Ambiente / Approfondimento
Keith Crossman: da trent’anni sulle tracce delle locuste
L’espansione degli insetti è monitorata dalle Nazioni Unite che registrano le informazioni di team locali con immagini satellitari. A rischio la sicurezza alimentare di milioni di persone. Intervista al funzionario senior della FAO per le previsioni sulle locuste
Il lavoro di Keith Crossman alla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) è quello di “funzionario senior per le previsioni sulle locuste”. Un mestiere che pochi conoscono ma che ha un impatto globale. “Questo ufficio venne istituito fin dall’inizio del lavoro della FAO, io me ne occupo dal 1987. Il monitoraggio della situazione globale delle locuste del deserto è un pilastro del mandato della FAO perché se lavoriamo bene, con previsioni sensate e dando l’allarme nel momento giusto, cambiamo la vita di una quantità enorme di persone”, spiega Crossman ad Altreconomia.
In una delle zone più desolate del Pianeta, il Rub al-Khali (il Quarto Vuoto), una zona desertica tra Arabia Saudita, Oman ed Emirati Arabi Uniti, alla fine di maggio 2018, ha piovuto. Non accade quasi mai ma quando accade, come in una rappresentazione feroce delle dinamiche globali del Pianeta, gli effetti sono devastanti per milioni di persone. La pioggia, infatti, portata dal ciclone Mekunu, in una quantità mai vista, ha creato dei piccoli laghi nel Quarto Vuoto: in quelle pozze, le locuste mutano comportamento. Le uova rimaste inattive si schiudono, gli adulti si riproducono freneticamente, in tre mesi la loro popolazione può aumentare di 20 volte. Stesso fenomeno, sempre nel 2018, si è ripetuto con il ciclone Luban a ottobre: a quel punto il numero di locuste era enorme, il cibo (la vegetazione) era esaurito. E le locuste hanno iniziato a muoversi.
“Il monitoraggio della situazione globale delle locuste nel deserto è un pilastro del mandato della FAO: se lavoriamo bene salviamo la vita di una quantità enorme di persone”
“Il mio lavoro consiste, ogni giorno, nel monitorare le condizioni delle locuste nel deserto e la situazione ambientale. Registrare, controllare e importare una quantità enorme di dati che arrivano in sede a Roma dai team sul campo”, spiega Crossman. Utilizziamo il sistema SWARMS, un particolare tipo di GIS (Geographic Information System), per tracciare i dati sulle mappe incrociandoli con quelli dei mesi e degli anni precedenti. Anche perché siamo riusciti a ottimizzare dati, che risalgono fin agli anni Trenta, che combiniamo con immagini satellitari per rilevare le precipitazioni e lo stato della vegetazione nel deserto”, racconta Crossman con una punta d’orgoglio.
Il suo ufficio a Roma, a distanza siderale dai territori che monitora, è una centrale operativa di monitor, processori e dati, che Crossman gestisce attaccato al telefono satellitare. “Ogni giorno, per tutto il giorno, controlliamo le posizioni dei team sul terreno in contatto stretto con i centri nazionali dei Paesi coinvolti che si occupano di locuste. Riceviamo dati e rapporti, analizziamo e incrociamo i dati con le serie storiche, decidiamo se e come lanciare allarmi e interventi in base anche alle precipitazioni piovose che attendiamo per i prossimi mesi e le prossime settimane. Tutto questo materiale diventa un rapporto mensile per l’organizzazione e per le autorità dei Paesi coinvolti. Tutto da solo? No, ogni anno ho un tirocinante”, risponde Crossman con aplomb britannico, che non permette di capire se sia una lamentela o meno. “Il tirocinante viene formato all’utilizzo degli innovativi sistemi digitali che servono per il nostro lavoro, così come formo gli operatori locali che potranno e dovranno essere sempre più autonomi nel lavoro di raccolta e analisi dei dati”.
