Opinioni
La trappola di Renzi
di Francesco Gesualdi —
"Più soldi in tasca alla classe media", "più posti di lavoro". Le promesse del presidente del Consiglio si scontrano con la mai abbandonata austerità. La ricetta non cambia e la spesa pubblica (i servizi) continua a essere aggredita. Tra le urgenze nazionali, una seria patrimoniale che vada a colpire stabilmente quel 10% delle famiglie italiane che detiene il 50% del patrimonio privato nazionale. L’analisi del fondatore del “Centro nuovo modello di sviluppo”
Renzi è in trappola. Al pari di Berlusconi vorrebbe passare alla storia come il salvatore della patria, l’uomo della Provvidenza che è riuscito a tenere insieme gli opposti: “più soldi in tasca alla classe media”, “più posti di lavoro”, deferente rispetto per l’austerità che i governi d’Europa -Italia compresa- si sono imposti. Ma non ce la farà, per un motivo molto semplice: non ha il coraggio di cercare i soldi laddove si trovano. Non ha il coraggio e soprattutto non ha la voglia. L’equità, del resto, non è più nel dna del Partito democratico. Finito anche lui nell’orbita del pensiero unico, che osanna il mercato come divinità assoluta, si è infilato in un vicolo cieco che lo porterà a un unico risultato: la demolizione dell’economia pubblica e dei servizi pubblici che rendono l’idea della civiltà di un Paese.
Riepiloghiamo la situazione. L’Italia viaggia con un debito pubblico di oltre 2000 miliardi di euro, che all’incirca ci procura un salasso di 85 miliardi all’anno di interessi. Ma, cascasse il mondo, la spesa per questi interessi non si tocca perché, per accordo tacito, il primo dovere di un debitore è pagare i creditori. Fino ad oggi, per trovare i soldi da dare alle banche, lo Stato ha perseguito la strada classica dell’aumento di tasse e taglio alle spese. In una parola ha applicato l’austerità che scontenta non solo i cittadini, ma anche le imprese perché meno spese da parte di Stato e famiglie corrispondono a meno vendite. Di conseguenza licenziamenti, che a loro volta alimentano ulteriore riduzione di spesa in una spirale senza fine.
Il progetto di Renzi è interrompere questo meccanismo aumentando di 10 miliardi di euro la disponibilità dei lavoratori. Se milioni di famiglie si troveranno fra le mani più soldi, compreranno di più e quindi faranno arrivare più ordini alle imprese che riprenderanno a produrre e quindi ad assumere. Così in teoria. In pratica c’è la globalizzazione. Lo scherzetto che potrà fare sarà di scaricare gli aumenti di spesa non Italia, ma in Polonia, in Romania, in Cina, addirittura nella detestata Germania. Ma lasciando da parte questo particolare, il problema di Renzi è come reperire i 10 miliardi di euro da mettere nella busta paga dei lavoratori.
Le strade a sua disposizione sono molte, ma quando si tratta di trovare le risorse si corre sempre il rischio di scontentare qualcuno. E questa è l’ultima cosa che Renzi vuole per non offuscare la sua immagine di politico interclassista. Che fare? Due le strade scelte da Renzi, ambedue di tipo classico. La prima: un netto taglio alla spesa pubblica che però rischia di azzerare gli effetti della manovra. Se per stimolare la spesa privata, si taglia quella pubblica il risultato è un’operazione a somma zero. La seconda possibilità è l’aumento di debito. Ma qui Renzi si scontra con le regole europee. Non a caso si è messo in pellegrinaggio per l’Europa per ottenere il beneplacito delle cancellerie che contano e della Commissione europea.
L’Europa ha confermato che di autorizzare debito oltre i vincoli europei non se ne parla proprio e alla fine Renzi potrebbe optare per una terza via che è quella dei bilanci truccati, come hanno già fatto alcuni suoi predecessori.
La storia ci dirà per quale soluzione Renzi opterà. Ma come cittadini tocca dire che la strada per redistribuire meglio la ricchezza e garantire servizi ai cittadini è la tassazione delle fasce più ricche ormai sempre più di tipo parassitario. Tant’è che le loro fonti di guadagno non derivano più da investimenti produttivi, ma da operazioni creditizie e speculative comprese la scommessa. Orientando l’attenzione su quei soldi (i loro) per servizi di pubblica utilità sarebbe non solo un’operazione di giustizia, ma un bene per l’umanità, considerato che usano la loro ricchezza addirittura per organizzare attacchi speculativi contro i titoli di Stato.
La prima cosa da fare per raggiungere questo obiettivo di giustizia è la riforma del sistema fiscale in senso progressivo innalzando subito l’ultima aliquota che oggi si ferma al 43% sopra i 70mila euro di reddito. Contemporaneamente andrebbe introdotta una seria patrimoniale che vada a colpire stabilmente quel 10% delle famiglie italiane che detiene il 50% del patrimonio privato nazionale. E nello stesso ordine di idee si iscriverebbe un bel taglio alla spesa per interessi tramite la decisione unilaterale di ridurre i tassi in pagamento allo 0,50%, che è lo stesso tasso pagato dalle banche commerciali sui prestiti che ottengono dalla Banca Centrale Europea.
Avesse lungimiranza politica, Renzi non si affiderebbe al mercato per creare occupazione, ma la creerebbe direttamente come Stato. Potrebbe assumere subito un milione di disoccupati, pagandoli con cambiali di stato che se fossero accettate come pagamento delle imposte, circolerebbero nel Paese come se fossero euro. Si tratterebbe, insomma, di un modo per aggirare la mancanza di sovranità monetaria che oggi non abbiamo, ma che dobbiamo assolutamente mettere in agenda di recuperare.
Queste scelte non ci obbligherebbero ad andare col cappello in mano per le capitali europee e ci permetterebbero di non fare nuovo debito. Ma richiedono la merce oggi più rara: la volontà di mettersi contro i poteri forti.
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