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Ambiente / Varie

La sostenibilità non ha credito

Le "esternalità ambientali" delle imprese che ricevono un prestito non sembrano considerate dalle banche. Secondo l’analisi di ECBA Project, “se una banca ha partecipazioni o eroga prestiti a lungo termine ad imprese che nel tempo generano rilevanti esternalità, queste potrebbero esporre l’istituto di credito a numerosi fattori di rischio”. Intervista ad Andrea Molocchi e Donatello Aspromonte, una versione estesa dell’articolo pubblicato su Altreconomia 167

Nei bilanci degli istituti di credito difficilmente trovate queste quattro parole in fila: “Esposizione dell’impresa alle esternalità ambientali”. Secondo gli economisti Andrea Molocchi e Donatello Aspromonte, però, “se l’ottica dell’azione di una banca che si ispira a criteri di sostenibilità e di responsabilità sociale dev’essere quella di favorire, attraverso il credito, la realizzazione di progetti finanziariamente solidi e socialmente utili, limitando i danni ambientali, allora la banca dovrebbe valutare adeguatamente l’idoneità non solo finanziaria ma anche economico-sociale, di ogni progetto, e questo significa realizzare un’analisi costi-benefici estesa anche alle componenti ambientali, in passato escluse dalle valutazioni di carattere finanziario”.
Molocchi ed Aspromonte sono i fondatori di ECBA Project, che sta per Environmental Cost-Benefit Analysis (www.ecbaproject.eu). Dalle pagine di un paper diffuso a settembre 2014 i due economisti invitano le banche a valutare l’erogazione dei crediti “assumendo” come parametro (aggiuntivo rispetto ai criteri convenzionali) anche le esternalità ambientali delle imprese affidate, cioè dei soggetti che chiedono e ricevono un prestito. Garantire credito a chi costruirà, e gestirà, una centrale termoelettrica convenzionale, ad esempio, potrebbe generare costi esterni ambientali complessivi superiori, ed ingiustificati agli occhi dell’opinione pubblica, rispetto ad una centrale di tipo cogenerativo che minimizza gli sprechi energetici perché dimensionata su un’utenza preesistente di calore di processo. 

Usiamo il condizionale, però, perché -come racconta Molocchi- “in Italia la promozione di una cultura scientifica di valutazione delle esternalità ambientali e sociali è stata sinora praticamente assente dalle politiche di governo, in particolare del ministero dell’Ambiente, così come del ministero dei Trasporti, nonostante la sussistenza nel nostro Paese di pesanti esternalità ambientali, da incidenti stradali e da congestione da traffico, soprattutto in ambito urbano. A livello comunitario la valutazione dei costi esterni è ampiamente promossa come strumento a supporto delle politiche settoriali, mentre in Italia prevale la tendenza a risolvere i problemi ambientali e sociali sulla base di valutazioni e indicazioni di priorità di carattere soggettivo, non supportate da adeguati studi di valutazione delle esternalità, ovvero capaci di soppesare le diverse tipologie di impatto ambientale e sociale con un metro di misura comune, di tipo monetario, che riflette i valori e le preferenze della popolazione”.
Secondo Molocchi, “solo di recente, con l’introduzione di normative comunitarie e nazionali che obbligano le amministrazioni ad effettuare l’analisi costi benefici degli investimenti pubblici, qualcosa potrebbe cambiare anche da noi. A patto di un’evoluzione culturale, su cui qualsiasi obbligo deve poggiare, per poter essere rispettato. Proprio con questo spirito, sulla scorta delle metodologie comunitarie per l’analisi costi benefici, ECBA project ha realizzato un’indagine sui costi esterni delle emissioni in atmosfera di tutti i settori dell’economia italiana, che può essere utile per innovare le politiche d’intervento, a partire da una fiscalità ambientale coerente col principio chi inquina paga, così come ha importanti applicazioni a supporto della sostenibilità delle imprese, ed anche delle banche”.

Molocchi ritiene che la valutazione dei costi esterni ambientali e, più in generale, l’analisi costi benefici dei progetti d’investimento siano strumenti utilizzabili non solo dalle amministrazioni e dalle imprese, ma anche dalle banche, per comprendere le implicazioni ambientali e sociali nel medio e lungo periodo dei progetti che vengono finanziati. Lo studio di ECBA Project sulla sostenibilità ambientale del settore bancario dimostra che i tassi d’interesse applicati dalle banche nei diversi settori di attività economica non riflettono il rischio indiretto per la banca associato all’esposizione delle imprese finanziate alle esternalità ambientali, ne è prova il fatto che molti dei settori che godono di tassi più bassi, evidentemente ritenuti dalle banche più solidi dal punto di vista finanziario, sono in realtà i settori che generano maggiori esternalità ambientali.

Donatello Aspromonte spiega che “se una banca ha partecipazioni o eroga prestiti a lungo termine ad imprese che nel tempo generano rilevanti esternalità, queste potrebbero esporre l’istituto di credito a numerosi fattori di rischio”. Oltre al rischio reputazionale (come potrebbe essere il sostegno finanziario a un soggetto accusato, ad esempio, di disastro ambientale), ci sono altri fattori di rischio che poggiano su basi intrinsecamente finanziarie, come il rischio di solvibilità di un’impresa (che potrebbe essere condannata a un risarcimento danni, o essere obbligata a bloccare l’attività produttiva, con interruzione dei cash flow e della capacità di restituire il prestito) o l’impossibilità di attingere, nel caso di mancata restituzione del prestito, a garanzie reali fornite dai clienti. Anche la tanto attesa riforma della fiscalità ambientale secondo il criterio “chi inquina paga” può mettere a rischio la banca poco attenta alle esternalità ambientali dei soggetti affidati, dato che l’attuale regime di fiscalità energetico-ambientale presenta forti incoerenze rispetto ai costi esterni effettivamente generati.

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