Ambiente / Varie
Le città che pedalano
Cresce la sensibilità urbana alle due ruote, come dimostrano gli incentivi a chi si reca “in sella” al lavoro, le risorse per le ciclovie turistiche o il sostegno al bike sharing. E a Massarosa" da febbraio 2016 è attivo il "Buono mobilità", e il Comune in provincia di Lucca destina 25 centesimi a chilometro a tutti i coloro che scelgono la bici come mezzo di locomozione quotidiano
A Massarosa (Lu), Comune della Versilia di quasi 25mila abitanti, chi va al lavoro in bicicletta viene premiato. Per la prima volta in Italia, infatti, a quei cittadini che sceglieranno di pedalare per recarsi sul “posto” verranno riconosciuti 25 centesimi a chilometro. Francesca Papasogli, comandante di Polizia del Comune, illustra origine e risorse del progetto “Buono mobilità” che partirà a febbraio 2016: “Il territorio di Massarosa è tagliato da due strade molto trafficate e dall’autostrada. È necessario quindi ridurre il traffico e l’inquinamento. Da un’indagine condotta sul campo, è emerso che la distanza media dei trasferimenti dei cittadini del Comune per recarsi a lavoro è di soli 5/6 chilometri. Insieme a FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta, fiab-onlus.it), e seguendo l’esempio di altri Paesi europei, abbiamo studiato il modo per favorire gli spostamenti casa-lavoro in bicicletta. La soluzione è arrivata dall’articolo 208 del Codice della strada che regola l’utilizzo dei proventi da contravvenzioni per favorire la mobilità. Così abbiamo pensato di creare un incentivo, simile a quello di Parigi: 25 centesimi a chilometro, per un massimo di 50 euro al mese, per residenti e abitanti di Massarosa, che potranno usufruire di questo bonus, prodotto dai ricavi delle contravvenzioni, attraverso un bando. Il nostro obiettivo è anche quello di realizzare una rete di percorsi, confrontandoci con i ‘vincitori’”. Nonostante l’idea, Massarosa potrebbe essere esclusa da un finanziamento che il ministero dell’Ambiente intende destinare ai Comuni con una popolazione superiore ai 100.000 abitanti (in Italia sono circa 50) che abbiano realizzato un piano urbano della mobilità sostenibile (PUMS). Dei circa 130 milioni di euro destinati alla ciclo mobilità, 35 milioni verranno stanziati per lo sviluppo di iniziative quali “bike to work” e “bike to school”, anche attraverso l’incentivo fiscale “buono mobilità”. “Confidiamo nella possibilità di creare associazioni o unioni di comuni della provincia o della Versilia, anche perché le risorse del Comune non sono infinite”, dice l’assessore Stefano Natali.
La sensibilità istituzionale alla mobilità ciclistica urbana è cresciuta: sia la Legge di Stabilità (vedi pag. 13) sia il Collegato Ambientale (il ddl è stato approvato dalla Camera in via definitiva nella seduta del 22 dicembre 2015) hanno previsto risorse da destinare alla ciclo mobilità urbana (circa 130 milioni di euro). “Fino ad oggi si è investito poco o niente per la ciclo mobilità -ragiona Giulietta Pagliaccio, alla guida di FIAB-. Finalmente, viene data dignità a questa formula, nominandola.
Anche se in realtà i finanziamenti non sono poi così tanti, se pensiamo che per fare una pista ciclabile occorrono anche 400 euro al metro”.
Il 30 dicembre 2015, inoltre, si è tenuta una riunione presso il ministero dell’Ambiente convocata dal ministro Gian Luca Galletti sull’ “emergenza smog” con i presidenti di Regione e sindaci dei grandi centri urbani, a seguito della quale è stato firmato il “Protocollo d’intesa per migliorare la qualità dell’aria, incoraggiare il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni, disincentivare l’utilizzo del mezzo privato, abbattere le emissioni, favorire misure intese ad aumentare l’efficienza energetica”. Promuovere la ciclo mobilità urbana ed extra urbana, significa trovare quegli strumenti che possano favorire l’utilizzo della bicicletta come mezzo di trasporto, in città e in periferia. A questo scopo, 91 milioni di euro verranno impiegati (in tre anni) per ciclovie turistiche, velostazioni (ovvero stazioni di servizio, in alcuni casi dotate di servizio di manutenzione e riparazione, dove lasciare in deposito le proprie bici nei pressi di una stazione del treno o del metrò) e zone30.
