Esteri / Varie
Il rischio nucleare
Sappiamo tutto sul pericolo di un’ipotetica bomba atomica iraniana, mentre ha avuto poca eco sui media il fallimento della nona Conferenza per la verifica dell’attuazione del Trattato di non proliferazione, firmato nel 1968. Sui nove Paesi che detengono ben 16.372 armi non hanno avuto effetto nemmeno le pressioni “disarmiste” dell’Onu
Sappiamo tutto sul pericolo di un’ipotetica bomba nucleare iraniana, ma poco o nulla delle circa 16.372 armi nucleari sparse per il mondo, la cui potenza è pari a 500mila bombe di Hiroshima, la città giapponese rasa al suolo da un ordigno atomico sganciato nel 1945. Questi armamenti sono stoccati in nove Paesi e circa 1.800 si trovano in una condizione di massima allerta. L’uso di anche solo uno di questi ordigni in una zona popolata avrebbe conseguenze catastrofiche: capaci di distruggere l’intero Pianeta, alcune di queste testate nucleari sono presenti in Italia. Sono tra 70 e 90 le bombe B61 ripartite tra le basi americane di Ghedi-Torre e Aviano, in Lombardia e Friuli. Armi di distruzione di massa che sono state al centro dell’agenda dei lavori della nona Conferenza per la verifica dell’attuazione del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) che, dal 28 aprile al 22 maggio, ha riunito a New York i 190 Paesi che hanno siglato il Trattato. I lavori si sono aperti con un messaggio del segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon che ha evidenziato come il trend verso il “nucleare zero” si sia fermato, e ha messo in guardia sulla mancanza di progressi verso la non proliferazione. “Eliminare gli armamenti nucleari è una priorità top per le Nazioni Unite”, ha detto Ban, parlando di “violazioni destabilizzanti degli accordi”.
Obiettivo del riesame del TNP, firmato nel luglio 1968, è stato quello di emettere raccomandazioni sui due temi dell’agenda Onu: armi convenzionali e nucleari. Alla vice presidenza dei lavori della Commissione disarmo all’Onu c’è stato anche un italiano, Andrea Romussi, alto funzionario della Rappresentanza permanente italiana all’Onu. Già l’ultima Conferenza di riesame nel 2010 si era conclusa con l’adozione di un Piano d’azione di 64 attività relative ai tre pilastri del TNP (non proliferazione, disarmo e usi pacifici dell’energia nucleare). Ma di fatto tutt’oggi gli Stati possessori di armi nucleari restano invariati e sono: Russia (con 8.000 bombe), Stati Uniti d’America (7.300), Francia (300), Regno Unito (225), Cina (250), Pakistan (110), India (100), Israele (80), Nord Corea (7). Sono 240 gli ordigni nucleari americani stoccati in Europa nelle basi Nato di Germania, Italia, Belgio, Olanda e Turchia.
Secondo Ray Acheson, direttrice del progetto “Volontà Critica” della Lega internazionale delle donne per la pace (Wilpf, www.wilpfinternational.org), nelle settimane del Riesame all’Onu si è assistito a uno scontro tra gli Stati dotati di armi nucleari e quelli non detentori. Una bozza di accordo, proponente un passo concreto verso il disarmo, e sottoposta a un comitato del Riesame, secondo Acheson sarebbe stata rifiutata dai Paesi detentori di armi nucleari. “Quello che è inaccettabile -ha scritto Acheson nel bollettino “NPT News Review” del 12 maggio- è l’idea che 5 Stati possano dettare le regole al resto del mondo su cosa è ‘accettabile’ quando si tratta di armi nucleari. La stragrande maggioranza dei Paesi chiede progressi concreti e rapidi verso il disarmo, ma si trova davanti il ‘no’ dei Paesi detentori”. A essere rigettata da Francia, Regno Unito, Cina, Russia e Stati Uniti, spiega ancora Acheson, è la critica di non rispettare l’articolo VI del TNP sui negoziati per il disarmo, e, quindi, violare gli accordi. Gli stessi Paesi hanno rifiutato di accettare proposizioni che definivano come inaccettabili le armi nucleari, ha rilevato la direttrice di “Volontà Critica”. La Russia avrebbe perfino respinto la critica di attuare un disarmo troppo lento, mentre gli Usa si sarebbero trincerati dietro a una presunto “realismo”, sostenendo che “la storia del disarmo nucleare mostra che ogni passo intrapreso crea le condizioni per passi successivi”. Nei fatti, il disarmo è fermo: a ostacolarlo, secondo i cosiddetti “disarmisti esigenti” come si definiscono Wilpf, Rete Disarmo, l’associazione Armes Nucléaires Stop, Energia Felice e Non si scherza con il fuoco atomico, è anche la pretesa della maggior parte dei Paesi che contano in seno all’Onu e detentori di armi nucleari, di considerare intoccabile il Trattato di non proliferazione, ritenuto fondamentale.
