Ambiente
L’elemento mancante – Ae 84
L’acqua non si consuma, ma ha bisogno di tempo per tornare ad essere disponibile. Viaggio lungo il Ticino, in provincia di Varese, che un tempo era il “pisciatoio d’Italia” e che oggi invece viene rifornita dalle autobotti Dall’autostrada Torino-Milano si…
L’acqua non si consuma, ma ha bisogno di tempo per tornare ad essere disponibile. Viaggio lungo il Ticino, in provincia di Varese, che un tempo era il “pisciatoio d’Italia” e che oggi invece viene rifornita dalle autobotti
Dall’autostrada Torino-Milano si esce all’altezza di Arluno. Poi si segue verso Turbigo, fino al ponte sul fiume Ticino. Questo sarebbe il periodo delle piene dovute allo scioglimento della neve alpina. Invece, specie se si guarda verso Nord, sembra una cava di ghiaia.
Le piogge di maggio hanno migliorato la situazione, ma il fiume ha una portata minima, agonizzante.
Da queste parti siamo ancora nella provincia di Milano. Puntiamo a Nord, verso quella di Varese. Lunga la strada si scavalca il Naviglio Grande. Dalla superstrada tra Lonate Pozzolo
e Oleggio, passando sopra il Canale Villoresi, si scende di nuovo al Ticino. Una targa ricorda che da qui passava il marmo utilizzato per costruire il Duomo di Milano. Proveniva dalle cave di Condoglia, in Val d’Ossola. Scendeva lungo il lago Maggiore, poi per il Ticino e lungo i Navigli fino a Milano. Poiché era utilizzato per la “veneranda fabbrica del Duomo”, e pertanto indicato con la sigla “A.u.f.”, ad usum fabricae, viaggiava gratis, senza pagare dazio. Da qui l’espressione “ad ufo” usata ancora oggi. Solo che oggi è impensabile che una chiatta carica di marmi passi su queste acque così poco profonde.
Lo scorso anno il “fiume azzurro” è rimasto completamente a secco, senza neppure quel “minimo deflusso vitale” necessario per la conservazione e la protezione dell’ecosistema. Quest’anno le cose non sembrano tanto diverse.
Il governo ha decretato lo stato di emergenza idrica all’inizio di maggio. L’emergenza riguarda il Nord Italia, non il Sud. Le foto dei fiumi in secca e dei terreni aridi sono apparse su tutti i giornali e le tv. La causa è la carenza di pioggia, innanzitutto. Mancano all’appello metà delle precipitazioni tra settembre 2006 e aprile 2007, la superficie del manto nevoso a febbraio era un terzo rispetto all’anno precedente, e la neve era alta la metà. I numeri sono indiscutibili: in Italia il 49% dell’acqua prelevata viene utilizzata in agricoltura (20 miliardi di metri cubi su 42 totali), poi c’è il settore industriale col 21%, quello civile col 19% e la produzione di energia elettrica con l’11%. Dati che sono stati sufficienti a dar vita a un rimpallo di accuse tra agricoltori (il Nord-Ovest consuma metà dell’acqua destinata a uso agricolo) e produttori di energia idroelettrica (che custodiscono l’acqua nei bacini alpini per farne elettricità d’estate, quando verrà pagata di più). In mezzo, le rassicurazioni della politica sul fatto che l’acqua nei rubinetti delle case non mancherà. Sarà, ma nella provincia di Varese sanno bene come sono andate le cose lo scorso anno. A luglio 2006 due dozzine di comuni andarono in crisi, con l’acqua potabile che veniva distribuita con le autobotti. Oggi la situazione è analoga: solo chesiamo a maggio. Il 23 sono state piazzate le prime cisterne nelle piazze di Azzate, Daverio e Galliate Lombardo. La distribuzione con le autobotti negli altri paesi è prevista a partire dalla prima settimana di giugno. Anche a Varese la situazione è tutt’altro che rosea: quello che era chiamato il “pisciatoio d’Italia”, per via delle continue piogge, ha segnato un meno 70 per cento nelle precipitazioni di questi mesi, tanto che il sindaco ha firmato un’ordinanza per limitare l’uso dell’acqua potabile. Nella quale si dice, tra le altre cose, di non lavare l’auto, di non riempire le piscine private, di non usare gli impianti di irrigazione,
