Ambiente
Il tunnel del marmo
Il progetto di una via che colleghi la Garfagnana e Carrara: lo pagherebbero le imprese in cambio della possibilità di cavare. L’opposizione dei comitati
Gli Este, nel Settecento, chiesero al matematico Domenico Vandelli di costruire una strada carrozzabile tra Modena a Massa. Il nome di Vandelli ritorna nelle parole di Mario Puglia, sindaco di Vagli di Sotto (Lu), in Alta Garfagnana, quando spiega la realizzazione di un nuovo traforo di circa 5 chilometri sotto le Alpi Apuane, all’interno di un parco regionale.
A chi gli chiede del traforo del monte Tambura, il cui crinale era attraversato dal percorso ideato dal matematico modenese, Puglia risponde infatti che si può considerare “una variante alla via Vandelli”.
Una “variante” che dovrebbe rendere più rapidi i collegamenti tra la Garfagnana e la città di Carrara attraversando la montagna, ma che a guardare le carte progettuali sembra un intervento pensato e realizzato anche a favore degli imprenditori del marmo.
Il sindaco allarga sulla scrivania del suo ufficio una mappa della galleria sotto la Tambura: “È previsto che all’interno della montagna, dalla carreggiata si aprano dei passaggi, che permettano ai camion di accedere a fronti di cava sotterranei. Si caverà marmo in galleria”. Ciò significa che, dall’esterno, il monte Tambura -una piramide carsica di marmo alta quasi 1.900 metri, che segna il confine tra le province di Lucca e Massa-Carrara- resterà uguale a se stessa; dentro, invece, verrà poco a poco svuotata.
L’interesse degli imprenditori è confermato dallo studio di fattibilità del collegamento stradale elaborato dall’Anas e consegnato a metà ottobre al Comune di Vagli, secondo cui l’investimento per l’intervento, 624 milioni di euro più Iva per una ventina di chilometri, verrà ripagato in buona parte garantendo nuove concessioni minerarie. Trentadue in tutto, dieci nel territorio del Comune di Carrara e ben 22 nel territorio di Vagli. In pratica, si prevede di far ricorso a un modello innovativo di “finanza di progetto” (project financing), meccanismo che di norma vede un privato (concessionario) realizzare a sue spese un’opera, ad esempio un’autostrada, e poi gestirla incassando i pedaggi per ripagare il suo investimento e remunerare il capitale investito. Per il traforo del Tambura, invece, la Direzione centrale finanza di progetto e concessioni autostradali dell’Anas ha elaborato un piano economico-finanziario che non farà ricorso “al pedaggiamento del tracciato stradale”. “I ricavi necessari a garantire al Concessionario congrua remunerazione del capitale privato investito, deriveranno dal ritorno economico delle concessioni inerenti l’estrazione e la commercializzazione del materiale proveniente l’escavazione delle zona limitrofe al traforo del Monte Tambura”.
Le tabelle allegate ci danno anche un orizzonte temporale di questo ulteriore “sfruttamento” del marmo delle Apuane: durerà fino al 2041. Quasi trent’anni il tempo necessario a reperire “il contributo pubblico” per il concessionario. L’Anas non ha calcolato quanto marmo dovrà essere cavato per garantire un contributo pubblico stimato tra i 210 e i 310 milioni di euro per un investimento (in teoria) privato.
Difficile, però, saperne di più: la direzione Anas che si occupa di finanza di progetto è passata sotto il controllo del ministero delle Infrastrutture. Il cui ufficio stampa è al solito parco di informazioni.
Il sindaco di Carrara, Angelo Zubbani, spiega ad Ae di aver avuto “contatti istituzionali con gli enti locali della Garfagnana e con l’Anas”, e di aver “garantito la collaborazione tecnica degli uffici del Comune per studiare un possibile tracciato”. Ma, assicura, “di nuove concessioni minerarie non si è mai parlato”. Zubbani, però, non pare propenso a rinunciare ad incassare i canoni: oggi, che dalle montagne di Carrara si staccano ogni anno 900mila tonnellate di marmo in blocchi e 3 milioni di tonnellate di scarti, sassi che diventano carbonato di calcio utilizzato nella cosmesi come sbiancante e nell’industria alimentare come colorante, le cave garantiscono al suo Comune entrate per 18 milioni di euro l’anno.
Ancora Mario Puglia, che amministra Vagli di Sotto: “L’unica cosa che abbiamo di certo è il marmo. Ed esistono risorse che potrebbero emergere realizzando questo traforo: perché se chi cava lavora all’interno della montagna, potrebbe farlo all’infinito, senza che dall’esterno si veda nulla. Cogliamo così due valenze -spiega il sindaco-: quella ambientale e quella economica”.