“Ritengo che sia fondamentale riconoscere, invece, che il Trattato di non proliferazione nucleare nasconda un inganno” spiega ad Ae Luigi Mosca, fisico italiano naturalizzato francese, già direttore del “Laboratoire Souterrain de Modane” (uno dei più qualificati laboratori per lo studio della fisica delle particelle subatomiche) e oggi attivista dell’associazione francese Armes Nucléaires Stop. “L’inganno -continua- si riferisce principalmente all’articolo VI, il quale impegna i 5 Stati del TNP detentori di armi nucleari (Usa, Russia, Regno Unito, Francia e Cina) a negoziare ‘in buona fede’ e ‘a una data ravvicinata’ un disarmo totale anche se progressivo. Una logica che si è rivelata un’ingiustizia colossale: in virtù di quale diritto i 5 Stati già in possesso di armi nucleari potevano chiedere agli altri Paesi di rinunciare a qualsiasi arma nucleare, se essi stessi non erano disposti a farlo?”. “Il risultato -sottolinea lo scienziato- è che 45 anni dopo l’entrata in vigore del Trattato, i 5 Stati detentori nonostante abbiano eliminato una parte delle loro bombe nucleari (quelle più o meno obsolete), sono in fase di forte riarmo, sotto forma di modernizzazione continua delle bombe, dei vettori (missili ed aerei) e delle basi di lancio (essenzialmente i sottomarini). Il TNP non è riuscito ad evitare la proliferazione, poiché, da allora, altri 4 Stati si sono dotati di armi nucleari (India, Pakistan, Israele e Corea del Nord)”. Posizione che trova conferma anche all’interno delle Nazioni Unite, nelle parole di Angela Kane, Alto rappresentante per le politiche sul disarmo, che ha evidenziato “un gap profondo, sviluppatosi negli ultimi tre anni, tra le posizioni dei Paesi detentori e non detentori di armi atomiche”.
“L’opinione pubblica non si rende conto che il mondo siede su di un’enorme fabbrica di polvere da sparo. Si calcola siano 1.800 le armi nucleari pronte a essere lanciate nei prossimi 15 minuti. L’unica soluzione è quella di siglare al più presto un Trattato di interdizione delle Armi nucleari”, riprende Mosca, ricordando come “una sola delle attuali bombe nucleari può distruggere una grande città, 100 bombe possono distruggere uno Stato e mille bombe nucleari l’intero Pianeta Terra. L’opinione pubblica apra gli occhi su questi fatti”. Anche due generali, uno americano e l’altro russo, sono scesi in campo per chiedere progressi verso un mondo più sicuro dal nucleare: James E. Cartwright e Vladimir Dvorkin in una dichiarazione congiunta sul New York Times del 20 aprile scorso, in un articolo intitolato “Come evitare una guerra nucleare”, hanno proposto ai rispettivi Paesi di cambiare alcuni principi delle loro strategie nucleari, rimaste invariate dai tempi della Guerra Fredda. Cartwright e Dvorkin hanno allertato inoltre su possibili errori nei sistemi informatici sui quali si basano i segnali missilistici di allerta precoce. A condividere queste posizioni è anche Mario Agostinelli, già ricercatore chimico-fisico per l’Enea presso il Ccr di Ispra e attivista pro disarmo per Energia Felice, associazione che, insieme a Rete Disarmo, Fermiamo chi scherza col fuoco atomico e Armes Nucléaires Stop, ha inviato una petizione al Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon –www.petizioni24.com/dirittoaldisarmonucleare-, alla quale ha aderito anche Alex Zanotelli: “Chiediamo che l’Onu si mobiliti a stipulare un Trattato per l’interdizione delle armi nucleari analogo a quelli già sottoscritti per le armi biologiche e chimiche, e che -di conseguenza- siano previste sanzioni in caso di violazione del diritto -racconta Agostinelli a Ae-. Rigettiamo totalmente ogni possibilità di una guerra affidata agli automatismi delle macchine, che è quello che avviene oggi: i sistemi di allerta che attivano una risposta automatica se intercettano l’arrivo ipotetico di missili nucleari, si basano su algoritmi predeterminati e sistemi di rivelazione tutt’altro che infallibili, che sarebbero in grado di agire con risposte nucleari in solo 12 minuti -spiega ancora Agostinelli-. Ma nessun intervento armato nucleare può essere lasciato alle procedure di macchine che per loro natura, e per come sono programmate, in casi incerti ‘accetterebbero’ la possibilità di una distruzione nucleare del pianeta per ‘incidente’. Le decisioni di risposta -conclude Agostinelli- devono essere prese dai governanti degli Stati, che devono avere il tempo di mettere al corrente le popolazioni e tutti gli organi istituzionali. C’è poi il problema che tutti i nostri sistemi di allerta nucleare sono legati a quelli della Nato, una situazione che marca una subalternità di fronte alla quale, da alleati, dovremmo reagire”.
A confermare l’urgenza del disarmo nucleare per la sopravvivenza stessa della specie umana, è stato il “Bulletin of Atomic Scientists” che recentemente, con il concorso di 18 premi Nobel, ha messo in guardia circa una più probabile Apocalisse nucleare oggi, come ai momenti peggiori della Guerra fredda, spostando in avanti, in un ipotetico orologio, fino a tre minuti dalla mezzanotte, la possibilità di un disastro nucleare di dimensioni catastrofiche (erano 5 minuti a mezzanotte nel 2012). Intanto anche in Italia è passata a fine aprile la “Global Wave 2015”, una mobilitazione della società civile internazionale per informare l’opinione pubblica e chiedere ai governi di mettere al bando gli ordigni nucleari (www.facebook.com/globalwave2015), perché, come ha affermato Papa Francesco: “Anche solo il possesso delle armi nucleari è immorale”. Parole che traducono un progresso notevole del Vaticano, che ha partecipato lo scorso 8 dicembre alla Conferenza sull’ “Impatto umanitario delle armi nucleari” a Vienna, dove ha firmato una dichiarazione finale, insieme ad altri 80 Paesi, in cui si chiede la promulgazione di un Trattato internazionale di proibizione totale delle armi nucleari.
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