Ambiente
L’alta velocità sconosciuta
La tratta tra Genova e Tortona comporta un investimento di sei miliardi di euro, insostenibile anche secondo le Ferrovie dello Stato —
Tiziana Garrone ha un terreno di 3mila metri quadro sulle colline della Valpolcevera che dominano Trasta (Ge), dove coltiva la terra e passa i fine settimana con la sua famiglia. A luglio ha ricevuto una lettera che le comunicava l’esproprio, con un indennizzo di 50 centesimi di euro a metro quadro, per poter avviare i lavori di costruzione della linea ferroviaria alta velocità-alta capacità Terzo Valico dei Giovi.
L’ha inviata Cociv, il consorzio che riunisce Impregilo (54%), Tecnimont (20%), Società italiana per condotte d’acqua (21%) e Civ (5%) e realizzerà l’opera. “Non si tratta di esproprio per interesse pubblico, perché è un’opera che non serve alla collettività -denuncia Tiziana-. Molti dicono che porterà lavoro, ma con quei 6,2 miliardi di euro se ne potrebbero creare di più utili”. Alle lettere di esproprio dei terreni seguiranno quelle delle abitazioni, benché il Progetto definitivo del Terzo Valico, approvato nel 2006 dal Cipe (il Comitato interministeriale per la programmazione economica), segnali che “le zone oggetto di occupazione hanno una destinazione prevalentemente agricola, ad eccezione di limitate parti di terreni posti in prossimità dei centri abitati”.
Gli espropri non sono però stati eseguiti, perché nelle valli Polcevera, Scrivia e Lemme -le tre attraversate dalla nuova linea ferroviaria- sono spuntate le bandiere “No Tav”. “Facevo parte di Stato di Allucinazione, un’associazione che si occupa dei problemi ambientali della zona -racconta Davide Ghiglione del Comitato ‘No Tav-Terzo Valico della Valpolcevera’-. A marzo siamo stati contattati dal Comitato proteggiamo Villa Sanguineti di Trasta; la villa è una scuola in cui studiano 180 bambini, dove i funzionari del Cociv volevano instaurare i loro uffici. L’incontro con la gente di Trasta è stato fondamentale per la crescita del movimento, che si è poi allargato a luglio con le prime lettere di esproprio. Siamo riusciti a bloccarli tutti, sia in Liguria che in Piemonte, e il 6 ottobre abbiamo fatto una grande manifestazione tra Serravalle (Al) ed Arquata Scrivia (Al)”. Un’altro corteo, il 17 novembre, s’è tenuto a Genova, tra Bolzaneto e Certosa.
Nel luglio 2011, invece, per le vie del capoluogo ligure avevano sfilato fino alla Prefettura cinquecento persone, convocate da Confindustria Genova. C’erano il presidente dell’Autorità portuale genovese Luigi Merlo e rappresentanti delle istituzioni, come il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando e l’ex sindaco Marta Vincenzi, i vertici della banca Carige ed esponenti del mondo dell’industria, tutti uniti nel chiedere al governo le garanzie finanziarie per la costruzione del Terzo Valico. Cinque mesi dopo, il Cipe sbloccò 1,1 miliardi di euro per dare il via ai lavori del secondo lotto costruttivo, che si sommano ai 500 milioni di euro già assegnati nel 2010 per il primo. Malgrado non sia ancora stata prodotta un’analisi dei costi e dei benefici connessi con la realizzazione del Terzo Valico, a fine settembre sono iniziati i lavori del campo base di Trasta, mentre a giugno è stata avviata un’opera propedeutica: una galleria stradale tra l’aeroporto di Genova e il quartiere di Borzoli.
Ad oggi, risulta stanziato più di un sesto dei 6,2 miliardi di euro previsti per la costruzione del Terzo Valico. Secondo il Wwf, dall’inizio degli anni ‘90 i costi dell’opera -22,4 miliardi di lire a chilometro nei contratti di allora- sarebbero lievitati dell’800%. I No Tav definiscono quei contratti “il peccato capitale del Terzo Valico”, perché furono stipulati a prezzo chiuso e a trattativa privata: Cociv fu scelto come general contractor da Tav spa (oggi Rete ferroviaria italiana) senza gara d’appalto poco prima del gennaio ‘92, quando le gare europee diventarono obbligatorie.
