Ambiente
L’eolico indigesto sui crinali
Tra le province di Alessandria, Genova, Pavia e Piacenza, quattro progetti modificheranno il paesaggio. Protestano i comitati locali.
Oltre all’inchiesta che potete leggere di seguito, non perdetevi i due documentari, che trovate qui e qui.
La ricetta per rendere indigesta una fonte rinnovabile preziosa ed efficiente è semplice: si prenda un tratto dell’Appennino con montagne tra i 1.200 e i 1.600 metri, spazzato (poco) dal vento. Dopodiché, si piazzino sui crinali decine e decine di pale eoliche alte quaranta metri più del Duomo di Milano (che misura 108 metri). Infine, poiché non esistono elicotteri in grado di trasportare i tronchi di aerogeneratori di tali dimensioni, si trasformino i crinali in tanti cantieri fatti di strade su cui possano passare convogli lunghi fino a settanta metri. Nell’eventualità in cui i versanti fossero tutelati da vincoli paesaggistici e naturalistici, perché zona di migrazione ad esempio, il risultato è assicurato.
Ecco che cosa sta accadendo nel basso Piemonte, sui crinali appenninici dei monti Giarolo, Chiappo ed Ebro, dove la provincia di Alessandria confina con quelle di Genova, Pavia e Piacenza.
In una regione scarsamente predisposta all’eolico, come buona parte del Nord Italia, dall’ottobre del 2010 le società Equipe Group, Concilium ed Enel Green Power -in competizione fra loro- hanno proposto rispettivamente la collocazione di quarantadue, sessantasei e trentasette (poi divenuti ventotto) aerogeneratori. Una “foresta” eolica, che farebbe schizzare il potenziale piemontese dagli attuali 12,7 Mw installati (pari allo 0,2% del totale nazionale) a più di 250Mw -nel caso del progetto Concilium, quelo da 66 torri-.
“Siamo i primi a reclamare lo sviluppo delle energie rinnovabili, il futuro è rinnovabile e non fossile. Ma non ci sta bene che in nome degli incentivi si vada a compromettere un territorio” spiega Giuseppe Raggi. È uno dei componenti del “Comitato delle Quattro Province” (www.comitato4p.org), e con loro siamo saliti alla Bocca di Crenna, a più di 1.500 metri d’altezza.
E da quassù appaiono evidenti le criticità dei “parchi eolici” in divenire, il motore che ha spinto a costituire il Comitato, nel gennaio 2011: per ciascuna pala, ad esempio, sarebbe necessaria una piazzola di cantiere di 1.800 metri quadri, con una base pari a due campi da calcetto. “Non sarebbe altro che un macro insediamento industriale in aree idrogeologicamente problematiche, paesaggisticamente di pregio, naturalisticamente rilevanti e fortemente attrattive per il turismo”.
Non a caso nell’agosto 2009 la Regione Piemonte, con il Piano paesaggistico regionale, aveva vietato “interventi di nuova edificazione o di sistemazione del terreno ricadenti in un intorno di 50 metri per lato dai sistemi di vette e crinali montani e pedemontani”. Un vincolo che determinerebbe l’incompatibilità di qualunque ipotesi progettuale di eolico sui crinali. “Salvaguardia” che ha fatto esprimere alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici parere negativo (ottobre 2011) rispetto ai progetti. Negativo come il giudizio espresso dal sindaco di Borghetto di Borbera (Al), Alberto Bussalino, nei confronti del progetto di Equipe Group. Borghetto è stata individuata come zona di passaggio dell’elettrodotto interrato -lungo 20 chilometri- che dovrebbe trasportare l’energia prodotta sui crinali alla vicina centrale Terna di Vignole Borbera (Al), come area di cantiere (10mila m2 su suolo libero) e di transito dei mezzi che trasportano le pale (500 convogli lunghi fino a 70 metri), per alcuni tratti anche lungo il torrente Borbera, dove è prevista una pista sul greto lunga circa 2 chilometri. Inoltre, date le dimensioni dei mezzi necessari per far arrivare decine e decine di pale lungo crinali appenninici, sono state previste diverse “rifilature” delle cosiddette “strette del Borbera”, dove il torrente diventa