Ambiente
Le strade del car sharing
Almeno mezzo milione di persone fanno uso dell’auto “condivisa”. A Milano -dove a metà agosto una delle principali compagnie ha annunciato una "stangata" a carico di chi posteggia ai margini della città- i privati riconoscono al Comune 1.100 euro per ogni veicolo circolante. È un forfait che comprende i costi degli ingressi in Area C, i parcheggi a pagamento, quelli sulle linee gialle per i residenti. L’analisi di un fenomeno in espansione, tra vantaggi e dubbi
Aereo alle 8 del mattino da Orio al Serio (BG), partenza da Milano, corso Lodi. Oppure: partenza da Milano porta Romana alle ore 1.30, destinazione Rozzano -hinterland- e ritorno. La domanda è la stessa: possibile arrivare a destinazione senza automobile? Il diritto di mobilità non dovrebbe conoscere orario, né limite di spazio, ma il servizio pubblico non può -anche per ragioni di sostenibilità- rispondere a ogni esigenza, perché un autobus vuoto è più inquinante di un Suv. È così che il car sharing ha trovato il suo mercato naturale, composto da fruitori di un servizio da tempo esclusi dal trasporto collettivo: l’auto condivisa, soprattutto se non è usato con continuità, appare molto conveniente. Il costo di una corsa tra corso Lodi e la stazione Centrale alle 5.30 del mattino (quella che serve per prendere il bus direttore all’aeroporto) è di euro 2,25 con Enjoy, uno dei maggiori player sul mercato. La stessa tratta in taxi costa 12 euro, e i mezzi a quell’ora non circolano ancora. Per Porta Romana-Rozzano e ritorno, 35 minuti di spostamenti per 26 chilometri di percorrenza, il totale è 8,60 euro. Nella testa degli amministratori uno strumento non esclude l’altro: “Il car sharing è la cartina delle debolezze del trasporto pubblico”, spiega l’assessore alla Mobilità del Comune di Milano Pierfrancesco Maran. E per Maran deve soccorrerlo in caso di necessità. Il pericolo che si sostituisca al mezzo pubblico non c’è, e lo dicono i numeri. In giorni di tanti prelievi di car sharing si fanno 15-20 mila viaggi. Gli spostamenti quotidiani sui mezzi a Milano sono 3 milioni. Secondo le statistiche dell’Istat, mantenere l’auto in Italia costa in media 3.500 euro a famiglia all’anno: circa 9,5 euro al giorno, compresi weekend e ferie. Una spesa difficile da sostenere. E così il car sharing ha registrato in Italia nel 2014 un aumento del 70% degli iscritti, che erano 220mila alla fine dello scorso anno. L’ultimo dato fornito dalla motorizzazione a Milano -la città con il maggior numero di veicoli condivisa, vedi grafico- parla di una riduzione delle auto immatricolate nel 2013 di 14mila auto. Così il mondo si divide tra gli “sharing-ottimisti”, che imputano il risultato a un cambio di abitudini dei milanesi, e gli “sharing-scettici”, che considerano la crisi come unica causa. La verità, probabilmente, sta in mezzo, con l’aggiunta di altri fattori come l’Area C e le zone a traffico limitato. Ma il successo, innegabile, offre l’opportunità di guardare “dentro” il car sharing, che almeno a Milano non è una novità. Il debutto nel 2001 era marcato Legambiente. L’esperienza è partita in famiglia: un gruppo di circa 20 iscritti all’organizzazione ha cominciato a condividere una macchina. Il procedimento per la prenotazione dell’auto era gestito da persone che si conoscevano, come racconta Andrea Poggio, vicedirettore dell’associazione.
L’esperimento ha trovato sempre più interessati e le modalità di prenotazione sono diventate le stesse che oggi condividono le 666 macchine delle 12 città che fanno parte di Iniziativa Car Sharing, l’ente finanziato dal ministero dell’Ambiente per promuovere nelle amministrazioni comunali l’auto condivisa. Il servizio funziona con un abbonamento (costo fisso che si aggira tra i 60 e i 100 euro l’anno, con possibilità di sconto) e un costo variabile a chilometro e a tempo di noleggio (al massimo di 72 ore). Questo tipo di car sharing si chiama “flexy”, per differenziarsi dal “free floating” rappresentato da gruppi come Enjoy, Car2go o Twist. Con Iniziativa Car Sharing si possono scegliere auto da città, veicoli familiari o furgoni. Le auto vanno prese nei parcheggi del car sharing e riportate nello stesso posto a fine noleggio. Nessuna App per smartphone per aprire la portiere e attivare l’auto, come accade nel car sharing più popolare, ma una card che si riceve dopo essersi iscritti. Le prenotazioni si fanno al telefono (in qualche caso on line). Il risultato sono 22.500 iscritti, una media di 1.875 a città. Pochi.
Il problema riguarda proprio il modello di car sharing scelto, il “flexy”: “Occorre sottolineare come i dati del Circuito Nazionale ICS evidenzino un calo generalizzato degli utilizzi in tutte le città dove il servizio ICS è attivo -spiega la nota integrativa al bilancio, in rosso, di Genova Parcheggi spa, che gestisce il servizio nel capoluogo ligure-. Escludendo Palermo, [che] ha triplicato la flotta nell’ultimo anno grazie a un finanziamento speciale sulla mobilità sostenibile, il calo medio delle corse del Circuito nell’ultimo anno è stato del 14% (a fronte del 6% di Genova)”.