È da vent’anni, cioè, che si parla della costruzione di una linea ad alta velocità che unisca Genova a Milano, bucando gli Appennini in corrispondenza del valico dei Giovi. In questo modo, i genovesi potrebbero percorrere i 138 chilometri che li dividono da Milano a 250 km/h, e le merci del loro porto arrivare rapidamente in Pianura Padana, per essere poi convogliate verso Rotterdam. L’opera -54 chilometri di tracciato di cui 33 corrono in galleria- fu considerata prioritaria dalla Legge Obiettivo del 2001 e dalla Decisione n. 884/2004/CE, che auspicava la costruzione di un asse di collegamento tra Genova e Rotterdam. Il cosiddetto “corridoio dei due mari”, che dovrebbe unire i due porti passando per Milano e la Svizzera, non sarebbe però un’infrastruttura continua, ma un progetto di cui sono in costruzione solo singoli tratti. Tra questi è contemplato il Terzo Valico, che non arriverebbe fino a Milano ma a Tortona (Al), attraversando il territorio di 12 comuni delle province di Genova e Alessandria e passando per Novi Ligure. In pratica, una volta giunti a Tortona su una linea ad alta velocità, i treni dovrebbero rallentare per i restanti 66 chilometri che li dividono dal capoluogo lombardo.
Il nuovo valico, poi, non è il terzo ma il sesto: sono cinque le linee che oggi collegano la Liguria alla Pianura Padana, perforando la dorsale appenninica. Tre di queste lasciano Genova per il Basso Piemonte, e corrono a poca distanza dal tracciato disegnato per l’alta velocità. Ad ogni modo, secondo lo Studio di impatto ambientale presentato da Italferr (società del gruppo Fs) e approvato dopo tre bocciature dal ministero dell’Ambiente nel 2003, la capacità delle linee già esistenti può essere incrementata al massimo del 25%, e non sarebbe in grado di supportare la crescita del traffico di container in uscita dal porto ligure.
“Il Terzo Valico è un’opera utile alla logistica della città e del suo porto in particolare. Lo scopo è riuscire ad avere, nel trasporto merci, la stessa proporzione tra ferro e gomma che hanno i Paesi più evoluti; sia per questioni di carattere ambientale, sia perché in questo modo si decongestionerebbe il traffico”, spiega il vicesindaco e assessore all’Urbanistica di Genova Stefano Bernini. Paesi più “evoluti” come la Germania che, secondo uno studio di Unicredit del 2012, muove su rotaia un numero di container cinque volte superiore rispetto all’Italia.
E per raggiungere i livelli tedeschi, almeno leggendo il progetto definitivo del Terzo Valico, del 2006, è necessaria la costruzione di una nuova linea ad alta velocità, perché -si legge, a proposito dei collegamenti tra Genova e il Nord- “il sistema attuale non sarà più sufficiente dal 2015 circa”. In linea con le previsioni di crescita del traffico merci si schiera anche il Piano Operativo 2012-14 del porto di Genova, approvato nel novembre 2011, che afferma: “Le previsioni degli operatori, pur nella situazione di incertezza dei mercati precedentemente descritta, mostrano una crescita dei volumi superiore alle aspettative, con un tasso medio di crescita annua del 7% circa”.
Di tutt’altro avviso è Stefano Lenzi, responsabile nazionale trasporti e infrastrutture del Wwf Italia: “I dati del porto di Genova non giustificano un investimento di 6,2 miliardi. Il progetto del Terzo Valico nasce all’inizio degli anni ’90, con la previsione che nel 2010 il porto avrebbe movimentato 5 milioni di teu (unità di misura dei container, equivale a un parallelepipedo lungo 6 metri, largo 2,4 e alto 2,6, ndr), ma da anni il traffico è bloccato intorno ai 1,7 milioni di teu. Abbiamo dimostrato che con adeguamenti sulle linee ferroviarie esistenti si arriverebbe a oltre 3,3 milioni di teu, e utilizzando appieno anche le linee di valico della Spezia e di Savona si potrebbe arrivare a 9 milioni. Comunque non tutti i container che escono da Genova vanno verso Novi Ligure”.
