Ambiente / Varie
Le trivelle referendarie
Manca un mese alla consultazione popolare "Ferma le trivelle": gli italiani sono chiamati a votare il 17 aprile. Dallo Sblocca-Italia all’ultima legge di Stabilità, tutte le scelta di un Governo ha scommesso sulla ricerca ed estrazione di gas e petrolio. Una scelta rischiosa per l’ambiente che ha generato confusione normativa
Quando il governo Renzi ha varato la legge “Sblocca Italia” (la 164 dell’11 novembre 2014) -una norma che incentiva e rende strategico l’approvvigionamento da fonti fossili nel nostro Paese- nessuno avrebbe pensato che il tema della ricerca ed estrazione di gas e petrolio entrasse nel dibattito nazionale. Una scelta che mette a rischio la sostenibilità dei territori a vocazione agricola e paesaggistica e quella delle coste.
Sono oltre 130 infatti i progetti ricadenti nei mari italiani, tra concessioni già attribuite, permessi di ricerca e nuove istanze. L’obiettivo, secondo i dati forniti dal ministero dello Sviluppo economico, è attingere dalle riserve certe di idrocarburi. Il 59% del totale nazionale di gas da estrarre è ubicato nell’alto Adriatico, mentre il 90% del totale nazionale di greggio in Basilicata. Quanto basta per garantire una “sopravvivenza” energetica di circa due mesi.
L’approvazione della legge “Sblocca Italia” -che ha trasferito nelle mani dello Stato il potere decisorio in materia energetica a scapito degli enti locali- ha provocato uno scossone istituzionale e nella società civile. Nel gennaio 2015, 7 Regioni (Abruzzo, Calabria, Campania, Lombardia, Marche, Puglia e Veneto) l’hanno impugnata dinanzi la Corte costituzionale rivendicando il proprio coinvolgimento nei procedimenti autorizzativi. Parallelamente, numerosi comitati ed associazioni -sotto la sigla del Coordinamento nazionale No Triv, notriv.com- hanno dato vita ad un percorso destinato a dare voce ai cittadini per mezzo dello strumento referendario.
Il Referendum e il “guazzabuglio” normativo.
Il 30 settembre 2015, i delegati dei Consigli regionali di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto hanno depositato in Cassazione 6 quesiti referendari con oggetto l’abrograzione di alcune parti dell’articolo 35 del decreto Sviluppo e dell’articolo 38 della legge “Sblocca Italia”. L’articolo 35 del decreto -varato dal governo Monti- riguarda il rilascio di autorizzazioni alla prospezione, ricerca e concessione di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa. L’articolo 38 della legge “Sblocca Italia”, invece, riguarda gli aspetti legati all’esclusione delle Regioni dai processi autorizzativi, all’approvazione di un Piano delle aree entro le quali autorizzare ricerca, prospezioni, permessi di ricerca e concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi e alla durata delle concessioni.
In sostanza, l’obiettivo principale dei 6 quesiti referendari -accolti a fine novembre 2015 dalla Cassazione- è quello di stravolgere l’impianto normativo attivato dalla legge “Sblocca Italia”. Pur di scongiurare i referendum, il Governo decide di approvare un emendamento alla Legge di Stabilità ripristinando il divieto di ricerca ed estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa ma salvando i progetti già approvati, “congelandoli” in attesa di tempi migliori; dando spazio alle Regioni negli iter autorizzativi seppur con parere decisorio non vincolante; cancellando sia il carattere strategico delle opere petrolifere, sia il Piano delle aree.
La cancellazione del “carattere di interesse strategico […] di pubblica utilità, urgenti e indifferibili” per tutti i progetti di prospezione, ricerca e coltivazione di gas e greggio in terraferma ed in mare ha però il solo obiettivo di neutralizzare il ricorso depositato dalle 7 Regioni alla Consulta contro la legge “Sblocca Italia”, in attesa che il Parlamento approvi definitivamente la modifica del Titolo V della Costituzione. In particolar modo l’articolo 117, con il quale le decisioni in materiale energetica diventano di prerogativa assoluta dello Stato. L’abolizione del Piano delle aree, invece, consentirebbe alle principali aziende petrolifere che operano in Italia di sviluppare i loro progetti senza vincoli.
