Opinioni
La lobby del supermercato
La grande distribuzione vive sulle spalle dei soggetti più deboli della filiera, i produttori, su cui scarica il rischio d’impresa con pagamenti a 120 giorni. Il governo Monti s’è mosso, incontrando resistenze _ _ _
Verso la fine degli anni Settanta comincia a svilupparsi in Italia la grande distribuzione organizzata (Gdo). Secondo alcune analisi, fra produttori e consumatori esistevano problemi di approvvigionamento: con questa motivazione, si sviluppa un nuovo modello. Penso, però, che già allora vi erano almeno altri due motivi, che avremmo capito dopo: l’investimento di capitali in un’attività altamente redditizia per la gestione della liquidità, e lo sfruttamento immobiliare e edilizio, che sottrae terreno agricolo a scopi speculativi.
Inizia così la rottura definitiva del rapporto diretto fra la produzione e il consumatore: la Gdo -di fatto- sceglie per gli uni e per gli altri, creando un vuoto d’informazione fra i due pilastri dell’economia reale e solidale.
Prima di allora, infatti, ogni produttore aveva con il suo “cliente” un contatto diretto: riceveva critiche, complimenti e richieste di prodotti e/o servizi, e i produttori di tutte le arti (artigiani, agricoltori, pescatori, trasformatori) si organizzavano per fornire quanto veniva richiesto, unendosi in forme mutualistiche e di solidarietà, come le prime botteghe cooperative, i mercati locali e rionali, le filande con vendita diretta. Anche gli ambulanti erano veri e propri “mercatini locali”, che servivano il territorio, e i produttori avevano con queste strutture rapporti diretti di contrattazione e informazione.
Con l’avvento del nuovo modello di distribuzione (Gdo), siamo stati convinti che questo avrebbe migliorato il reddito dei produttori e la qualità del servizio offerto ai consumatori, con evidente vantaggio per entrambi. Invece, i produttori hanno perso qualsiasi potere contrattuale: non possono più coltivare ciò che vogliono quando vogliono, né ciò che chiede il consumatore; sono costretti a seminare o piantare le coltivazioni che la Gdo indica alle proprie piattaforme di programmazione e lavorazione del prodotto. Ciò va a discapito della qualità, della salvaguardia della ricchezza territoriale e della tutela della dignità economica dei produttori.
Ai produttori biologici la Gdo impone cosa, quanto e a che prezzo produrre i nostri prodotti agricoli. Le motivazioni addotte sono le solite da almeno 20 anni: bisogna essere competitivi fra noi e con l’estero; servono economie di scala, e quindi aziende sempre più grandi e che possibilmente coltivino 1-2 prodotti (monocultura); bisogna produrre prodotti “belli”, non importa se sani e buoni ma uniformi, uguali, lucidi, acquistabili con gli occhi e non per il loro valore nutritivo o la loro stagionalità.
Il consumatore si è “seduto”, e non chiede più ciò che vuole. Non lotta per ottenere i prodotti che desidera, è succube del modello “non preoccuparti, ci pensiamo noi”.
Questo modello ha sottratto a chi produce la liquidità: le vendite alla Gdo vengono pagate (come minimo) a 120 giorni dalla data di consegna, un termine inaccettabile. Ogni azienda agricola -piccola o grande che sia- compra sementi, gasolio, metano, energia elettrica, concimi, pagandoli in media a 60 giorni dall’acquisto. Poi attende il tempo di crescita -dai 70 ai 180 giorni secondo le coltivazioni-: se vende alla Gdo, al prezzo da questa deciso, incassa 4 mesi dopo la vendita. Ciò significa che il produttore rimane “esposto” per 360 giorni. Per quale motivo i soggetti più deboli della filiera sopportano i costi degli interessi di esposizione finanziaria?
Ecco uno dei motivi per cui, in Italia, si è passati da 3,6 milioni di aziende agricole nel 2000 a 1,6 nel 2010. Il modello distributivo Gdo ha dirette responsabilità in questa situazione: non sono solo le politiche comunitarie a determinare la chiusura di attività primarie, ma anche l’insostenibilità economica dettata dalla remunerazione dei prodotti e dalle modalità di pagamento.
A fine febbraio il governo ha proposto una norma che imponeva alla Gdo di saldare le forniture dei propri fornitori a 60 giorni dalla fattura, o in alternativa di applicare un interesse di mora per ogni giorno di ritardo, come succede nel resto d’Europa. La lobby della Gdo è insorta, e ha ottenuto sette mesi di tempo per discutere e cambiare la proposta. In questo modo, e in nome della competitività, si vogliono portare alla chiusura migliaia di attività, facendo credere al consumatore che così risparmia. Quanti consumatori sanno che le offerte dei supermercati sono a carico del produttore? Come agricoltori biologici dobbiamo continuare a costruire insieme ai consumatori sensibili piattaforme locali controllate da chi le utilizza. Un sistema distributivo partecipato e virtuoso, il contrario del modello Gdo, che trasforma in rifiuti il 20% delle derrate alimentari commercializzate. —