Gli sciami di locuste, dalla Penisola Arabica, si sono spostate nel Corno d’Africa e in Africa Orientale. A febbraio di quest’anno, i contadini del Kenya avevano tirato un sospiro di sollievo: miliardi di locuste del deserto avevano imperversato decimando i raccolti, mangiando l’equivalente del fabbisogno alimentare giornaliero dell’intera popolazione del Kenya. L’uso massiccio di pesticidi, spruzzati dall’alto, sembrava averle fermate ma si sono riprodotte e minacciano il Kenya, l’Etiopia, la Somalia e l’Uganda. Per ora, in una forma simile alle cavallette, devastano i campi muovendosi per terra ma adulte (e volando) mangerebbero una quantità tale di vegetazione sul loro cammino da produrre -secondo la FAO- danni mai visti in settant’anni. “Ritengo che, fino a oggi, l’impatto sulle popolazioni locali nel biennio 2003-2005 sia stato quello più grave perché non c’erano i team e le apparecchiature che abbiamo adesso ma ora la situazione è critica perché si sta formando una nuova generazione di sciami, che maturerebbero in coincidenza della stagione della semina in quelle regioni”.
Secondo l’Onu, bisogna attivare un fondo di 76 milioni di dollari per avviare una strategia efficace tra l’estate e l’autunno. Le Nazioni Unite hanno ricevuto solo 21 milioni
Cosa significa questo? Secondo i dati della FAO significa l’insicurezza alimentare per milioni di persone. La connessione con il cambiamento climatico è netta: le forti piogge del 2019, mai registrate prima in certe zone come lo Yemen, hanno creato un ambiente umido che ha favorito la riproduzione e che in prospettiva, oltre ai Paesi citati, potrebbe mettere in pericolo India, Pakistan e Iran. Secondo la FAO sono 25 milioni le persone a rischio di insicurezza alimentare perché gli sciami sono veloci, riescono a coprire anche 150 chilometri al giorno. Tra Kenya, Somalia ed Etiopia vivono 13 milioni di persone in situazione di insicurezza alimentare acuta, come riportano i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento delle azioni umanitarie delle varie agenzie Onu (OCHA); negli stessi Paesi, altre 20 milioni di persone sono nella fascia di insicurezza alimentare non grave ma la situazione per loro potrebbe precipitare, in bilico perenne tra desertificazione dei territori e periodi di precipitazioni fuori controllo che generano gli sciami di locuste. Le azioni di contenimento con i pesticidi, che pure devastano per un altro verso l’ambiente, sono in aumento ma servono ingenti investimenti da parte della comunità internazionale per arginare questo disastro. Secondo le stime dei tecnici Onu, bisogna attivare immediatamente un fondo di 76 milioni di dollari per mettere in atto una strategia efficace tra l’estate e l’autunno. Al momento, le Nazioni Unite hanno ricevuto solo 21 milioni. E il dilemma tra abuso di pesticidi e devastazione dei raccolti è risolvibile, senza più tempo da perdere, solo con la lotta al cambiamento climatico.
Il lavoro di Crossman non è certo agevolato dalla pandemia di Covid-19 perché l’attendibilità delle previsioni è legata all’efficienza dei team sul campo, che adesso hanno grandi difficoltà a muoversi per le restrizioni alla mobilità anche in Africa. “Mi fido dei miei collaboratori: ci conosciamo da anni, sono motivati e capaci”, spiega. “Il tema è vitale e le istituzioni locali collaborano molto, sanno che dipende da questo la vita dei loro Paesi. Soprattutto i team che abbiamo formato sono affidabili, siamo in contatto costante, anche al telefono, perché grazie al loro lavoro posso fare il mio e so che anche nelle difficoltà non si tireranno indietro. Riguarda la loro vita e quella delle loro famiglie. La situazione peggiorerà molto, temo, ma sono convinto che faremo fronte a questa emergenza. Anche perché non abbiamo alternative”
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