Esteri
In Sudafrica la terra resta un lusso per pochi
"Campioni d’Africa" è il reportage pubblicato sul numero 107 di Ae. Racconta la difficoltà della ex "locomotiva" Sudafrica, che fa i conti con la crisi e l’affronta con una classe politica non all’altezza dei leader del post-apartheid. L’intervista con Mercia…
"Campioni d’Africa" è il reportage pubblicato sul numero 107 di Ae. Racconta la difficoltà della ex "locomotiva" Sudafrica, che fa i conti con la crisi e l’affronta con una classe politica non all’altezza dei leader del post-apartheid. L’intervista con Mercia Andrews, che trovate qui sotto, fa invece il punto sulla questione agraria.
“Crediamo che in Sudafrica non possa realizzarsi nessuna riforma agraria senza pensare, nello stesso tempo, a una profonda riforma del modello di sviluppo agricolo”. Mercia Andrews (nella foto) è la coordinatrice del Trust for Community Outreach and Education (Tcoe), organizzazione sudafricana impegnata nella lotta per garantire l’accesso alla terra e alle risorse naturali per i poveri delle zone rurali del Paese e partner della ong "Fratelli dell’Uomo".
La Costituzione del Paese, approvata nel 1996 dopo la fine del regime dell’apartheid, riconosce il diritto alla terra e al cibo, ma anche la protezione della proprietà privata. La riforma agraria, però, è rimasta solo sulla carta.
La ragione principale riguarda il budget: il governo avrebbe bisogno di miliardi di rand (la valuta sudafricana; 1 rand vale 10 centesimi di euro, ndr). La restituzione delle terre perdute per effetto della segregazione razziale dopo il 1913, in base al Land Restitution Act del 1994, non può essere completata perché il governo ha scelto un programma di riforma agraria di mercato, e cioè di pagare a prezzi di mercato le terre da espropriare. Questo per effetto di un programma imposto dalla Banca mondiale, che si chiama “Willing buyer-willing seller”.
Per ultimo, il governo crede che il modello dominante dell’agricoltura commerciale possa portare ricchezza al Paese, e non vuole destabilizzarlo. La lobby dell’agrobusiness è molto forte, mentre i piccoli produttori sono deboli e poco organizzati.
Oltre al Land Restitution Act, esistono anche un Land Redistribution and Agricoltural Development Act (che prevede la redistribuizione delle terre coltivabili accaparrate dai bianchi duranta gli anni dell’apartheid) e un Security Tenure Act: cosa ostacola la loro efficacia?
Per quanto riguarda l’aspetto della “Restitution”, la difficoltà è data dalla complessità della richieste. Nella provincia del Limpopo, ad esempio, è stata richiesta la “restituzione” del 75% delle terre. E c’è da verificare se chi effettua la richiesta, può farlo. Inoltre, molte terre oggi sono occupate da insediamenti urbani, da centri commerciali, da grandi miniere.
I problemi maggiori, però, riguardano il Security Tenure Act, che è stato il più violato nel corso degli ultimi dieci anni: almeno un milione di persone che abitavano all’interno di terreni agricoli di proprietà privata sono stati allontanati con la forza. Questo perché chi abita all’interno dei latifondi e i braccianti agricoli non conoscono i propri diritti, e non lottano contro i loro padroni quando vengono cacciati dalle proprie case. Le organizzazioni non governative e i movimenti sono deboli, e non hanno la possibilità di mettere sotto contratto avvocati che aiutino gli sfollati o ad impedire gli sgomberi.
Per ultimo, viene il tema della riforma agraria vera e propria, la Land Redistribution. Solo il 5% delle terre sono state trasferite, e l’obiettivo era quello di raggiungere, entro il 2015, la redistribuzione del 30% di tutte le terre agricole sfruttabili in mano ai bianchi. Abbiamo solo 6 anni, adesso, per distribuire il 25% di queste proprietà. Ma, anche se questo avvenisse, ci scontreremmo con altri problemi: la mancanza di politiche adeguate per supportare i piccoli contadino e la mancanza d’interesse politico nel riportare verso il basso i prezzi delle terre. Stiamo combattendo per costruire un movimento nazionale di piccoli proprietari, poveri senza terra e donne rurali. È una battaglia lente e lunga, che abbiamo unito a quelle per l’accesso ai servizi di base e al cibo. Le aree rurali, dove vive ancora il 46% della popolazione, sono le più povere del Paese, con un altissimo livello di disoccupazione. Il governo affronta la situazione con dei prestiti, ma non cercando una reale trasformazione della situazione.
Cambierà qualcosa con il nuovo governo di Jacob Zuma, presidente del Paese dallo scorso maggio?
La nuova amministrazione dell’African National Congress (il partito dell’ex presidente Mandela, ndr) ha introdotto due ministeri separati, uno per la riforma agraria e lo sviluppo rurale e uno per l’agricoltura, la pesca e le foreste. Questo divisione tra gli imperativi economici dell’agricoltura commerciale e le esigenze di una riforma agraria per i più poveri è giù una risposta.