Ambiente
La casa è un paradosso
Gli appartamenti vuoti non si contano, eppure si continua a costruire e i prezzi non scendono. L’esplosione della bolla immobiliare è dietro l’angolo
I muri delle nostre città parlano. Ed esprimono un doppio disagio. Da una parte ci sono i cartelli “vendesi”, dall’altra manifesti a rivendicare che “la casa è un diritto”. Più dei muri, però, pesano i numeri: secondo la società di studi economici Nomisma, sono rimasti invenduti ben 694mila appartamenti costruiti negli ultimi dieci anni; Federcasa, la federazione che associa 114 enti che costruiscono e gestiscono abitazioni sociali, spiega invece che servono 583mila alloggi popolari; l’Associazione nazionale dei costruttori edili, anagrafe alla mano, rilancia: servirebbero almeno 328mila nuovi appartamenti ogni anno, perché tante sono le famiglie che si creano in Italia ogni anno (in media, tra il 2004 e il 2010). L’Ance “predica” per il bene dei propri associati, ma senza fare i conti in tasca con la realtà: il numero delle compravendite è sceso del 32% tra il 2006 e il 2011, quando sono state meno di 600mila.
Se frullate tutti questi numeri, il risultato è uno sciroppo dal sapore indigesto: gli italiani non hanno comprato quelle case perché costano troppo; le quotazioni degli immobili, tra il 2004 e il 2011, sono aumentate del 25% al netto dell’inflazione, secondo dati dell’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia del territorio, rielaborati dal Censis. E oggi, rispetto al “picco” del 2008, registrano solo un leggero calo, del -3,3%. “Rispetto ad altri Paesi europei, il prezzo cala più lentamente” spiega Luca Dondi, responsabile dell’Osservatorio sul mercato immobiliare di Nomisma. Secondo il ricercatore, tra le cause principali di questo meccanismo c’è “l’atteggiamento delle banche nella gestione dei crediti in sofferenza. In Italia -continua Dondi- hanno avuto, e continuano ad avere, un approccio ‘morbido’. I processi di crisi, e i casi di insolvenza, vengono gestiti dilazionando i tempi. Le imprese edili, così, continuano ad avere possibilità di immettere case a prezzi non dissimili da quello iniziale. Di fronte alla stessa situazione, nel mondo anglosassone è normale che la banca entri o torni in possesso dell’immobile. E, di fronte a un eccesso di offerta, è prassi rivedere il prezzo”. Ciò non avviene in Italia, dove buona parte dei prestiti concessi ai costruttori “sono garantiti proprio dal valore degli immobili invenduti” spiega Dondi.
E questo significa che un crollo dei prezzi aprirebbe una spirale (anche) nei conti degli istituti di credito, che secondo i dati della Banca d’Italia a fine dicembre 2011 risultano esposte nei confronti dell’industria delle costruzioni per 172,4 miliardi di euro, ben 42 miliardi in più rispetto a fine 2009.
È un circolo vizioso a far sì che i prezzi reggano, “un accordo banche-imprese” secondo Luca Dondi. “I costruttori -spiega il ricercatore di Nomisma- hanno il timore che, se scendessero le quotazioni, il valore del proprio portafoglio immobiliare sarebbe rivalutato sulla base del prezzo dell’unità ‘marginale’, quella che viene compravenduta a un prezzo inferiore”. Hanno paura, cioè, che nel momento in cui si mostrino disposti a cedere un appartamento per far cassa, questo diventi il prezzo di riferimento.
Ecco che l’interesse del costruttore è lo stesso delle banche, che rischiano di non poter “rientrare” della propria esposizione: a fine 2011, i crediti in “sofferenza” ammontano a 17,8 miliardi di euro, oltre il 10 per cento di quelli concessi, e sono aumentati del 235% rispetto al 2009. Per questo, chi mette in discussione la “tenuta del mercato” è trattato al pari di un attentatore della pace sociale. È successo, ad esempio, al direttore generale del Censis Giuseppe Roma, che presentando il rapporto “Clima di fiducia e aspettative delle famiglie italiane”, realizzato in collaborazione con Confcommercio, ha sottolineato che “da parte delle famiglie [c’è] la sensazione diffusa di una svalutazione del valore degli immobili: un’opinione condivisa oggi dal 41% delle famiglie intervistate, una quota che nelle grandi città questa sale al 44%”.
Ciò, secondo Roma, deriva da una molteplicità di cause (un reddito statico che viene assorbito da spese diverse rispetto alla casa, vecchie e nuove tasse, come l’Imu). Secondo Roma, tutto questo potrebbe tradursi in “una flessione significativa dei prezzi delle case che potrebbe attestarsi quest’anno intorno al 20%”, con perdite ancor più significative per le case di qualità meno elevata e situate nelle periferie delle grandi città.
