Ambiente
Le miniere attentano al paramo, la riserva idrica sulle Ande colombiane
Il Piano di sviluppo nazionale “tutela” le attività estrattive all’interno di un ecosistema unico, che si sviluppa tra i 3mila e i 5mila metri d’altezza e fornisce il 70% dell’acqua potabile. L’unico freno è una sentenza della Corte Costituzionale
Quando la foresta lascia il posto ad arbusti e piante basse, e la cima delle Ande si avvicina, le temperature si abbassano e la nebbia si addensa, inizia un paesaggio che possiamo trovare esclusivamente sulle montagne tropicali: il cosiddetto paramo, dove, come dice un antico detto colombiano “è inverno tutte le notti, ed estate tutti i giorni”.
Il termine paramo (dal latino paramus) indica in generale una zona pianeggiante ad alta quota, ma è utilizzato in America Latina per definire un ecosistema endemico del Nord delle Ande, che si ritrova esclusivamente tra i 3000 e i 5000 metri di altezza in Colombia, Ecuador, Perù, Venezuela e Costa Rica, e che copre circa 3.599.290 ettari di superficie montana.
Un ecosistema strategico per la biodiversità, in cui vivono piante e animali di specie uniche (come i frailejones, mellocos e mashuas per la flora, e l’orso e l’aquila andini, la volpe del paramo e molti roditori e uccelli per la fauna), e che ha un ruolo fondamentale per l’approvvigionamento d’acqua delle popolazioni sudamericane.
Come riportato nello studio “Il paramo andino, cosa sappiamo?”, pubblicato nel 2014 dalla sezione America del Sud dell’International Union for Conservation of Nature, il paramo è la principale riserva d’acqua delle Ande settentrionali: dalla sua capacità di regolazione idrica, infatti, dipendono i sistemi fluviali, il sistema d’irrigazione, la distribuzione di acqua potabile e le centrali idroelettriche. Questo sia per le particolari condizioni climatiche di queste zone, dove le precipitazioni sono elevate e l’umidità dell’aria è molto alta, sia per le caratteristiche specifiche della vegetazione locale, che garantisce la protezione del suolo e un livello basso di evapotraspirazione (cioè uno scarso passaggio dell’acqua dal terreno all’aria, attraverso l’evaporazione e la traspirazione delle piante) che permette al terreno di assorbire grandi quantità di umidità.
In termini assoluti, con i suoi 2.906.137 ettari di paramos, la Colombia è il Paese dove si registra la maggior presenza di questo ecosistema, che, pur occupando soltanto il 2% della superficie totale dello Stato, fornisce il 70% dell’acqua potabile distribuita ai cittadini colombiani. Eppure, proprio in Colombia il paramo è in pericolo, minacciato dallo sfruttamento del suolo per l’agricoltura, dalla cementificazione, dal cambiamento climatico e soprattutto dalle miniere per l’estrazione di minerali e idrocarburi.
Dal 2010-2011, quando la Niña (un fenomeno meteorologico con forti piogge e venti, intensificatosi in seguito ai cambiamenti climatici) ha provocato gravi danni economici, ambientali e umani alla Colombia, gli studiosi dell’Istituto di ricerca di Bogotà “Alexander von Humboldt” hanno sottolineato come il paramo sia strategico nella lotta al cambiamento climatico e nell’adattamento ai fenomeni climatici traumatici, e hanno invitato le istituzioni a muoversi per proteggere e salvaguardare questo ecosistema.
Come indicato dall’Agenzia nazionale per l’attività mineraria colombiana, però, nel Paese, a fine 2015, erano state assegnate 475 concessioni per attività esplorative ed estrattive di carbone, oro e altri minerali, in 127.000 ettari di terreno all’interno dei 32 paramos esistenti. E, nonostante le diverse leggi sulla protezione dell’ambiente, come la Legge ambientale del 1993 e la stessa Costituzione, il Piano di sviluppo nazionale 2014-2018 (lo strumento legislativo con cui il presidente colombiano comunica al Paese gli obiettivi del proprio governo e le modalità con cui intende raggiungerli), emanato dall’attuale presidente Juan Manuel Santos (fondatore del partito di centro-destra Partito Sociale di Unità Nazionale, eletto per la seconda volta nel giugno 2014), sembra andare in tutt’altra direzione.
L’articolo 173, infatti, concede alle imprese con licenza anteriore al 9 febbraio 2010 per quel che riguarda le miniere, e al 16 giugno 2011 per quanto concerne l’estrazione di idrocarburi, la possibilità di fare attività di ricerca ed estrazione di minerali anche nei paramos, fino a tutta la durata della licenza (che può variare dai 5 ai 30 anni a seconda del tipo di attività).
