Ambiente
La scampagnata
Ha chiuso i battenti il vertice Onu sulla sostenibilità, uno dei punti più bassi della storia del multilateralismo mondiale. Il documento di 53 pagine approvato e diffuso non si smarca di un millimetro da quello fatto circolare alla vigilia dell’arrivo dei Capi di stato. Poca ambizione, nessun coraggio, niente responsabilità. Ma quello che più preoccupa è il mondo di domani: Rio sdogana definitivamente il ruolo dei privati e della deregolamentazione. E su cosa significhi "il futuro che avremo" basta guardare all’Italia
Persino la statua del Cristo Redentore preferisce non farsi vedere, nascosta dietro le nuvole basse e la pioggia che sta bagnando la conclusione del vertice di Rio+20. Finita la passerella e le dichiarazioni di rito, quello che resta sul tappeto è un documento non solo inutile ma addirittura preoccupante per quello che non dice e per i problemi che lascia del tutto irrisolti.
Nessun piano d’azione concreto per contrastare il cambiamento climatico, uno dei maggiori rischi che il pianeta sta affrontando, né per prevenirlo, considerato che non si è concretizzata alcuna politica efficace per azzerare i sussidi ai combustibili fossili, che ogni anno assorbono più di mille miliardi di dollari, quasi il 2% del PIL mondiale.
Una visione del "lavoro dignitoso" che sembra uscita da un libro dell’ottocento, dove la cornice parla di mercato del lavoro e il focus del problema è trovare il modo per favorire una maggiore disponibilità di occupazione. E’ la legge della domanda e dell’offerta, dove i lavoratori diventano oggetto del contendere e non soggetto attivo e propositivo.
Ma quello che più emerge è l’approccio "concettuale" di tutto il documento, senza una data, senza una cifra né uno stanziamento. Neppure quei 30 miliardi di dollari proposti dal G77 per facilitare e sostenere la transizione low-carbon.
Sul resto nessuna analisi dei costi sociali ed ambientali dell’industria mineraria, considerata sostanziale per la crescita economica dei Paesi. Nessun impegno sulla tutela della biodiversità, lasciata alla volontà di ratificare la Convenzione di Nagoya e al prossimo futuro la possibilità di tutelare gli oceani.
La vera scelta è stata quella di non definire regole per le imprese e le multinazionali, lasciate libere di operare e di investire come meglio preferiscono.
Il commento più efficace è quello di Kumi Naidoo di Greenpeace International che sottolinea come quello che si è presentato a Rio "non è il mondo che vogliamo, è un mondo in cui dominano le multinazionali inquinanti e quelli che distruggono l’ambiente".
Gli fa eco Nnimmo Bassey, di Friends of the Earth International, secondo il quale "ancora una volta le multinazionali che inquinano hanno tenuto in ostaggio le Nazioni Unite per spingere i loro interessi economici, alle spese del benessere delle persone e del pianeta".
Interessi alla luce del sole, evidenziati da iniziative come il GlobalBioEnergy Partnership, iniziativa di diversi Paesi nata al G8 di Gleaneagles diversi anni fa e di cui è presidente il nostro Ministro dell’Ambiente Corrado Clini. È all’interno di questa cornice che Clini assieme al ministro brasiliano dell’Energia, Edson Lobao, hanno firmato un accordo bilaterale per iniziative comuni nel Sud del mondo. In questo modo, le imprese italiane potranno affiancare quelle brasiliane che investono in Paesi del “Sud del Pianeta” per incentivare lo sviluppo sostenibile, come per esempio in Mozambico, in Etiopia o nei Paesi dell’ Africa Occidentale dove è sensibile la presenza di iniziative imprenditoriali del Brasile, ma anche in altre aree del mondo. La corsa ai biocombustibili è iniziata anche per l’Italia, con buona pace delle preoccupazioni dei movimenti contadini di mezzo mondo.
Ma per capire cosa significhi la green economy sdoganata a Rio de Janeiro non serve andare molto lontano.
Basterebbe andare a bussare a Sorgenia, per chiedere quale sia la "sensibilità" (claim pubblicitario del gruppo) nel detenere il 30% di quote di Tirreno Power e nel sostenere il piano di sviluppo che raddoppierà la centrale a carbone di Vado Ligure nei prossimi anni.
O fare mente locale sulla presenza dell’italica Eni qui a Rio e sul perchè da molti è stata considerata un’azione di greenwashing.
Il motivo lo ha illustrato Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni, rispetto alla decisione del Governo di spostare a 12 miglia dalla costa il limite per l’esplorazione di gas e petrolio. "Dopo Macondo, l’incidente della Bp, nel mondo nessuno ha cambiato la legislazione sulla ricerca petrolifera, ad eccezione dell’Italia. E io sono portato a pensare che quando siamo gli unici a prendere una determinata decisione, è una cretinata". Alla convinzione di Scaroni risponde la cortesia del ministro dell’Ambiente Corrado Clini, secondo il quale il limite di 12 miglia per le trivellazioni di ricerca degli idrocarburi "non è un mito" e quindi se ne può riparlare.
Rio+20, in questo piovoso Brasile, ha ormai chiuso i battenti. Ma il mondo che ci restituisce rischia di essere peggiore di quello che gli abbiamo affidato. Forse, come emerge dai lavori della Cupula dos Povos e dal documento finale approvato e sdoganato all’Aterro do Flamenco, è bene che la società civile mondiale si rimetta in marcia.