Roma è stato letteralmente “impallinato”: l’Ance ha replicato che la notizia di “un crollo dei prezzi degli immobili appare non aderente alla realtà e alle caratteristiche del mercato immobiliare italiano”; Federimmobilare ha ribadito che “il mercato ha pagato lo scotto della crisi con un calo molto forte delle operazioni ma non dei prezzi”; secondo Scenari immobiliari, invece, l’effetto non riguarderà che “gli immobili in cattive condizioni”.
Il disappunto è evidente anche nella nota diffusa dal presidente di Assoedilizia, Achille Colombo Clerici: “Questa dichiarazione ha creato molto allarme. Una eventualità di questa natura, con effetti generalizzati e diffusi, creerebbe panico e vasti effetti negativi economici e sociali: dalle coperture bancarie delle garanzie per indebitamenti agli equilibri dei bilanci, ai fondi immobiliari, agli enti previdenziali, alle imprese costruttrici per l’invenduto; alle prospettive di patrimonializzazione dei beni familiari”.
Boom: è ciò che accade quando scoppia una bolla. Intanto, però, per gli operatori del settore è urgente affrontare un altro problema: in Italia si costruisce sempre meno; se nel 2005 erano stati rilasciati ben 305.706 permessi di costruire, un record, nel 2010 si è “sprofondati” a 143mila (meno 53 per cento). Per chi non ha alcun interesse né a curarsi né ad arrendersi all’evidenza, c’è un’unica opportunità: creare un mercato parallelo.
“Chi vince la ‘partita’ per dare una casa a chi non può soddisfare le proprie esigenze sul mercato libero, vince una ‘partita’ importante -ha spiegato Lorenzo Bellicini, direttore del Cresme (Centro ricerche economiche sociali di mercato per l’edilizia e il territorio, cresme.it) presentando il rapporto congiunturale ‘Il mercato delle costruzioni 2012’-. I redditi non ce la fanno più. Dobbiamo prenderne atto, altrimenti facciamo un prodotto che non trova collocazione”. Questo “nuovo prodotto” lo hanno chiamato “housing sociale”, cioè “un programma integrato di interventi che comprende l’offerta di alloggi, servizio, azioni e strumenti rivolti a coloro che non riescono a soddisfare sul mercato il proprio bisogno abitativo” secondo la definizione che ne diamo sul libro Il gestore sociale (Altreconomia, 2011). È -in teoria- un modello pensato per favorire l’accesso alla casa a chi non può comprare né affittare ai prezzi correnti: a Torino ne è un esempio il vecchio palazzo delle Poste di via Ivrea 24, recuperato da Oltre Venture, Fondazione Crt e cooperativa sociale Doc che vi hanno ricavato 122 unità abitative dai 19 ai 44 metri quadri (23 delle quali a disposizione del Comune di Torino per ospitare le famiglie in difficoltà abitativa), in affitto tra i 190 e i 420 euro al mese, 58 camere d’albergo (a prezzo d’ostello), un ristorante, un ambulatorio dentistico. L’immobile è gestito da Sharing, una società partecipata da Oltre e Doc.
Via Ivrea 24 è un progetto “libero”, frutto dell’iniziativa dei tre soggetti coinvolti. Dal 2009, però, l’housing sociale è retto -come la vecchia edilizia residenziale pubblica- da una regia “di Stato”. È stata creata ad hoc una società di gestione del risparmio, che si chiama Cassa depositi e prestiti investimenti (Cdp I, www.cdpisgr.it), i cui azionisti sono Cassa depositi e prestiti (che investe il risparmio postale delle famiglie italiane), le banche attraverso l’Associazione bancaria italiana (Abi) e le fondazione di origine bancaria, attraverso Acri.
Cdp I ha attivato il Fondo investimenti per l’abitare (Fia), che nell’arco di meno di due anni ha raccolto oltre 2 miliardi di euro, da destinare ad interventi di housing sociale su tutto il territorio nazionale. Sul “mercato parallelo” dalle case hanno deciso di scommettere, innanzitutto, gli azionisti della sgr: Cdp, che ha sottoscritto un miliardo di euro, i gruppi bancari (che ci hanno messo 500 milioni di euro), i gruppi assicurativi (220 milioni di euro). Ma a garantire la massa critica di liquidità per questa nuova avventura edilizia sono anche le casse di previdenza (per 168 milioni di euro) e il ministero delle Infrastrutture (140 milioni). Al 10 aprile 2012, il Fondo ha deliberato investimenti preliminari per 500 milioni di euro, suddivisi in 15 fondi immobiliari locali gestiti da 9 società di gestione del risparmio (vedi box). Secondo il Cresme, grazie a questa iniziativa sarebbe in corso la progettazione di 15mila alloggi di housing sociale in tutta Italia, investimenti per il 73% co-finanziati da privati.
