Ambiente / Approfondimento
Incendi di rifiuti, i sindaci chiedono di non essere lasciati soli
Da Torino alla Terra dei Fuochi, bruciano depositi e discariche, spesso abusivi. Il problema è nazionale e la regia probabilmente unica. Spesso però le istituzioni locali non hanno sufficienti strumenti per fronteggiare le emergenze
Grugliasco, 40mila abitanti, a appena cinque chilometri dal centro di Torino. Dallo scorso marzo, qui e negli altri paesi della cintura torinese -come Pianezza, Rivoli, Druento e Collegno- con cadenza quasi settimanale stanno andando a fuoco impianti di stoccaggio e smaltimento rifiuti. Bruciano anche imballaggi, carta, plastica ammonticchiati nei piazzali delle aziende della zona. Episodi ai quali il Piemonte non è del tutto nuovo: negli ultimi tre anni negli impianti della regione si sono verificati 30 roghi su un totale di 270 registrati a livello nazionale. Di questi ultimi, il 47,5% è avvenuto al Nord e il 20% è risultato di origine dolosa. Nell’ultimo periodo, però, gli eventi più che sospetti si sono intensificati. Abbastanza perché il sindaco di Grugliasco, Roberto Montà, consigliere della città metropolitana di Torino e presidente nazionale di Avviso Pubblico -associazione che da 22 anni riunisce gli amministratori locali per promuovere la cultura della legalità, e di cui Altreconomia ospita una rubrica fissa– si facesse capofila di una protesta che ha coinvolto tutti i primi cittadini della zona.
“I depositi spesso sono talmente pieni che prendono fuoco. Gli incendi, però, avvengono sempre in piena notte e non sembrano accidentali”, denuncia Montà. Nel suo comune, ad esempio, a luglio, a finire in cenere sono stati gli scarti di produzione di un’azienda di depurazione delle acque al confine con Orbassano. Nella notte tra il 9 e il 10 marzo, invece, è toccato a alcuni bancali di fronte a una ditta che si occupa di logistica non lontana dall’inceneritore di Torino. E poche ore prima le fiamme avevano lambito una cascina. Il timore di Montà è che dietro ci sia un’attività criminale, dotata di notevoli capacità operative e organizzative, che punta al controllo della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. Un mercato complicato e molto redditizio che funzionerebbe come una perfetta “lavatrice” dei soldi sporchi delle mafie. Conclusioni a cui, dopo mesi di indagini, sono arrivati anche gli inquirenti della Procura Nazionale Antimafia che ipotizzano un’unica regia dietro ai tanti episodi che, da Nord a Sud, hanno mandato in fumo tonnellate di rifiuti.
Intanto i Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico insieme ai colleghi Forestali stanno continuando a lavorare. Solo in Piemonte sono stati fatti una ventina di sequestri di siti legali e illegali. La situazione nell’hinterland di Torino, in ogni caso, fa sapere il maggiore Vittorio Balbo, “è molto meno preoccupante rispetto ad altri territori come Veneto e Lombardia”, dove nell’ultimo anno e mezzo i Vigili del fuoco sono intervenuti praticamente una volta al mese.
Una delle ultime, in ordine di tempo e al momento di andare in stampa, è stata a Muggiano, alle porte di Milano, dove a inizio luglio ad ardere è stato un deposito dell’azienda che si occupa della raccolta dei rifiuti in città. La densa colonna di fumo nero che si è alzata nel cielo ha fatto pensare a un allarme tossico, ma le analisi di Arpa e Ats dopo qualche giorno hanno fatto rientrare l’allerta. Anche in Lombardia le indagini sono ormai in una fase avanzatissima, ma la serie di eventi che si sono susseguiti nell’ultimo anno e mezzo è impressionante. Dall’incendio doloso a Bruzzano (MI) del luglio di un anno fa, a quello di settembre alla Eredi Bertè di Mortara nel Pavese che trattava rifiuti speciali. Fino alle fiamme che a ottobre hanno devastato il deposito di rifiuti industriali di Cinisello Balsamo della Carluccio srl, proprietaria anche dell’impianto di Bruzzano. E ancora il rogo che il 12 febbraio è scoppiato nel deposito Amsa di via Zama a Milano. A queste si aggiungono anche le discariche abusive, come quella di Corteolona in Lomellina, dove il 3 gennaio è andato distrutto un capannone abbandonato, stipato di ecoballe, gomma e plastica. Per spegnere le fiamme c’è voluta una settimana. Gabriele Grossi del comitato “Vivo La Bassa” è convinto che “quel disastro si potesse evitare”. I residenti, infatti, fin dall’autunno avevano notato un andirivieni sospetto di camion, avevano filmato e fotografato mezzi e targhe.