di limitare l’uso d’acqua in casa. E che sono previste multe per chi trasgredisce. L’ordinanza riguarda anche altri 11 comuni della provincia. L’Aspem, la società che gestisce l’acquedotto di 33 comuni della provincia varesina, ha diffuso per tempo una campagna di sensibilizzazione per il risparmio idrico. I cartelloni mostrano un pesciolino rosso la cui boccia di vetro è tutt’altro che piena d’acqua. Negli opuscoli informativi, l’Aspem scrive senza mezzi termini che “la situazione idrica nei nostri comuni è davvero seria” e parla di “gravi problemi di approvvigionamento”. Poi, i consigli: chiudete l’acqua quando vi lavate i denti, fate la doccia e non il bagno, usate lavatrici e lavastoviglie a pieno carico, riutilizzate l’acqua di cottura della pasta per lavare i piatti (www.aspem.it/acqua.asp). Infine aggiunge: “La nostra provincia non
è carente d’acqua. Manca purtroppo uno sfruttamento adeguato: ci sono comuni che dispongono di acqua in misura superiore alle necessità, altri che ne hanno meno”. E questo è il paradosso: a Varese e provincia non manca l’acqua. Non solo: l’agricoltura è praticamente inesistente e non ci sono bacini idroelettrici. Non c’è competizione tra agricoltori e produttori di energia. Il territorio è diviso in tre: la parte Nord, più montagnosa, è poco popolosa e non ha problemi idrici. In quella a Sud, più pianeggiante, vivono 450 mila degli 850 mila abitanti della provincia. Sono qui la maggior parte delle aziende
e della capacità industriale. E l’acqua è addirittura abbondante. Invece, nella fascia centrale, pedemontana, quella di Varese, del suo lago, del lago di Monate e di quello di Comabbio, i 300 mila abitanti di acqua non ne hanno. Le falde superficiali, da dove tutti attingono, sono già andate in crisi. Ecco: nella provincia di Varese l’acqua c’è ma è mal distribuita. E in periodi di siccità prolungata come quello che stiamo vivendo la situazione diventa drammatica. Fino a pochi anni fa le piogge riuscivano a ricaricare le falde, ma è un processo che dura settimane, o mesi, e avviene d’inverno, quando piove e nevica. Oggi non accade, e anche se piovesse ora non sarebbe sufficiente. A questo va aggiunto l’innalzamento delle temperature, che aumenta il fabbisogno idrico, e lo scandalo di una rete distributiva che in media, in Italia, perde il 42 per cento di quanto immesso. A Varese, dove ogni abitante consuma in media 214 litri d’acqua al giorno, le perdite sono del 29%. L’acqua non è come il petrolio, non si esaurisce. Però bisogna andarsela a cercare, scavare nuovi pozzi, collegare gli acquedotti, aumentare le interconnessioni. Un costo energetico, quindi, che si traduce in costo economico (un chilometro di acquedotto costa 200 mila euro) che le tariffe (tra le più basse d’Europa) non riescono a coprire. Anche per questo non si deve sprecare acqua: perché prima che rientri nel circuito degli acquedotti servono tempo, energia e soldi. Infine: nel varesotto si è costruito troppo, con estese concentrazioni di palazzi, fabbriche, centri commerciali, ma con gli stessi acquedotti di prima. In falda c’è meno acqua anche perché la distesa di cemento ha impermeabilizzato il terreno. Non è un caso se in Lombardia, dove si registrano tassi di crescita di nuove costruzioni doppi di quelli del resto d’Italia, sono rimaste a secco le province di Varese, Lecco e Bergamo. Anche il cemento asseta.
Tutti i buchi di una provincia circondata dall’acqua
Il Ticino corre per 248 chilometri, dal Passo di Novena in Svizzera fino alla confluenza nel Po dalle parti di Pavia. Ha un bacino idrografico di 6.600 chilometri quadrati diviso a metà tra Svizzera e Italia e alimenta il corso lungo il lago Maggiore. Per il primo lungo tratto della parte italiana corre sul confine della provincia di Varese (nella cartina accanto). In questa zona si consumano ogni anno 245 milioni di metri cubi d’acqua, essenzialmente per il settore industriale, terziario e domestico. In provincia è presente una rete di 6.000 chilometri di acquedotti, con perdite dell’ordine del 29%.
In Italia la media è del 42%, che vuol dire 10 mila metri cubi al chilometro, sei milioni di litri persi al minuto. Ogni cittadino italiano paga, in media, 52 centesimi di euro per ogni metro cubo di acqua consumata, la metà rispetto al resto d’Europa.