Oggi, secondo il sindaco, le cave sarebbero “autolimitate”, anche a causa della presenza del Parco regionale delle Alpi Apuane: “Anche le concessioni in essere potrebbero essere allargate”, dice. E il Comune, che incassa da chi sfrutta le cave 1,3 milioni di euro all’anno, “pensa di poter arrivare a 2 milioni”. Con il traforo, raggiungere e sfruttare il marmo dell’Alta Garfagnana, anche dalla regione apuane, sarà più facile. “Questo è il più grande bacino marmifero del mondo”, racconta Puglia. E aggiunge: “Tutti i giorni da questo Comune partono 60-80 camion che devono andare a Carrara: gli impianti di trasformazione stanno tutti là”.
Oggi quei camion scendono in fondovalle, percorrendo una decina di chilometri tra curve e strettoei fino alla Sr 445 “della Garfagnana”. Da lì, possono superare le Apuane utilizzando uno dei due trafori già esistenti.
Il progetto elaborato dall’Anas prevede, anche “l’adeguamento della viabilità tra Vagli e la Sr 445”, ricorda Puglia. Solo così è possibile immaginare che l’investimento attragga un po’ di traffico privato. Perché se l’intervento si limitasse a Vagli, dove vivono un migliaio di persone, sarebbe davvero uno strada di servizio per i gli imprenditori del marmo. Lo Studio di fattibilità non dedica che poche righe al tratto Vagli-Sr 445 mentre passa in rassegna tre diverse alternative di tracciato per il tratto che attraversa la Tambura, quello tra Colonnata, nel Comune di Carrara, e Fontana delle Monache, a Vagli.
Nessuna delle tre convince Italia Nostra, che a fine ottobre lancia l’allarme: “Gran parte del tunnel ricade nel Parco delle Apuane che, ricordiamo, recentemente è entrato a far parte dei Geoparchi dell’Unesco (vedi Ae 144) e rischia seriamente di essere declassato. Italia Nostra chiede l’attenzione dei ministeri competenti per evitare questo disastro ambientale”.
Per comprendere i rischi, diamo appuntamento di fronte al municipio di Massa a Nicola Cavazzuti, del Club Alpino Italiano, e Marco Di Gennaro ed Elia Pegollo, del Comitato per l’acqua pubblica. Sono gli animatori del comitato “No! al traforo della Tambura”, che già nel 2010 aveva organizzato una manifestazione contro la realizzazione del traforo, e oggi -dopo aver studiato le carte fornite dall’Anas- anima le assemblee nei circoli Arci e nelle Case del popolo nel territorio di Massa e Carrara.
Otto chilometri di strade di montagna, lungo la valle del fiume Frigido, ci portano al Forno. A fine novembre, quando le percorriamo, sono interrotte qua e là da alcune frane. Fermate le auto, all’altezza del cimitero del paese, Nicola c’invita ad alzare gli occhi: “Qua sopra -spiega- potrebbe passare un viadotto di circa 150 metri d’altezza con una luce di 500 metri, per congiungere i versanti di Colonnata e dei monti Girello e Cipolla. Questo verrà attraversato, in galleria, per raggiungere la valle di Resceto”.
Quella descritta da Nicola è una delle tre soluzioni elaborate dall’Anas. Che prevedono tra i 10 e gli 11,5 chilometri in galleria, e tra uno e 1,58 chilometri di viadotti e ponti. Ma non c’è solo questo: Cavazzuti apre una delle mappe allegate allo Studio di fattibilità dell’Anas. È quella relativa alle “Classi di pericolosità geomorfogica”. E proprio all’altezza dell’abitato di Forno tutti e tre i tracciati attraversano una zona rossa, che significa “pericolosità geomorfologica elevata”. Un’area, cioè, caratterizzata dalla presenza di frane attive.
Ma gli ambientalisti massesi sono preoccupati anche per altro: “Al Forno ci sono le sorgenti del fiume Frigido: sono alimentate da acque filtrate dalla Tambura, e da cui ‘pesca’ l’acquedotto della città di Massa” racconta Marco Di Gennaro. “La Tambura è una montagna piena d’acqua -continua Elia Pegollo-: sono le riserve idriche del nostro territorio.
La zona, infatti, è ricchissima di anfratti carsici, e almeno secondo le prime analisi della Federazione speleologica toscana, la realizzazione del traforo potrebbe modificare equilibri complessi all’interno della montagna. Se l’acqua sparirà dalla nostra zona, come è sparita dal Mugello, è per fare gli interessi di pochi beneficiari. Dobbiamo -conclude Pegollo- uscire dalla monocoltura del marmo”.
A evidenziare i rischi collegati alla realizzazione dell’intervento è anche la Federazione speleologica toscana: la Tambura, spiegano, è un massiccio carsico dove l’acqua penetra rapidamente. In 3 o 4 giorni, la stessa acqua dopo aver percorso una decina di chilometri arriva al Forno, al Frigido.