“I depositi spesso sono talmente pieni che prendono fuoco. Gli incendi, però, avvengono sempre in piena notte e non sembrano accidentali” – Roberto Montà
“Le istituzioni non sono intervenute in tempo”, denuncia Grossi che a marzo ha presentato in Procura un esposto, sottoscritto da oltre 1.000 cittadini, per verificare se ci siano state responsabilità o negligenze da parte delle autorità. Da mesi, poi, il sindaco Angelo Della Valle chiede che il materiale bruciato venga rimosso. “Finché l’area è off-limits per via delle indagini non possiamo fare nulla”, dice. Ma la paura che qualche altro incendio possa scoppiare, soprattutto per autocombustione, c’è.
Andando verso Sud, a Pomezia (Roma) a febbraio il fuoco si è mangiato una struttura di 2.000 metri quadrati dell’azienda di imballaggi di carta Quattro Emme Cutting. Proprio di fronte, a maggio 2017, le fiamme hanno consumato per tre giorni l’azienda di stoccaggio rifiuti Eco X, che conteneva anche amianto. E dopo tutto questo tempo le bonifiche non sono nemmeno iniziate. “Stiamo ancora aspettando i 750mila euro necessari a mettere in sicurezza la zona e procedere con lo smistamento dei detriti”, denuncia il sindaco Adriano Zuccalà, eletto lo scorso maggio nelle liste del M5s. La sua giunta ne ha già investiti 150mila, ma per il momento a Pomezia non è arrivato nemmeno un euro della fideiussione sottoscritta dalla Regione Lazio che avrebbe dovuto coprire il resto dei costi. “Arpa e Asl continuano a monitorare la zona, da un anno i valori delle sostanze inquinanti sono rientrati nei limiti -chiarisce Zuccalà- ma ancora adesso non sappiamo cosa sia bruciato”. Per parlare della Eco X, lui e il suo predecessore, Fabio Fucci, hanno sollecitato più volte un incontro con il governatore Nicola Zingaretti, ma hanno ottenuto solo la promessa che le bonifiche partiranno a fine estate.
“C’è una vera e propria epidemia di incendi che colpisce tutta la Penisola e dietro c’è quasi certamente un unico schema criminale” – Costantino Saporito
Anche la “Terra dei Fuochi” non smette di bruciare. Il 25 luglio a farne le spese è stata una fabbrica del gruppo De Gennaro nella zona industriale di Pascarola, nel territorio di Caivano, a ridosso tra le province di Napoli e Caserta. “Come in altri casi -denuncia Costantino Saporito, coordinatore nazionale dei Vigili del Fuoco dell’Unione Sindacale di Base- le fiamme sono partite dall’esterno e si sono propagate verso l’interno, segnale che il rogo potrebbe essere doloso. C’è una vera e propria epidemia di incendi che colpisce tutta la Penisola -aggiunge- e dietro c’è quasi certamente un unico schema criminale”. Di “bomba ecologica” parla invece il sindaco di Marcianise (Caserta) Antonello Velardi, che punta “a chiudere tutti gli impianti di stoccaggio rifiuti” ritenuti “troppo pericolosi”.
Se mancano i soldi per intervenire, ad aggravare il bilancio dello Stato alla voce rifiuti ci pensano anche i 235 milioni di sanzioni -in media 160mila euro al giorno- che dal 2014 l’Italia paga alla Commissione europea per la gestione delle discariche abusive. Bruxelles, dopo aver censito 200 località dove sono stati stoccati illegalmente i rifiuti -13 delle quali contaminate con sostanze tossiche- ha messo il nostro Paese sotto procedura di infrazione. Alle multe salate, si aggiungono altri 110 milioni di euro stanziati nel 2017 dal governo per le bonifiche, affidate da marzo dello scorso anno al commissario straordinario, Giuseppe Vadalà. Il suo compito è tutt’altro che facile: ripristinare aree abbandonate da anni, dove rifiuti pericolosi, detriti, elettrodomestici, mobili e semplice monnezza sono mischiati. Operazioni che non finiranno prima del 2022.
Infine a Macerata, il 7 luglio a prendere fuoco è stato lo stabilimento di rifiuti speciali della Orim di Piediripa. Il sindaco Romano Carancini ha subito fatto scattare il piano di protezione civile. Poche e semplici indicazioni: tenere le finestre chiuse, restare a casa e per qualche giorno non mangiare frutta e verdura. Per fronteggiare l’emergenza, poi, è stata aperta la Sala Operativa Integrata provinciale e l’Arpam ha effettuato dei campionamenti. Le analisi “hanno rilevato valori notevolmente al di sotto dei limiti” di legge per i “metalli pesanti, idrocarburi e diossine”. Risultati che però non hanno del tutto tranquillizzato i cittadini.
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