poco più che un rio. Lungo quel tratto stradale, infatti, il raggio di curvatura non è sufficientemente ampio per permettere ai convogli di svoltare. “Qui la roccia è particolarmente friabile -spiega Bussalino guidandoci per le strette-, e la Provincia di Alessandria ha investito nella messa in sicurezza: non riesco a capire come possano ‘rifilare’ l’intero tratto per più di quattro chilometri”. Sul futuro dei macro-insediamenti proposti da Equipe Group e Concilium si è espressa in aprile la Presidenza del Consiglio dei ministri, cui si è rivolta la Provincia di Alessandria, bocciando entrambi i progetti. Nel frattempo, però, Enel Green Power, l’area dedicata alle rinnovabili del colosso energetico, ha frazionato in due e ridimensionato l’iniziale progetto di 37 aerogeneratori. Il primo, da 17 torri alte 130m e una potenza complessiva di circa 40Mw, è previsto al di sotto del vincolo dei 50 metri dai crinali alessandrini. L’altro, da 11 aerogeneratori della stessa altezza, sarebbe realizzato nella vicina valle Staffora, nella provincia di Pavia. In Lombardia, infatti, non sussiste alcun vincolo paesaggistico. Anche la Giunta provinciale pavese, però, su proposta dell’assessore all’Ambiente Alberto Lasagna ha votato all’unanimità (nell’ottobre del 2011) una delibera che esprime l’“orientamento sfavorevole ai parchi eolici sui territori montani dell’appennino oltrepadano, piemontese ed emiliano, in considerazione delle notevoli trasformazioni introdotte da tali tipologie di impianti”. L’assessore Lasagna teme che “la realizzazione di questi impianti necessiti di un’infrastrutturazione imponente su versanti ad oggi praticamente privi di strade, tranne qualche pista forestale. Tutti abbiamo davanti agli occhi che cosa è capitato su montagne di quelle caratteristiche, come a Genova, in occasione di piogge frequenti. Non vorrei che per ‘rincorrere’ una risorsa rinnovabile, come l’eolico, si generassero problematiche gravi a livello di dissesto idrogeologico”.
Lasagna, però, non fa i conti con i “certificati verdi”: introdotti dal ‘99 ed emessi dal Gestore dei servizi energetici (Gse, www.gse.it), rappresentano la parte incentivante per i produttori di energia. Secondo i dati forniti dall’Associazione nazionale energia del vento (Anev, www.anev.org), ogni Mw/h prodotto oggi frutta all’installatore circa 150 euro (70 euro è il valore dell’energia, 80 euro quello dei certificati verdi). La situazione è destinata a cambiare per gli impianti che entreranno in funzione a partire da gennaio 2013: il regime incentivante dei certificati verdi verrà sostituito da una tariffa unica omnicomprensiva, a partire da una base d’asta di 127 euro per Mw/h prodotto. Un operatore del settore ci spiega che con il ribasso non si scenderà comunque “a meno di 110 euro”.
Prendendo ad esempio la produzione annua stimata per l’impianto previsto sui crinali alessandrini dalla bergamasca Equipe Group (che sostiene di investire circa 250 milioni di euro, pari a 1,6 milioni per Mw installato) il ricavo ammonterebbe a poco meno di 43 milioni di euro ogni anno (cifra a cui vanno sottratte voci come la manutenzione degli impianti, l’eventuale affitto dei terreni, i tassi d’interesse bancario e le royalty da riconoscere ai Comuni). Ecco dunque spiegato il fortissimo (e legittimo) interesse di privati ed aziende ad “accaparrarsi” qualunque sito potenzialmente fruttifero, puntando forte su impianti (dotati di una vita media di 25-30 anni) di vasta scala.
Scala che, almeno nel caso piemontese, stravolgerebbe le previsioni di Anev per il “potenziale eolico installato” al 2020: l’Associazione, infatti, per sei regioni italiane scarsamente interessante dalla risorsa eolica, tra cui il Piemonte, ha pianificato una capacità massima di 150Mw. Basterebbe uno solo dei “parchi” proposti sui crinali appenninici delle valli Borbera, Curone e Staffora per stracciare la quota parte piemontese.
