Ambiente / Opinioni
La “regia verde” del nuovo governo, tra aspettative e realtà
Le affermazioni del presidente Draghi sulla costituzione di un governo ambientalista potrebbero far ben sperare. Ma “sarebbero apparse decisamente più rassicuranti se tra i ministri incaricati ci fossero stati più ecologisti, più visionari e, non da ultimo, più donne”, scrive Annalisa Corrado, co-portavoce di Green Italia
Next Generation Eu: è un nome estremamente evocativo quello scelto per le risorse straordinarie che l’Unione europea ha destinato alla ripartenza post Covid-19. Un nome che porta in sé un monito (ancora una volta sono soldi presi a prestito dal futuro) e un obiettivo ultimo (siamo troppo vicini al punto di non ritorno dell’ecosistema per non utilizzare ciascuno di questi denari per correggere profondamente la rotta dell’intero sistema economico e sociale che, finora, abbiamo percorso).
Non si tratta, quindi, di risorse destinate a chiudere un brutto capitolo e tornare il più rapidamente possibile al punto di partenza, bensì di un investimento senza precedenti per raggiungere ancor più velocemente quegli obiettivi di decarbonizzazione e resilienza già identificati con la sottoscrizione degli Accordi di Parigi della Cop21 e con la definizione degli obiettivi per la sostenibilità al 2030 delle Nazioni Unite. Green New Deal (rivoluzione verde), infrastrutturazione digitale, coesione sociale, resilienza dovrebbero essere i fari di questo novello (e irripetibile, in tempi utili per evitare il collasso climatico) piano Marshall.
Come noto, le risorse straordinarie destinate all’Italia sono ingenti: 209 miliardi di euro. Moltissimi, in particolare, se si considera che la capacità di gestione e spesa dei fondi europei ordinari è, per il nostro Paese, una vera spina nel fianco. Per poter sperare di avere successo, sono necessari con tutta evidenza una strategia e procedure di attuazione autorevoli, rigorose, verificabili, partecipate e, possibilmente, incarnate da figure credibili.
L’attuale livello di formulazione del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr), che dovrebbe risolvere il punto primo, non convince affatto: manca innanzitutto una visione complessiva e mancano moltissimi degli strumenti concreti che serviranno per “portare a terra” principi e idee necessari per raccogliere le sfide di questi tempi complicatissimi. Ci si aspetterebbe, tanto per iniziare, che il piano definisse una nuova strategia industriale complessiva in ottica circolare, ridisegnasse completamente il modello di mobilità e trasporti (anche nelle città metropolitane, grandi assenti dell’attuale stesura), si occupasse di agricoltura e allevamento, di formazione, innovazione e ricerca, di infrastrutture sociali che contrastino le diseguaglianze e garantiscano una vera parità (in particolare per la valorizzazione del potenziale represso delle donne nella società), di “salubrità” dei territori e degli ecosistemi e di come garantirla.
La sfida della riformulazione del piano è già, di per sé, estremamente ambiziosa: non esiste una normalità a cui tornare (perché la normalità era il problema), ma un nuovo scenario inedito da costruire, attivando una collaborazione sistemica, del tutto inedita, tra le istituzioni, aziende, corpi sociali, cittadinanza. Da questo punto di vista, da tempo, gli ecologisti evidenziavano la necessità di istituire, possibilmente in seno alla presidenza del Consiglio, una sorta di “cabina di regia verde” che possa essere dotata di strumenti e agibilità politica tali da tenere saldamente le redini della transizione, evitando il lavoro tipico dei ministeri “a canne d’organo”, che molto spesso provoca gravi disarmonie. L’istituzione del ministero della Transizione ecologica è parso, almeno inizialmente, un segno decisamente positivo in tale direzione anche se, a poche ore dall’annuncio, una volta visti gli altri ministri incaricati, sembra che si tradurrà in un ministero dell’Ambiente cui si annetterebbe solamente la pur importante delega all’energia. Una montagna che partorisce un topolino, quindi? È certamente presto per dirlo: finché non saranno completati i nominativi e le deleghe della squadra di governo, sarebbero considerazioni monche e facilmente smentibili dai fatti.
È possibile, però, fare alcune considerazioni preliminari. In primo luogo l’occasione persa dal punto della parità di genere è un problema immediatamente evidente (più politico che tecnico) ed è uno di quei problemi che lascia immediatamente intravedere sia quanto i 17 Obiettivi dell’agenda al 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile (SDGs) non siano stati un faro nella composizione del governo (Obiettivo 5: parità di genere), sia quanto la necessità che nel Pnrr ci siano gli strumenti giusti per dare forza e rappresentanza al 51% della popolazione italiana non sia stata compresa fino in fondo.
In secondo luogo la scelta di una figura come quella di Roberto Cingolani alla transizione ecologica, molto apprezzata per le decantate doti nel mondo dell’innovazione, ricerca e management, ha lasciato diverse perplessità nel mondo degli ecologisti che pure ben avevano accolto l’introduzione del ministero. Tanto alcune affermazioni fatte nel recentissimo passato (il gas metano come “male minore”, le rinnovabili o le auto elettriche come tecnologie “troppo costose”, le manifestazioni di Greta Thunberg come teatro), quanto l’assenza di pubblicazioni o esperienze professionali specifiche nell’ambito della sostenibilità ambientale o della green economy, infatti, fanno temere che, al di là delle già menzionate qualità, manchi del tutto una visione alta e consolidata delle potenzialità stesse della transizione di cui, invece, si sentirebbe una enorme necessità. Dato positivo, di segno contrario al precedente, è invece la presenza di Enrico Giovannini al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti; figura che è da tempo un punto di riferimento autorevole per visione ecologista e pragmatismo delle strategie proposte, tanto che in molti speravano di vederlo alla guida del nuovo ministero.
Infine le prime affermazioni del presidente incaricato Mario Draghi, che ha detto chiaramente che il suo sarà un governo “ambientalista”, dovrebbero lasciare spazio a un certo ottimismo, in particolare se inserite nel contesto del nuovo corso green fortemente voluto dall’Unione europea (esplicitato dai criteri per utilizzare i fondi) e dalla spinta finalmente proveniente dagli Stati Uniti a guida Biden-Harris; in tutta onestà, però, tali affermazioni sarebbero apparse decisamente più rassicuranti se tra i ministri incaricati ci fossero stati più ecologisti, più visionari e, non da ultimo, più donne.
Annalisa Corrado è co-portavoce di Green Italia e ha ricoperto ruoli di consulenza specializzata presso il ministero dell’Ambiente. Ingegnera meccanica, si occupa di impianti alimentati da fonti rinnovabili, di efficienza energetica, di gestione virtuosa di rifiuti e di valutazione degli aspetti ambientali dei sistemi energetici. Nel 2020 ha pubblicato “Le ragazze salveranno il mondo. Da Rachel Carson a Greta Thunberg: un secolo di lotta per la difesa dell’ambiente”, edito da Edizioni People
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