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La banca pubblica dell’UE e i paradisi fiscali
Anche se si è dotata di linee guida specifiche sulla questione dei Paesi a tassazione agevolata, la Banca europea degli investimenti, di proprietà dei 28 Stati dell’Unione, finanzia ancora imprese che spostano quei soldi verso tax heaven. Secondo un rapporto di Re:Common, l’istituzione dovrebbe garantire maggiore trasparenza anche attraverso la pubblicazione di bilanci disaggregati Paese per Paese e l’identificazione della proprietà effettiva dei soggetti beneficiari
Nel 2009 la Banca europea per gli investimenti (BEI) è stata la prima istituzione finanziaria internazionale ad aver adottato delle linee guida specifiche sulla questione dei paradisi fiscali. Tuttavia dopo oltre un lustro il denaro della BEI finisce ancora in quegli stessi paradisi fiscali. Il nuovo rapporto “Verso una politica fiscale responsabile per la BEI” (“Towards a Responsible Taxation Policy for EIB”, in inglese) lanciato da Re:Common e dalla rete europea CounterBalance invita la banca pubblica dell’UE a cogliere l’impulso politico a livello continentale e fare così in modo che i suoi fondi non finiscano nei tax heaven.
La pubblicazione di bilanci disaggregati Paese per Paese -il country by country reporting-, l’identificazione della proprietà effettiva dei beneficiari e un elenco praticabile di giurisdizioni non conformi sarebbero gli “ingredienti” fondamentali per una vera e propria politica fiscale responsabile.
Il report di CounterBalance mette in evidenza diversi casi che mostrano come i fondi della BEI siano stati concessi a beneficiari che hanno usato i paradisi fiscali per aumentare i loro profitti o per “imboscare” proventi della corruzione. Il rapporto elenca anche alcuni investimenti della BEI nei Paesi in via di sviluppo che passano attraverso i paradisi fiscali.
Le criticità che emergono sono possibili perché l’attuale politica della BEI sulle giurisdizioni non conformi (NCJ) è molto facile da aggirare. Inoltre la lista di questi Paesi -redatta dal Global Forum nel 2014- è piuttosto ridotta e piena di eccezioni. Un elemento che mina alle fondamenta questo filone di lavoro dell’istituzione. Poi ci sono dei paradossi assoluti, come quello del Lussemburgo, che secondo il Global Forum non è una giurisdizione conforme. Eppure la BEI ha sede e investe in diversi fondi registrati proprio nel Granducato. Inoltre, è molto difficile tenere traccia degli investimenti della BEI, soprattutto quando sono veicolati tramite intermediari finanziari quali banche commerciali o fondi di investimento. Esigere il country by country reporting da parte dei suoi clienti -e che sia accuratamente tracciata la proprietà effettiva dei beneficiari- sarebbe un importante passo in avanti per aumentare la trasparenza degli investimenti della BEI e prevenire l’evasione fiscale.
“Recenti rivelazioni come #luxleaks e #swissleaks dimostrano che l’Europa sta perdendo miliardi di euro a causa dell’evasione fiscale, e nei Paesi in via di sviluppo la situazione è ancora peggiore. I leader dell’UE fanno dichiarazioni audaci sulla lotta contro l’evasione fiscale, ma allo stesso tempo la loro principale banca pubblica è parte integrante del problema”, spiega Antonio Tricarico dell’associazione Re:Common, l’autore del rapporto.
Val la pena rammentare che la BEI è un’istituzione al 100% pubblica, dal momento che è controllata e finanziata dai 28 Stati membri e dalla Commissione. Per questa ragione deve sottostare interamente ai regolamenti e alle direttive comunitarie.
La BEI opera principalmente all’interno dell’UE e, in misura minore, al di fuori dei suoi confini in base a un mandato specifico che gli viene conferito ogni sette anni dalla Commissione europea, dal Consiglio e dal Parlamento. La Banca raccoglie fondi sui mercati di capitali mediante emissione di obbligazioni con un rating tripla A.
Di recente anche l’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che raggruppa gli Stati più ricchi del Pianeta, ha riconosciuto che i Paesi in via di sviluppo potrebbero perdere molto di più attraverso l’evasione fiscale di quanto ricevono in aiuti.
Nel 2008, una ricerca della Ong Christian Aid ha quantificato tale perdita causata dall’operato delle multinazionali occidentali in 160 miliardi di dollari l’anno. Nel 2012 gli aiuti allo sviluppo ammontavano a 125 miliardi. Inoltre, un rapporto del 2014 di Eurodad, una coalizione di Ong di sviluppo, ha calcolato che gli stessi paesi in via di sviluppo perdono più reddito a causa dell’evasione fiscale di quanto riescono a raccogliere tramite aiuti, rimesse e investimenti stranieri.
Per scaricare il rapporto: http://www.counter-balance.org/wp-content/uploads/2015/04/towards-responsible-taxationWEB.pdf
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