Nel nostro Paese son 20 le città che vantano performance di ciclabilità di livello europeo. In quattro comuni capoluogo, infatti, almeno un quarto della popolazione si sposta a pedali; in altre cinque il 20% degli spostamenti è soddisfatto dalle bici e in 11 la percentuale di ciclisti è comunque superiore alla soglia del 10%. A Bolzano e a Pesaro la percentuale di cittadini che sceglie di pedalare per spostarsi in città è del 28%, a Ferrara il 27% e a Treviso il 25%. Questi i dati più importanti e incoraggianti che emergono da “A Bi Ci della Ciclabilità”, ricerca resa nota ad aprile 2015 sull’uso della bici nelle città italiane capoluogo di provincia realizzata da Legambiente in collaborazione con Rete Mobilità Nuova. Bolzano e Pesaro si collocano al nono e al decimo posto della classifica generale europea. Ai primi posti troviamo città olandesi (al primo posto c’è Houten) e tedesche (la prima città tedesca in classifica è Münster , al quarto posto con il 38%). Almeno un quinto degli abitanti di Ravenna, Rimini, Piacenza, Sondrio e Venezia-Mestre preferiscono muoversi in bici e anche a Pordenone, Biella, Pavia, Reggio Emilia, Novara, Padova, Pisa e Cremona la percentuale è alta. Legambiente fornisce anche un indice relativo ai “metri equivalenti” di percorsi ciclabili, che non ha la pretesa di valutare il livello qualitativo della rete ma cerca di mettere insieme informazioni oggettive. Reggio Emilia registra il valore più alto con 39,03 m_eq/100 ab e Cremona si colloca al secondo posto con oltre 30 metri equivalenti ogni 100 abitanti. Quattro capoluoghi superano invece i 20 m_eq/100 ab: Mantova, Lodi, Verbania e Sondrio. In tutto sono 29 le città che vanno oltre i 10 m_eq/100 abitanti. Sono invece 18 le città che dichiarano di avere meno di 1 m_eq/100 abitanti e di queste Caltanissetta, Enna, Isernia, Potenza, Reggio Calabria, Siracusa non segnalano alcun tipo di infrastruttura dedicata alla ciclabilità. La media, per i capoluoghi italiani esaminati, è di 7,04 m_eq/100 abitanti di infrastrutture ciclabili. “Più che ai dati quantitativi sulla ciclabilità bisognerebbe fare attenzione ai dati qualitativi: le ciclabili presenti sono connesse tra loro, fanno rete, sono fruibili, sono sicure? Inoltre, non bisogna ragionare solo in termini di ‘piste ciclabili’, in quanto molte volte questa definizione corrisponde al nome che si da al bisogno di sicurezza, anche per strada -riflette Eugenio Galli, presidente Fiab Ciclobby Onlus-; non basta realizzare piste ciclabili o allestire punti di bike sharing, ma è necessario farlo seguendo dei criteri di qualità. Così come non basta fare le ciclabili perché i cittadini decidano di usarle. Lo scopo dovrebbe essere quello di rendere una città intera più pedalabile, agendo sull’intera mobilità. Solo se si avranno strade più sicure, si sceglierà di lasciare l’auto in garage e di andare in bici. Sul tema del bike sharing, analizzando i valori dello studio, emerge che sono disponibili a Milano, per esempio, 26,1 biciclette ogni 10.000 abitanti (valori pro capite e per 100 km2), a Pisa 22,9, a Frosinone 11,8, a Cagliari 2,3, a Pavia 2,1, a Bari 1,9. Su circa 70 città, i servizi di bike sharing sono attivi in 58 comuni, con oltre 1.000 punti di prelievo e quasi 10 mila biciclette. Ma molte, troppe, città del centro-sud, purtroppo presentano valori bassissimi o non si hanno informazioni in merito. “Gli Stati europei si trovano in fasi di evoluzione molto distanti tra loro. La Spagna e il Portogallo hanno una situazione molto simile a quella italiana. La Danimarca, l’Olanda, la Germania, l’Ungheria, invece hanno attuato un vero e proprio progetto nazionale relativo alla ciclabilità” spiega Alberto Fiorillo, responsabile aree urbane di Legambiente. “In Italia, nello specifico, c’è profonda differenza tra nord e sud ma anche tra le stesse città del nord. Facendo un esempio concreto, Brescia e Verona hanno percentuali di spostamenti effettuati in bici sul totale degli spostamenti urbani, completamente diverse, nonostante distino una settantina di chilometri: Brescia ha il 3% e Verona ha il 9%, anche se Brescia si colloca in 20esima posizione nella classifica delle città con maggior metri equivalenti di piste ciclabili ogni 100 abitanti (m_eq/100 ab), prima di Verona. E questo significa che la presenza di ciclabili non si è ancora trasformata in uso”.