Ma i dati più significativi sono altri. Nonostante l’enorme patrimonio edilizio a disposizione, compresi i quasi 700mila alloggi costruiti negli ultimi dieci anni e mai venduti, di cui abbiamo già dato conto, il 79% degli interventi di housing sociale riguarderebbe nuove costruzioni. E, a differenza dell’esempio torinese di via Ivrea 24, la maggior parte degli immobili non verranno destinati alla locazione “a canone sociale”: il 65% delle case verrà venduto a prezzo “convenzionato” e affittato “con patto di futura vendita”; solo il 35% degli appartamenti daranno risposta all’esigenza di case permanente in affitto e a canone calmierato.
A Parma, dove sono aperti i cantieri di Parma Social House, con un investimento di 137,5 milioni di euro per 852 alloggi, solo il 30% sarà destinato all’affitto a canone sostenibile. Si tratta, annuncia pomposamente il sito del Comune di Parma, del “primo progetto cofinanziato” dal Fondo investimenti per l’abitare. “Social House” resta solo nel nome del promotore, i cui azionisti sono diverse società di costruzione private e cooperative. Tra gli investitori invece figurano il Comune di Parma (tramite STT Holding), Cdp Investimenti Sgr, Fondazione Cariparma, Coopfond-Legacoop. Il processo di sviluppo immobiliare, che ha ricevuto un contributo a fondo perduto di circa 3 milioni di euro da parte di Regione Emilia Romagna, è gestito da Polaris Investment Italia Sgr spa. Abbiamo chiesto informazioni a Polaris, che ci ha rimandato al proprio sito. Solo sulla scelta del “mix funzionale”, la percentuale cioè di case in vendita e in affitto, la sgr ha spiegato in modo evasivo che “sta alla base della sostenibilità del progetto a livello di business plan”. È la differenza tra la vecchia edilizia residenziale pubblica e il social housing, riassunta dal presidente di Cdp Investimenti Matteo Del Fante in audizione informale l’8 maggio 2012 alla commissione Ambiente della Camera dei Deputati: “I criteri di investimento del Fondo investimenti per l’abitare prevedono […] che il rendimento atteso sia nell’ordine del 3% oltre all’inflazione”; e se l’efficacia, l’efficienza e l’economicità delle azioni intraprese tramite il Fondo sono state censurate in una delibera del dicembre 2011 da parte della Corte dei Conti, ciò è dovuto alla “difficoltà di identificare progetti di investimento che presentino una redditività in linea con gli obiettivi”. —
Raccolti oltre 2 miliardi di euro
Le fondamenta del fondo
Risale al piano casa berlusconiano la nascita del sistema “di Stato” per l’housing sociale
— luca martinelli
Fondo investimenti per l’abitare (Fia) è il motore di un sistema integrato di fondi immobiliari (Sif) locali, e rappresenta una delle linee d’intervento del cosiddetto “Piano casa”, lanciato nel 2008 dal governo Berlusconi.
Il meccanismo funziona così: il Fondo nazionale, che ha raccolto 2,028 miliardi di euro (da Cdp, banche, assicurazione, casse previdenziali e ministero delle Infrastrutture), può investirli sottoscrivendo un massimo del 40% dei fondi locali, quelli che saranno poi incaricati di realizzare gli interventi di “edilizia privata sociale”.
Secondo questo schema, Cdp I -per conto del Fia- ha assunto delibera di investimento non vincolanti per 500 milioni di euro, e ha preso delibera definitive di sottoscrizione per circa 165 milioni di euro, relative a 33 progetti immobiliari. Sul sito di Cdp Investimenti, l’elenco è aggiornato a 14 dei 15 fondi immobiliari locali “attivati”.
Ben sei sono gestiti da un unico soggetto, Polaris Investment Italia sgr, e hanno un obiettivo di raccolta complessivo di oltre 800 milioni di euro.
Polaris Italia è controllata al 100% dalla società di diritto lussemburghese Polaris Investment S.A., il cui azionista di riferimento è la Fondazione Cariplo (di cui nella foto è ritratto il presidente, Giuseppe Guzzetti -che è anche presidente di Acri- e che controlla il 48%; un altro 32% è in mano a investitori istituzionali, il 20% di enti religiosi).
Tra i membri del cda, un sacerdote salesiano (don Giovanni Mazzali, che è anche presidente di Polaris Investment), il presidente della Cassa italiana geometri, il segretario generale della Fondazione Cassa di risparmio di Forlì, qualche consigliere d’amministrazione di Fondazione Cariplo e di Fondazione Housing Sociale, un ex membro del comitato di supporto degli azionisti privilegiati di Cassa depositi e prestiti. Tutto quel che serve, insomma, per dedicarsi all’housing sociale utilizzando una corsia preferenziale. —