Ambiente
Libia: “Noi conosciamo bene il Paese”, parola dell’Eni
Tratto dal blog http://www.andreasemplici.it/cms/
Leggo una intervista a Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni.
Uomo prudente. Ha atteso che i ribelli entrassero a Tripoli per decidersi a parlare pubblicamente. Troppi gli interessi dell’Eni, nel paese. Primo produttore di petrolio in Libia, da qui l’Eni estraeva il 15% della sua produzione. Un terzo del nostro fabbisogno energetico. Per settimane, all’inizio della rivolta di Bengasi, l’Eni ha oscillato fra la fedeltà a Gheddafi e la tentazione di schierarsi con i ribelli. Mica era facile capire chi avrebbe vinto prima dell’intervento della Nato. E gli affari valgono ben più di un’anima cristallina.
Ma non è questo che mi ha colpito nelle parole di Scaroni. A me interessano i dettagli, quelli che rivelano gli uomini. L’amministratore delegato fa due affermazioni in qualche modo sorprendenti. ‘Noi conosciamo bene la Libia’, dice. E’ vero: l’Eni è nel paese da quasi sessanta anni, nell’era di Gheddafi era uno Stato nello Stato; era potente, il nostro ente petrolifero, più potente di un’ambasciata. Ma se conosceva così bene il paese, come è possibile che non avesse avuto alcun sentore di quanto stava covando sotto le crepe del regime? Possibile che più di un mese dopo le rivolte arabe in Tunisia ed Egitto, l’Eni non sia stata capace di prevedere quando stava per succedere in Libia? Vero, nessuno ne è stato capace, ma Scaroni precisa che l’Eni conosce il paese meglio di chiunque altro. Forse è arrivato il tempo di disfarsi degli uomini della sua intelligence.
Adesso Scaroni definisce una pagliacciata la cavalcata dei cavalli berberi di Gheddafi a Roma. Capisco le diplomazie, ma un briciolo di coraggio (avventato) avrebbe potuto dimostrarlo anche allora (nemmeno un anno fa). Tutti sapevano di questa pagliacciata e allora perché almeno non sussurrarlo. O, in nome degli affari, si accetta tutto?
Davvero ci vorrebbe un processo internazionale a Gheddafi. Il rais potrebbe chiamare a sua difesa i premier di quasi tutto il mondo occidentale. Da Silvio Berlusconi a Tony Blair, da Gordon Brown a Sarkozy. Davanti alla sua tenda, si sono messi in fila tutti. Perfino Condoleeza Rice, segretario di stato di George Bush, andò a Bab al-Azaziya a dire che ‘non si è nemici per sempre’. E il ministro degli esteri, Frattini, a pochi giorni dalla sollevazione di Bengasi, non esitò a definire Gheddafi come un modello per il mondo arabo.