Uno studio della University of California Davis (UCD) e dall’Institute for Transportation and Development Policy (ITDP) e commissionato dall’Union Cycliste Internationale (UCI), dall’European Cyclists’ Federation (ECF) e dalla Bicycle Product Suppliers Association (BPSA) ha cercato di dimostrare che l’utilizzo della bicicletta tradizionale e delle biciclette a pedalata assistita (e-bike), se sostenuto da politiche coerenti, può ridurre il consumo energetico e le emissioni di CO2 del trasporto urbano fino al 10% entro il 2050 rispetto alle stime attuali, oltre a far risparmiare qualcosa come 25mila miliardi di dollari. Secondo questa ricerca pubblicata alla vigilia della Conferenza mondiale sul clima COP21 (a novembre 2015) è necessaria una corretta combinazione di investimenti e politiche per incrementare l’utilizzo della bicicletta e delle e-bike perché si raggiunga il 14% della mobilità urbana nel 2050, percentuale che favorirebbe i benefici citati. Il potenziale di sviluppo è elevato: a Parma (città campione) l’11% delle persone nel 2015 sceglie ad esempio la bici tradizionale per spostamenti di questo tipo, dietro Olanda, Danimarca, Giappone, Cina, Paesi Nordici e Germania. Nello studio è tra l’altro evidenziata la necessità di creare servizi idonei all’utilizzo della bici in città, per non scoraggiarne l’uso.
In Italia sono 1.644.592 le biciclette vendute nel 2014, cifra che in termini percentuali significa un +6,6% rispetto al 2013 (1.542.758 unità). In leggero aumento la produzione con 2.728.600 biciclette (pari a +2,1%), trainata sempre dall’export che si è attestato sui 1.765.819 pezzi (+1,1%), il Paese si conferma il principale produttore europeo, soprattutto per il segmento ragazzo fino a 20 pollici (la fonte è l’ANCMA, Associazione nazionale ciclo, motociclo e accessori). Ma produzione e vendita non sempre sono sinonimi di cultura ciclistica. “Il codice della strada italiano definisce la bicicletta ‘velocipede’ e a questa definizione antiquata corrisponde un modello di mobilità antico, se non altro rispetto alla visione europea degli ultimi decenni. In tutta Europa la bici, infatti, è stata riconosciuta come mezzo del futuro. In Italia invece va ancora di moda una logica protettiva, securitaria -spiega Eugenio Galli-, basti pensare che fino a qualche settimana fa era riconosciuto sì l’infortunio per chi andava al lavoro in bicicletta, ma solo se pedalava su pista ciclabile e in una città come Milano, dove le ciclabili spesso sono state realizzate con lo scomputo oneri di realizzazione, le piste non sono affatto sicure”.
È stato riconosciuto l’infortunio in itinere anche per chi va a lavoro in bicicletta. In Italia l’INAIL (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) tutela i lavoratori nel caso di infortuni avvenuti durante il normale tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro, durante il tragitto abituale per la consumazione dei pasti (se non esiste una mensa aziendale), per recarsi da un luogo di lavoro a un altro e durante la deviazione del tragitto casa-lavoro dovuta all’accompagnamento dei figli a scuola. Fino ad oggi però, la bicicletta era considerata un mezzo privato e non necessario e che, in caso di infortunio, richiedeva verifica dell’utilizzo e della presenza di piste ciclabili sul percorso compiuto ed era quindi estremamente penalizzante. Da oggi chi andrà a lavoro in bicicletta verrà trattato come chi fa uso di mezzi pubblici o come chi ci si reca a piedi, quindi sarà sempre “coperto” dalle regole generali dell’infortunio in itinere.
Si attende a questo punto una comunicazione ufficiale da parte dell’INAIL. —
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