Secondo il dossier “Il massiccio carsico del monte Tambura, note in margine al Traforo”, il tunnel potrebbe intersecare alcune delle grotte censite dentro la montagna, complessivamente qualche centinaio, compreso l’abisso Roversi, la grotta più profonda d’Italia con i suoi 1.350 metri.
“Più che una linea retta -spiegano gli speleologi- è probabile che debbano fare uno slalom cercando di evitare di incontrare grotte”, scrivono gli speleologi nel loro dossier. “Va ricordato -spiega ad Ae Sabrina Tamburini, presidente della Federazione- che le grotte non sono solo i vuoti percorribili dall’uomo nelle montagne, ma -e soprattutto- l’infinito reticolo di fessure e fratture percorse dall’acqua”. In caso di eventi estremi, le stesse cavità diventano serbatoi naturali d’acqua: dopo l’alluvione del giugno 1996, che spazzò via Cardoso causando 13 morti, la Federazione realizzò uno studio per conto della Regione che dimostrò come il “livello delle acque interne aveva subito un generale innalzamento, con una punta di ben 45 metri, migliaia di metri cubi di acqua che furono poi rilasciati gradualmente nei giorni successivi senza creare danno alcuno” racconta ad Ae Sabrina Tamburini. Che si chiede: “Che cosa avrebbe potuto accedere se questo gigantesco vaso contenitore fosse stato rotto per opera dell’uomo?”.
Il marmo in cui verrebbe scavato il tunnel, inoltre, “è poco e non di pregio”, e potrebbe “essere utilizzato solo per la produzione di pietrisco o di aggregati per la realizzazione di calcestruzzi” spiega la Federazione speleologica toscana: lo confermano indagini geologiche, carta degli “agri marmiferi” alla mano.
Dei tre enti locali coinvolti, Massa, Carrara e Vagli, solo il Comune di Massa ha fatto sapere -per bocca dell’assessore alla Mobilità, Loreno Vivoli- di essere contrario all’opera. Marco Di Gennaro, del Comitato acqua pubblica, è però preoccupato che il progetto possa essere spinto dalla Regione Toscana, che al pari del Parco regionale delle Alpi Apuane ancora non ha espresso pareri in merito al progetto elaborato dall’Anas: “Se il traforo venisse inserito tra le opere di interesse strategico regionale, sarebbe applicabile la legge regionale sulle grandi opere, la numero 35 del 2011 (Misure di accelerazione per la realizzazione delle opere pubbliche di interesse strategico regionale e per la realizzazione di opere private, ndr). Essa prevede poteri sostituiti in capo al Presidente del consiglio regionale quando gli enti locali coinvolti non esprimano un parere unanime”.
Tra le carte spunta anche una convenzione stipulata nell’aprile del 2011 tra Comune di Vagli di Sotto, Anas e ministero delle Infrastrutture, in cui quest’ultimo manifesta “la volontà di inserire l’opera nell’ambito delle ‘Opere strategiche di preminente interesse nazionale’”, cioè in legge Obiettivo. Sarebbe aprire una corsia preferenziale, da un punto di vista autorizzativo, per il traforo della Tambura. Un atto che Altero Matteoli, allora ministro, avrebbe fatto volentieri: “È un mio vecchio pallino -spiegò Matteoli dopo la firma del protocollo-, fin da quando ero parlamentare all’opposizione e ora, da ministro, posso provare a realizzare quest’opera”. Gli amministratori dell’Alta Garfagnana non sono dello stesso parere: “Un foro non risolve i problemi di un territorio” spiega il sindaco di Piazza al Serchio, Paolo Fantoni, già delegato all’Ambiente per la Comunità montana.
E per rispondere alle esigenze degli imprenditori del marmo porta l’esempio di Minucciano, dove “nell’estate del 2012 è stato inaugurato uno scalo merci, per l’interscambio gomma/ferrovia, frutto di un investimento di oltre 2 milioni di euro che ha coinvolto numerosi enti del territorio e la collaborazione di Rfi di Ferrovie dello Stato”. —
Una strada dei marmi già c’è
Una “Strada dei marmi” esiste già a Carrara, e l’ha costruita il Comune (indebitandosi) con un investimento di 120 milioni di euro (solo una ventina di contributi pubblici, da Regione Toscana ed Unione europea). “Ha tolto 800 camion dalle strade del centro” spiega il sindaco Angelo Zubbani. Inaugurata nella primavera del 2012, per 5 anni sarà una “Strada specialistica”, dedicata ai camion. L’arteria che comprende il traforo del Tambura -se realizzata- vi si collegherebbe.