Quando la gestione del parco auto ha cominciato a diventare complicata, Legambiente ha capito che non poteva essere un business da ambientalisti, così ha venduto ad Atm (società controllata dal Comune di Milano). Era il 2004. Ad aprile 2015 sui giornali si è dato notizia di un tentativo, fallito, di vendita da parte di Atm del car sharing pubblico più vecchio d’Italia. Proprio mentre “gli altri” macinano soldi e chilometri.
“Gli altri” sono i grandi attori privati del car sharing, che a Milano sono attivi grazie all’avviso pubblico che ha permesso a Car2Go, Enjoy e Twist di entrare nel mercato, a partire da metà 2013. “Abbiamo rotto quello che fino ad allora era il monopolio del pubblico sui trasporti”, spiega l’assessore Pierfrancesco Maran. Dall’Eni confermano che il bando è stato fondamentale per il boom del 2013: “L’amministrazione comunale […] ha sostenuto e agevolato la nascita di nuovi servizi di car sharing che hanno l’obiettivo di ridurre il parco auto privato, per decongestionare il traffico e per migliorare la qualità della vita di chi vive e lavora in città”.
L’avviso pubblico prevedeva l’obbligo di mettere a disposizione auto in tutta la città e non solo nelle zone centrali. “Ora Milano, Berlino e Parigi sono le città che hanno più utenti di car sharing in Europa. Milano sarà la prima ad ampliarla anche nell’area della città metropolitana”, afferma Maran. Nei prossimi mesi si dovrebbe finalizzare anche il contratto per lo scooter sharing. Protagonista, ancora una volta, Eni, in partnership con Piaggio, che metterà a disposizione un parco di 150 scooter Mp3. Il bando milanese è stato lo stesso poi utilizzato a Roma, Torino e Firenze, le altre città dove è presente il car sharing “free floating”.
I privati pagano al Comune 1.100 euro per ogni veicolo circolante. È un forfait complessivo e comprende i costi degli ingressi in Area C, i parcheggi a pagamento, quelli sulle linee gialle per i residenti. Il tetto verrà abbassato del 4% per i nuovi mezzi che Enjoy, Twist e Car2go metteranno a disposizione in una decina di Comuni dell’hinterland. Il piccolo “investimento” ha un ritorno: secondo l’Osservatorio sulle abitudini degli italiani al volante di Unipol Sai, il tempo medio ogni giorno trascorso al volante è di circa 75 minuti. Ne stimiamo 40 minuti nelle aree urbane, e siccome il car sharing, almeno fino al 15 giugno, è stato solo cittadino, usiamo questo dato per fare due conti. Con una tariffa di 0,28 euro, possiamo stimare una spesa di 11,2 euro al giorno per utilizzo. Se in un anno ci sono 3 milioni di noleggi, come dichiara Enjoy, la società di cui fanno parte Eni, Frecciarossa e Fiat, fanno 33,6 milioni di euro, a fronte di un “pedaggio” di 660mila euro al Comune per permettere alle (600) auto di circolare liberamente.
Il modello funziona solo dove c’è il coinvolgimento di attori che possono investire nella diffusione capillare della flotta, e c’è chi punta alle mille automobili. Un’infinità, a confronto delle 11 in car sharing al Comune di Parma. Questo moltiplicarsi delle auto in condivisione, però, non riduce i passaggi nelle aree a traffico limitato: da quando i valichi sono in funzione i passaggi giornalieri, a Milano, sono sempre stimati attorno agli 11mila, senza sensibili cali. Il risultato in termini ambientali sarebbe maggiore se i mezzi scelti fossero elettrici (dal 22 giugno, però, c’è Sharen’go, un nuovo vettore di car sharing elettrico), e se le amministrazioni chiudessero definitivamente il centro cittadino a ogni auto.
Intanto, ad “incassare” grazie all’auto condivisa sono le stesse case automobilistiche che hanno contribuito ad inquinare il pianeta: Fiat è partner Enjoy, Smart di Car2go e Volskwagen di Twist. Perché mai le case automobilistiche avrebbero dovuto sostenere la condivisione? “Il tasso di utilizzo di un’auto condivisa è molto più alto, quindi la sostituzione di un mezzo è molto più rapida”, spiega Andrea Poggio. Se un’auto privata ha una durata spesso superiore ai dieci anni, una condivisa “vive” la metà.
Il dato decisivo per capire se il car sharing è davvero una delle strade giuste per cambiare la mobilità è il tasso di sostituzione delle auto circolanti. I dati ufficiali sono in realtà una forbice, che va da un auto in car sharing ogni 3 auto private fino a un massimo di un’auto condivisa per 13 auto private. Più verosimile ipotizzare, come fa Legambiente, un tasso di sostituzione di un auto condivisa ogni due private: significa comunque il dimezzamento delle macchine in circolazione. In termini ambientali, un dimezzamento del suolo occupato dalle quattro ruote parcheggiate. —
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