Le casseforti dell’acqua – Ae 95
Le grandi dighe italiane sono oltre 500. I miliardi di litri che vi sono custoditi servono per produrre elettricità o per irrigare: una risorsa sempre più preziosa il cui utilizzo è poco regolamentato Moiola sott’acqua. Nei prossimi anni la località…
Le grandi dighe italiane sono oltre 500. I miliardi di litri che vi sono custoditi servono per produrre elettricità o per irrigare: una risorsa sempre più preziosa il cui utilizzo è poco regolamentato
Moiola sott’acqua. Nei prossimi anni la località turistica della Valle Stura, in provincia di Cuneo, potrebbe essere sommersa e chi ci abita costretto a trasferirsi altrove. C’è in progetto la costruzione di una diga; lo studio di fattibilità -già realizzato- è stato voluto dalla Regione Piemonte. L’acqua raccolta nell’invaso -un lago artificiale da 160 milioni di litri- sarà a disposizione dei consorzi irrigui, gli organi che si occupano di distribuire l’acqua tra gli agricoltori. L’investimento -centinaia di milioni di euro- verrebbe garantito dal ministero dell’Agricoltura. Fondi pubblici, utilizzati a beneficio di imprenditori privati. Perché molti “agricoltori” sono in realtà “imprenditori agricoli” delle pianure, che coltivano grandi estensioni di terra con prodotti, come il mais, che di acqua ne vogliono molta. Non più contadini, “abituati in Piemonte anche a far a meno dell’acqua, e a sviluppare colture meno esigenti, ad esempio l’uva”, come racconta Ottavio Rube della cooperativa Valli Unite di Costa Vescovato (Al).
“I consorzi irrigui -spiega Franco Olivero, della direzione Agricoltura della Regione Piemonte- sono strutture private d’interesse pubblico: in Piemonte esistono 36 consorzi di secondo grado, riconosciuti dal Consiglio regionale, uno per ogni comprensorio irriguo, costituiti da circa 800 consorzi di primo grado”.
I consorzi sono una lobby che paga molto poco per l’acqua che consuma: da 50 a 300 euro, all’anno, per ogni ettaro irrigato. E a seconda del tipo di coltivazione, ogni anno servono dai 2mila ai 5mila metri cubi d’acqua.
Secondo Vanda Bonardo, presidentessa di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, “i consorzi irrigui privatizzano enormi quantità d’acqua” e scaricano un costo sulla collettività, che paga per la costruzione degli invasi, invece di ridurre il fabbisogno idrico migliorando l’efficienza degli impianti di irrigazione.
L’organizzazione ambientalista è contraria ai nuovi invasi: “In Piemonte l’agricoltura consuma già, ogni anno, almeno 5 miliardi di metri cubi di acqua, il 70% di tutta quella che viene utilizzata”. Varrebbe la pena, invece di costruire nuove dighe, investire per migliorare l’efficienza degli impianti di irrigazione: “Sostituendo i sistemi a scorrimento con quelli a goccia o ad aspersione -spiega ancora la Bonardo- il risparmio d’acqua sarebbe del 35%”. O, in alternativa, spingere ad abbandonare colture idrovore come il mais, che nella maggior parte dei casi non serve nemmeno all’alimentazione umana.
La diga di Moiola probabilmente non verrà mai realizzata: l’impatto della struttura sul territorio è eccessivo e “la popolazione non è d’accordo. Il progetto rimane -racconta Franco Olivero- un bell’esercizio d’ingegneria idraulica”. Diverso, però, è il discorso degli invasi di Stroppo (il paese nella foto qui a sinistra), in Val Maira, e di quello previsto a Pianfei. Nel primo caso, si tratta di tre “dighette”, sempre ad uso irriguo, capaci complessivamente di invasare 20 milioni di metri cubi d’acqua. L’investimento previsto è di circa 200 milioni di euro e a breve dovrebbe iniziare la fase di concertazione con la popolazione e gli enti locali. La Comunità montana è d’accordo.
Se non verranno fermati, i progetti per la costruzione dei nuovi invasi faranno parte del Piano di tutela delle acque (Pta). Elaborato dalla Regione Piemonte, è contestato dagli ambientalisti: in quanto a dighe, il Piemonte ha già dato.
In tutta la Regione (e in Valle d’Aosta) ci sono già 86 delle “grandi dighe” italiane, che sono quelle più alte di 15 metri o che invasano oltre 1 milione di metri cubi d’acqua, secondo la definizione che ne dà la legge 584/94 (vedi box a sinistra).
Ad ogni nuovo invaso corrispondono nuove concessioni di derivazione: il permesso, cioè, a prelevare l’acqua dal corso di un fiume o da un torrente (per usarla nella maggior parte dei casi per irrigare o per produrre energia idroelettrica).
Il rischio è lasciare i “fiumi senz’acqua”, che è anche il titolo di un rapporto di Legambiente dedicato alla situazione dei fiumi nella Provincia di Torino. L’attenzione è al deflusso minimo vitale (Dmv), la necessità di garantire al corso d’acqua la portata minima -il 10% di quella naturale- che ne permetta la sopravvivenza. Anche se un fiume per star bene non dovrebbe vivere sempre al minimo.