Eppure c’è chi, come il sindaco di Vignole Borbera, Giuseppe Teti, è convinto che “il macro-eolico stia alle valli come la Torre Eiffel a Parigi”. Un incubo per Maurizio Carucci, 31enne genovese trasferitosi in val Borbera per avviare un’attività agricola biologica su piccola scala -la sua è un’eccezione in un territorio soggetto a un tendenziale spopolamento-: una volta ottenuto il mutuo da Banca Etica per l’acquisto di una cascina, ha scoperto di dover fare i conti con una selva di pale.
E pensare che a meno di un’ora di automobile dai crinali sui quali siamo saliti col Comitato “quattro p”, per prefigurare l’impatto dei parchi eolici “appesi” alla decisione di Palazzo Chigi, spingendosi in una gola verdissima, c’è Montoggio (Ge). Il piccolo comune ligure, amministrato da Valter Ranieri, ha installato a proprie spese una pala di mini-eolico, con una potenza pari a 55Kw: è alta poco meno di 25 metri. Con un investimento di 200mila euro (compreso l’allacciamento), coperto grazie a un mutuo ventennale, l’amministrazione oggi garantisce energia pulita a un centinaio di abitanti e incassa, ogni anno, tra gli 8 e i 15mila euro. La pala è in località Sella, a 800 metri d’altezza, “in un punto dove si può persino vedere il mare” assicura Ranieri, ed è interamente realizzata con tecnologia italiana. “Non fosse stato per la lentezza disastrosa dell’Enel per l’allacciamento, e un maledetto fulmine caduto lo scorso inverno proprio sulla testa della torre -spiega Ranieri- avremmo un quadro più definito delle prestazioni della pala. Oggi possiamo tranquillamente dire che sta funzionando”.
A fronte dell’immediatezza delle cifre, degli elenchi degli impianti presenti nel Paese (il mini eolico è poco sotto lo 0,3%), della potenza installata presente (l’energia eolica, nel 2011, ha contribuito alla torta dei consumi complessivi per il 3,2%) e futura (Legambiente ad esempio stima che entro il 2020 si possa più che raddoppiare l’attuale dato di circa 7mila Mw, corrisponde un’insolita difficoltà nel valutare l’effettiva efficienza dei macro-insediamenti. Anev, ad esempio, ha risposto che “informazioni sugli impianti che non sono remunerativi non vengono divulgate anche se […] si presuppone che più di qualcuno sia in difficoltà”. Un elemento da chiarire, visti i sacrifici cui è chiamato il territorio che accoglie un mega parco eolico. —
L’ENERGIA DAL VENTO
L’Italia, con una potenza di 6.912 MegaWatt distribuita su 450 Comuni, è il terzo Paese europeo per diffusione di impianti eolici sul territorio. I dati del rapporto di Legambiente “Comuni rinnovabili 2012” (www.legambiente.it) collocano l’Italia dietro a Germania (circa 30mila Mw installati), Spagna (circa 22mila Mw) e davanti a Francia e Regno Unito, entrambe a quota 6.600 Mw.
Sicilia, Puglia, Campania, Sardegna e Calabria contribuiscono a questo risultato (sempre in termini di Mw installati) per l’85%. Dalla lettura della cartografia pubblicata sull’Atlante eolico (atlanteeolico.rse-web.it) emerge infatti la scarsissima predisposizione delle regioni del Nord: dal Friuli al Veneto, dalla Lombardia alla Valle d’Aosta, dal Trentino al Piemonte.
Nel 2011 l’eolico ha fatto registrare una crescita pari a 950 Mw, collocati in 47 nuovi “parchi”. Le grandi pale sono così arrivate a coprire il 3,2% dei consumi complessivi di energia elettrica, con una produzione annua di 10Twh. I principali gruppi imprenditoriali attivi nel settore sono la spagnola Gamesa e le tre italiane Enel Green Power, Edison e International Power. Aziende che puntano tutto su macro impianti: il cosiddetto mini-eolico, infatti, raggiunge lo 0,3% del potenziale installato. Secondo l’Associazione nazionale energia del vento la potenza eolica installata al 2020 dovrebbe attestarsi intorno ai 16mila Mw, poco più del doppio della capacità attuale.