Dall’inizio del 2016, però, qualcosa si sta muovendo. Alcuni membri del Polo Democratico Alternativo (PDA), partito di sinistra attualmente all’opposizione, hanno chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi sul PND, ottenendo una vittoria importante. Con la sentenza dell’8 febbraio 2016, la Corte ha dichiarato incostituzionale proprio l’articolo 173, in quanto “non rispetta il dovere costituzionale di proteggere le aree di particolare importanza ecologica, mette a rischio il diritto di accesso all’acqua di tutta la popolazione”, e antepone il diritto individuale di alcune aziende allo sfruttamento delle risorse statali, anziché salvaguardare un ecosistema fragile e vulnerabile, attualmente non protetto da leggi speciali.
Questa sentenza, esprime dunque un concetto chiaro: i paramos devono essere protetti e salvaguardati, anche quando ci sono forti interessi economici in gioco, e per questo è necessario un cambiamento nelle politiche ambientali e di sviluppo economico ed energetico del Paese.
Tradurre in pratica la sentenza della Corte, però, non è così immediato: affinché sia efficace, il Ministero dell’Ambiente dovrà delimitare in maniera netta i paramos colombiani, in collaborazione con le autorità locali e con la consulenza dell’Istituto Von Humboldt (che nel 2011 aveva pubblicato “El gran libro de los paramos”, nel quale viene già fatto un tentativo preciso e rigoroso di tracciarne i confini). “Delimitare i paramos non è affatto semplice, né scontato -spiega Doly Cristina Palacio, docente a capo del gruppo di ricerca sui Processi sociali, territorio e ambiente della facoltà di Scienze sociali e umane dell’Università Externado di Bogotà, che insieme all’Istituto Von Humboldt ha realizzato una consulenza in materia per il Ministero dell’Ambiente-. Bisogna tener conto di tanti aspetti, non solo ambientali, ma anche economici e sociali. E a occuparsi di questo dovrà essere il governo, che dovrà poi modificare il Plan Nacional de Desarollo entro il 2017, prima della fine del suo mandato. Non ci stupisce che anche questa volta sia stata la Corte costituzionale a dover sollecitare i politici a difendere e salvaguardare l’ambiente: da diversi anni, ormai, sia i cittadini sia la Corte costituzionale si mobilitano, con modalità e mezzi diversi, perché il governo rispetti l’ambiente e implementi delle politiche volte alla sua tutela”.
Per ora il presidente Santos e il ministro dell’Ambiente, Gabriel Vallejo, hanno presentato la delimitazione di 8 paramos (Miraflores, Sonsón, Los Picachos, Belmira-Santa Inés, Frontino-Urrao, Farallones de Cali, Paramillo e Tatamá) per circa 100mila ettari di territorio. Questo per permettere ai governatori locali di individuare i nuovi limiti nel Piano di sviluppo. Tuttavia, come segnalato dalla direttrice del Von Humboldt, Brigitte Baptiste, dopo la risoluzione del governo del 25 marzo per la delimitazione di questi paramos, ne mancano ancora 27 all’appello, e il percorso non terminerà alla fine del 2016 come sarebbe stato auspicabile. Inoltre, come spiegato dalla dottoressa Palacio, “gli 8 paramos delimitati dal governo sono solo piccoli frammenti, in località dove non ci sono grandi conflitti sociali e ambientali”.
“Proteggere il paramo non potrà significare soltanto tracciarne i confini e occuparsi di conservarne la biodiversità -specifica Jimmy Moreno, portavoce di Cumbre Agraria Campesina, Étnica y Popular-. Nel progetto di conservazione e salvaguardia di questo delicato ecosistema vogliono essere coinvolte anche le comunità locali, costituite spesso da piccoli agricoltori, produttori di patate e di latte, che possono dare il loro contributo in maniera decisiva”.
Tra le imprese interessate al procedimento perché proprietarie di licenze per l’estrazione di minerali e idrocarburi nei parami molte sono colombiane: Acerías Paz del Río (la seconda impresa siderurgica del Paese), Minas Paz del Rio (società anonima subordinata a Acerías Paz del Rio), Sanoha Ltda Minería e altre imprese di medie e piccole dimensioni. Altre sono straniere, come la sudafricana Anglogold Ashanti Colombia S.A. (che possiede la maggior parte delle concessioni nei paramos), la canadese Eco Oro Minerals e la statunitense Tobie Mining and Energy. Queste ultime due, rifacendosi ai trattati di libero scambio che la Colombia ha firmato nel 2011 con il Canada e nel 2012 con gli Stati Uniti, stanno cercando di far valere il proprio diritto a continuare i progetti di ricerca ed estrazione mineraria anche nelle aree protette, nel rispetto degli accordi precedenti. Nello specifico, la Eco Oro Minerals il 7 marzo ha notificato al governo colombiano la volontà di fare ricorso all’arbitrato internazionale per via delle “omissioni (da parte del governo Santos) che hanno influito sui diritti che erano stati concessi alla società per il progetto di estrazione di oro denominato Angostura, che ha il sostegno della World Bank’s International Finance Corporation”. I lavori, iniziati nel 2010, potrebbero rientrare all’interno di una delle zone protette in quanto paramo, provocando gravi perdite all’azienda.
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