opinioni
Lo sfasciocene di chi ama la natura solo con “l’uomo dentro”
Nel discorso pubblico -anche di governo- dominano il negazionismo ecologico e la falsa soluzione della crescita. Come resistere. La rubrica di Paolo Pileri
Durante il discorso di apertura della XIX legislatura, l’onorevole Giorgia Meloni ha pronunciato due affermazioni fortemente anti-ecologiche: “Non disturbare chi vuole fare” e “Quello che ci distingue da un certo ambientalismo ideologico è che noi vogliamo difendere la natura con l’uomo dentro”. La prima, promossa a slogan di governo, è il marchio di fabbrica dell’ordoliberismo e dei suoi corollari come l’idolatria della crescita (citata 16 volte nel discorso), l’accumulo compulsivo di beni, la deregulation come regola.
Ma attenzione alla seconda: smaccatamente fuori da questo tempo, ci trascina indietro di duecento anni. Annunciare un programma di governo nel bel mezzo della più grande crisi ecologica dicendo che la natura ha senso solo se c’è l’uomo dentro, significa non aver capito che il problema è proprio che l’uomo è troppo dentro la natura da decine di anni, saccheggiandola, inquinandola, consumandola senza limiti.
Quel “dentro” l’avranno copiato dal Twiga: i lidi esistono se c’è dentro un Briatore. O dal modello “Jova beach party”: la spiaggia esiste se ci possono saltare sopra 30mila persone e chi si oppone è un econazista. Questa non è sostenibilità ovviamente, ma un orribile antropocene in tenuta da sommossa che faremmo meglio a chiamare sfasciocene.
Il discorso di Giorgia Meloni è una pervicace ostinazione a negare i limiti in nome della solita crescita, come già fece arrogantemente Ronald Reagan nel 1983. Siamo davanti a un corpo decisionale ecologicamente scentrato, aiutato da un’opposizione che fatica a indignarsi e pure a interrogarsi sul suo fallimento. Cambiano i governi ma la sensibilità culturale di chi amministra peggiora, lasciando sempre più spazio al negazionismo ecologico e alla continua idea che la crescita illimitata sia l’unica ricetta per salvarci.
E dire che 50 anni fa a Roma, nella stessa città dove la presidente del Consiglio ha messo una pietra tombale sulla prospettiva ecologica, veniva presentato il rapporto “I limiti dello sviluppo”, voluto e incoraggiato da un industriale, Aurelio Peccei, e non dal solito ambientalista ideologico. Il titolo fece scalpore e lo farebbe ancor oggi visto che non ci scrolliamo di dosso l’idea che la prosperità si trova pompando illimitatamente la crescita, quando invece la troveremmo nell’equilibrio e nel rispetto della natura (Tim Jackson, 2022).
Nel 1972 a Roma veniva presentato il rapporto “I limiti dello sviluppo”. Oggi, al contrario, il governo ci propina una visione distorta della natura che piace al capitalismo e alla sua ossessione a far funzionare un mercato fallito da tempo.
I limiti esistono, è la seconda legge della termodinamica a dircelo. E noi, soprattutto noi, dobbiamo darcene di seri e pure in frettissima. E dentro quei limiti disegnare un nuovo modello culturale, sociale ed economico possibile senza sfiorare la natura: altro che lo sfasciocene dove chi paga pretende e non va disturbato. Abbiamo passato un ottobre che sembrava fine maggio, non ci basta per capire che dobbiamo cambiare tutto? Quella là fuori è l’unica natura che abbiamo: non ne arriva una seconda. Alla Cop27 il segretario generale dell’Onu ha indicato solo due strade davanti a noi: un accordo collettivo o il suicidio collettivo. Il primo ha bisogno di un radicale cambiamento di abitudini ed economie, il secondo di non fare poco o nulla, oppure occuparsi di greenwashing. Il secondo è lo sfasciocene.
Sempre alla Cop27 ci si è interrogati su come impegnare i governi per rendere più consapevoli i cittadini della crisi climatica ed ecologica così da ingaggiarli meglio nella sfida del cambiamento. Ma da noi, mi par di capire, dobbiamo lavorare al contrario: noi cittadini dobbiamo metterci a formare i politici visto che continuano ad andare in direzione ostinata e contraria. Buon 2023.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)
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