Le modiche volute dal Governo sortiscono l’effetto sperato. La Cassazione fa dietrofront e accetta solo 1 dei 6 quesiti -relativo al divieto di ricerca ed estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa- in quanto gli altri 5 vengono ritenuti soddisfatti dalla nuova Legge di Stabilità. Ad oggi, i cittadini -grazie all’ammissibilità per l’unico quesito sancita il 19 gennaio dalla Corte costituzionale- saranno chiamati a decidere se salvare o meno “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”, i progetti di estrazione di gas e petrolio già autorizzati entro le 12 miglia dalla costa. Oltre le 12 miglia e in terraferma resta tutto invariato.
Non finisce qui. Tra le 10 Regioni promotrici dei referendum, 6 (Marche, Basilicata, Liguria, Marche, Puglia, Sardegna e Veneto) sollevano conflitto di attribuzione nei confronti del Parlamento cercando di riabilitare i quesiti dichiarati inammissibili. Mancano all’appello le Regioni Abruzzo, Calabria, Campania e Molise. Con la Regione Abruzzo che decide addirittura di costituirsi in giudizio dinanzi la Corte costituzionale contro le altre 9 Regioni e accanto al Governo -che da fonti vicine all’Esecutivo starebbe tentando di bloccare ogni tipo di opposizione-.
Il Coordinamento No Ombrina (stopombrina.wordpress.com, in foto una manifestazione del 2013) -che si batte contro “Ombrina mare”, il progetto petrolifero proposto dalla società Rockhopper Exploration PLC a soli 6 chilometri dalla Costa dei Trabocchi, in Abruzzo- parla di risvolti clamorosi, rivelando che secondo la Cassazione il legale rappresentante delle Regioni interessate a difendere i 6 quesiti referendari oltre a non avere le procure per il giudizio, non era stato nominato adeguatamente, vedendosi per questo motivo rigettate tutte le memorie. “Se dovesse passare il referendum, se si dovesse raggiungere il quorum con la vittoria del Sì -sostiene Augusto De Sanctis, rappresentante del Coordinamento No Ombrina- secondo l’interpretazione della Cassazione non sarebbe più possibile prorogare i titoli già esistenti entro le 12 miglia. Per quanto riguarda, invece, le concessioni di coltivazione sulla base dei dati attualmente consultabili sul sito dell’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse del ministero rischierebbero la chiusura 34 piattaforme esistenti entro le 12 miglia con il titolo scaduto e che ad oggi, nonostante le istanze protocollate dalle aziende non hanno avuto ancora proroghe. Inoltre, quest’anno scadranno titoli minerari con per altre 6 piattaforme; 10 nel 2017 e 11 nel 2018. Dando un seguito a quanto pare affermare la Cassazione, che fa un chiaro riferimento proprio alle proroghe -conclude De Sanctis- queste piattaforme dovrebbero essere smantellate anche in presenza di giacimenti di metano o petrolio ancora sfruttabili”.
Dal Coordinamento No Ombrina assicurano anche sullo stop al progetto, “in quanto (alla luce delle modifiche approvate con la Legge di Stabilità, ndr) non è possibile rilasciare nuovi titoli entro le 12 miglia. […] l’istanza di concessione di coltivazione richiesta da Rockhopper dovrà essere respinta dal ministero dello Sviluppo economico. Su questo aspetto non c’entrano proroghe o provvedimenti similari. La richiesta è stata avanzata per ottenere un nuovo titolo e vi dovrà essere un diniego formale quanto prima”. Infatti, ad essere sospeso non è il progetto Ombrina mare ma il permesso di ricerca vigente attribuito nel 2005 alla società Rockhopper che non ha ancora ottenuto alcun titolo abilitativo.
Il paradiso oltre le 12 miglia.
Nel frattempo gli iter autorizzativi seguiti dal ministero non si fermano. La Petrolceltic incassa le autorizzazioni per la prospezione di idrocarburi in prossimità delle isole Tremiti in un contesto che vede l’Adriatico al centro di grandi manovre. Sarebbero oltre una decina i decreti autorizzativi in procinto di essere emanati su oltre 20 istanze -al di là delle 12 miglia- presentate in tutto l’Adriatico, dalle Marche alla Puglia. Stesso rischio corre il mar Jonio con oltre 13 istanze. La Basilicata -che ospita il più grande giacimento di greggio in terraferma d’Europa- è sugli scudi. È la Regione con la percentuale più elevata di gas estratto in terraferma (20%), seguita da Sicilia (4%) ed Emilia-Romagna (3%). Si conferma “terra di conquista” per le compagnie minerarie mentre la legge “Sblocca Italia”, voluta dal governo Renzi sostenuta dalla Regione Basilicata, trasforma il territorio regionale in “hub energetico” fossile. —
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