Occorre inoltre prendere in considerazione i problemi ambientali connessi con la costruzione del Terzo Valico: lo stesso Cociv ammette che i lavori potranno danneggiare le falde acquifere, mentre il Progetto definitivo del 2006 e lo Studio d’impatto ambientale del 2003 non si occupano del problema della presenza massiccia, nell’Appennino ligure-piemontese, di amianto contenuto nelle pietre serpentiniti. Si prevede che gli scavi produrranno 12.596.561 m3 di smarino: 861mila saranno utilizzati per la realizzazione della linea, ma più di 11 milioni dovranno essere smaltiti in via definitiva. Uno dei depositi individuati dal progetto è l’ex cava Cementir nel comune di Voltaggio (Al). Il sindaco Lorenzo Repetto è preoccupato: “A fine luglio la Provincia di Alessandria ha chiesto al Presidente della Repubblica, a quello del Consiglio e ai presidenti di Regione Piemonte e Liguria di impegnarsi affinché sia valutata la presenza di amianto nello smarino e che prima dell’inizio dei lavori siano adottati -se rilevata- criteri cautelativi necessari alla sua estrazione, trasporto e smaltimento. La Provincia di Alessandria si è inoltre pronunciata per la verifica delle condizioni di stabilità dello smarino che dovrebbe finire nell’ex cava Cementir,. Se la montagna di smarino franasse, chiuderebbe il torrente Lemme che alla prima pioggia esonderebbe. Un altro problema che il paese dovrà affrontare, se apriranno i cantieri, è il raddoppio della popolazione”.
Proprio a Voltaggio, e nella vicina Fraconalto, si trovano i cantieri che nel 1998 sono stati posti sotto sequestro dai carabinieri: dove i permessi parlavano di cunicoli esplorativi per sondaggi geognostici, si stavano costruendo delle vere e proprie gallerie. Gli imputati accusati di truffa aggravata ai danni dello Stato, tutti beneficiati dalla ex-Cirielli, erano Luigi Grillo, deputato già nel 1987, oggi presidente della Commissione lavori pubblici del Senato, Ercole Incalza, ex amministratore delegato di Tav, Massimo Palliccia di Italferr, Mario Nicolini del Cociv e gli imprenditori Marcellino Gavio, Bruno Binasco e Rosario Alessandrello.
Un mucchio di soldi che circolano e otto anni preventivati di lavori. Una grande opera che non può non far gola alle cosche della ‘ndrangheta operanti in Liguria e nel Basso Piemonte. Gli interessi dei calabresi nei confronti del Terzo Valico sono stati segnalati nell’ambito dell’inchiesta “Minotauro” da Silvia Salvadori, giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, e hanno spinto la Prefettura di Genova a stipulare con Rfi e Cociv un Protocollo di legalità, in cui le due imprese si sono impegnate a denunciare qualsiasi tipo di infiltrazione mafiosa.
Paolo Beria, ricercatore di Economia dei trasporti del Diap-Politecnico di Milano, rileva altri possibili problemi di sostenibilità dell’opera: “Se verrà utilizzato il meccanismo del canone di disponibilità, come si cerca di fare con i progetti finanziariamente più deboli, chi ci guadagnerà sarà il consorzio costruttore. Il meccanismo è il seguente: in un project financing ‘normale’, il consorzio costruttore chiede un pedaggio ai treni che passano sulla sua linea per coprire i costi di investimento da lui anticipati, assumendosi il rischio che i treni effettivamente ci siano. Questo pedaggio normalmente sull’alta velocità è di 15 euro a chilometro, ma per rientrare dell’investimento su una linea costosa come il Terzo Valico dovrà essere maggiore. Una tale cifra è insostenibile dal mercato, soprattutto per i treni merci. Il meccanismo del canone di disponibilità, invece, permette al consorzio di affittare la linea a Rfi in solido e a una cifra pattuita, tale da farla rientrare dai costi di costruzione. In questo modo, però, il rischio commerciale si sposta dal consorzio privato a Rfi, che per mantenere i pedaggi su livelli sostenibili dal mercato non ricaverà denaro a sufficienza per pagare l’affitto. Così andrà in perdita e dovrà ricevere qualche forma di contributo statale, esplicito o meno”. Nella valutazione economica preliminare del Terzo Valico, elaborata nel 2004, la stessa Rfi avverte che i costi di gestione dovranno essere coperti per l’85% con fondi pubblici.
Le casse del Tesoro dovranno quindi finanziare la costruzione e il mantenimento della Genova-Tortona, e chi ci guadagnerà sarà solo Cociv. Saranno, cioè, Impregilo, Tecnimont, Società italiana per condotte d’acqua e Civ, che vede tra i suoi azionisti Carige e la Banca infrastrutture innovazione e sviluppo di Intesa Sanpaolo, al cui vertice ha seduto a lungo il viceministro delle Infrastrutture Mario Ciaccia. —