Quella del deflusso minimo è un’idea importante (introdotta in Italia con la legge 183/89), ma in largaparte del Paese resta inapplicata. Dato che non esiste un monitoraggio serio, le scarse precipitazioni degli ultimi anni hanno reso il problema evidente: l’acqua non c’è. Tutte le vecchie concessioni di derivazione, molte delle quali ancora “in corso”, non prevedono per il concessionario l’obbligo di lasciare almeno un po’ d’acqua nel corso del fiume. Quelle dell’Enel, ad esempio, molte delle quali sono in vigore anche dagli anni Venti e scadranno solo nel 2029 (quando sono state assegnate erano perpetue). “Per settant’anni -conclude Bonardo- la tutela dei corsi d’acqua si è basata sulla buona volontà e sulla casualità”.
Il paesaggio deciso dal mercato
Ai quasi duemila metri del lago di Cancano il paesaggio è lunare. A metà maggio l’invaso della diga è quasi vuoto, e un taglio netto separa le sponde spoglie, che normalmente stanno sott’acqua, dalle pendici verdi delle Alpi. Tre chilometri a monte della diga di Cancano, un arco lungo 380 metri e alto 136, c’è quella di San Giacomo. In provincia di Sondrio, a pochi chilometri dal confine svizzero, i due invasi sono il serbatoio di A2a, l’azienda energetica nata dalla fusione di Aem Milano e Asm Brescia.
Più a valle ci sono 7 centrali idroelettriche, in sequenza. A2a possiede tre delle 27 grandi dighe presenti in Provincia di Sondrio (oltre a Cancano e San Giacomo c’è anche quella di Valgrosina, più piccola): gli invasi contengono insieme quasi 190 milioni di litri d’acqua. Ad ogni diga corrispondono più concessioni di derivazione: gli invasi raccolgono l’acqua dell’Adda, il cui corso è fermato a pochi chilometri dalle sorgenti, e quella di tre canali, lunghi una settantina di chilometri, che portano l’acqua dalla val Viola, dallo Spoel e dal Gavia-Forni-Braulio. Il 96,23% dell’acqua disponibile in Provincia di Sondrio, 385.794 litri al secondo, viene utilizzato per produrre energia. In tutta la Lombardia, gli impianti idroelettrici sono titolari del 68,04% delle concessioni lombarde (su un totale di 130 miliardi di metri cubi d’acqua), sei volte la media italiana. Secondo l’Arpa di Sondrio, ad esempio, tra il 14 e il 40% del volume medio annuo di deflusso naturale dell’Adda è invasato nel tratto che precede il Lago di Como. Quelli di A2a spiegano di avere in mano per le proprie grandi dighe in Valtellina concessioni che non le obbligano a lasciare nel fiume l’acqua che garantisca il deflusso minimo vitale. Solo dopo il 31 dicembre 2008 dovranno adeguarsi anche se, spiegano, “abbiamo iniziato dal 1989 a effettuare rilasci sperimentali”.
Dopo l’ultima centrale, l’acqua torna nell’alveo: in ogni caso “lo sbarramento del corso d’acqua crea dei cambiamenti nell’intero territorio, sia a monte sia a valle -puntualizza Laura Tremolada di Arpa Lombardia-. A valle si verificano modificazioni del regime delle portate, del trasporto solido, della qualità dell’acqua. Un lago artificiale -continua Tremolada- è progettato, realizzato e gestito per soddisfare esigenze di utilizzo specifiche. Ciò significa che i cicli temporali adottati per il rilascio delle acque variano in funzione della disponibilità di acqua e della sua utilizzazione”. È per questo che alcune organizzazioni, riunite nell’Intergruppo acque Provincia di Sondrio (Iatp) hanno chiesto una moratoria sul rilascio di nuove concessioni: le esigenze in primo piano non sono quelle dei fiumi e dell’ambiente.
La produzione idroelettrica di A2a, e di conseguenza i rilasci successivi, vengono decisi giorno per giorno in base alle indicazioni che arrivano da Aem Trading, la società che si occupa di seguire la quotazione del chilowattora alla Borsa elettrica.
Che l’acqua ritorni in circolo dipende innanzitutto dal prezzo e dalla disponibilità di energia sul mercato.
Nomi idroelettrici
In Italia ci sono 541 grandi dighe (l’elenco completo è su www.registroitalianodighe.it). L’idroelettrico la fa da padrone: 313 invasi alimentano centrali per la produzione di energia idroelettrica. Altri 125 hanno invece un uso irriguo. 25 invasi “riempiono” i nostri acquedotti.
La capacità di produzione idroelettrica dipende da fattori esterni: sia nel 2005 che nel 2006, ad esempio, la produzione totale è stata del 15% inferiore circa rispetto al 2004, passando da 42.744 gigawattora a poco più di 36mila, pari al 13,6% del totale.
L’Enel dispone di circa 500 impianti idroelettrici, con una potenza installata di 14.401 Megawatt. Nel corso del 2007 l’azienda ha prodotto 21.183 miliardi di chilowattora da fonte idroelettrica. Altri produttori idroelettrici sono Edison, Endesa Italia, A2a ed Edipower.
Rivalità estive, e non solo
“Tutte le dighe di recente progettazione hanno generalmente uso plurimo”, spiega Mauro Franceschini dell’ufficio relazioni esterne del Registro italiano dighe. Servono, cioè, allo stesso tempo per irrigare e come serbatoio per le centrali idroelettriche. L’uso plurimo di un invaso, però, è in pratica impossibile: basta pensare alle guerre che s’accendono d’estate tra agricoltori e produttori
di energia elettrica. Si è arrivati così, negli ultimi anni, a obbligare per decreto “gli idroelettrici” a svuotare gli invasi di montagna in estate, quando accumulano acqua per poter produrre energia in inverno, per favorire l’irrigazione a valle.