Ambiente
Il peso degli ospedali
L’inchiesta sul MOSE apre uno spaccato sulla gestione delle nuove strutture ospedaliere realizzate in Veneto in project financing. Intanto, il neo sindaco di Livorno dice no alla costruzione del nuovo nosocomio affidato in gestione a soggetti esterni all’ASL, come è stato fatto a Lucca, Massa, Pistoia e Prato.
I "casi" Veneto e Toscana al centro dell’inchiesta di Altreconomia sul ruolo dei privati nella crisi economica del sistema sanitario italiano (gennaio 2013)
A due passi dalla Torre pendente, gli storici edifici della “Clinica chirurgica generale della Università” di Pisa e della “Clinica medica” dell’Ospedale Santa Chiara potrebbero diventare splendidi hotel a quattro stelle, con vista sulla piazza dei Miracoli che è patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
La cittadella del Santa Chiara -21 edifici, oggi di proprietà dell’Asl e dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana- verrà venduta per completare l’ospedale di Cisanello, alla periferia della città toscana. “L’unico criterio che guida la scelta dell’amministrazione comunale non può essere quello economico, ovvero rispondere alle esigenze di Asl e Ao che devono ‘recuperare’ 135 milioni di euro per finanziare l’investimento” racconta Marco Ricci, presidente di Legambiente Pisa, che con il Progetto Rebeldia e il Municipio dei “beni comuni” cerca di aprire in città il dibattito sul futuro del Santa Chiara. “Chiediamo che questo pezzo di città venga restituito ai pisani -continua Ricci-. Ciò rischia di non avvenire perché ci si preoccupa solo della massima valorizzazione dell’area.
Il Comune prevede d’insediare funzioni miste -residenze, ricettività, ristorazione- ma gli atti in merito non sono definiti, e lasciano ampio margine alla discrezionalità del privato che vorrà acquistare l’area”.
Quello in corso di realizzazione è il terzo lotto dell’ospedale di Cisanello, che esiste dagli anni 60 del secolo scorso. Costerà 358 milioni di euro. “Pisa potrà contare su un anticipo da parte della Regione Toscana, che però andrà restituito. Tutto ruota intorno alla vendita dell’area del Santa Chiara” spiega Ricci.
Il Comune di Pisa ha deliberato, senza ascoltare Legambiente né Rebeldia. Perché i lavori a Cisanello devono andare avanti. Ecco ciò che sta accadendo: mentre il governo discute i tagli alla Sanità, che dovrebbero riguardare i servizi e il personale (“zac!”, meno un miliardo di euro nel 2013) e i posti letto (“zac!”, e ogni cento ne salterebbero una dozzina), tra le pieghe di bilancio del Servizio sanitario nazionale (Ssn) ci sono numeri che non si toccano, quelli che riguardano l’edilizia ospedaliera, cioè gli investimenti per nuovi ospedali.
Sono, per la maggior parte (ma non è il caso di Pisa), strutture realizzate sfruttando il meccanismo del project financing: un privato, o un gruppo di imprese private, costruisce e attrezza l’ospedale, e poi gestisce per un certo numero di anni, stabilito per contratto, tutti i servizi non ospedalieri. In cambio, l’Asl s’impegna a riconoscere un canone annuo per la “disponibilità”, oltre a pagare i servizi. Un fenomeno che riguarda tutta l’Italia.
L’ultima edizione del rapporto annuale dell’Osservatorio sulla funzionalità delle Aziende sanitarie italiane (Oasi), realizzato dal Cergas dell’Università Bocconi (www.cergas.unibocconi.it) fornisce uno spaccato del fenomeno: 2,7 miliardi di euro gli investimenti aggiudicati in 7 diverse regioni, il 62% dei quali in Lombardia e Veneto; altro mezzo miliardo in rampo di lancio, per i due nuovi ospedali di Treviso e Trento.
Ma l’esempio da manuale è la Toscana, almeno secondo Veronica Vecchi, ricercatrice al Cergas e autrice del capitolo sul partenariato pubblico privato del rapporto Oasi: con una sola gara è stata aggiudicata la realizzazione di 4 nuovi ospedali, a Prato, Pistoia, Lucca e Massa-Carrara. Le quattro aziende sanitarie locali si sono associate, nel 2003, dando vista al Sistema integrato ospedali toscani (Sior), che è diventato l’ente unico appaltante e ha affidato (a fine 2007) i lavori a un’associazione temporanea di imprese formata da Astaldi, Techint e Pizzarotti.
Oggi i quattro cantieri sono aperti, alcuni arrivati a uno stadio più avanzato dei lavori, altri restano più indietro. Quel che è certo, evidenziato in una relazione del 25 gennaio 2012 dell’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici, è che alla fine gli ospedali costeranno 657,5 milioni di euro, contro un investimento stimato di 353,6 alla firma del contratto di project financing. L’aumento è dovuto, in larga parte (238 milioni di euro), a voci non inserite nel piano economico e finanziario, ma essenziali per garantire la funzionalità dell’investimento: allacciamenti, arredi, attrezzature.
“Di fronte a un intervento così importante, l’ente affronta un problema di governo dell’operazione, nell’ambito di un mercato che era, e continuerà ad essere, molto concentrato -spiega Veronica Vecchi della Bocconi-. La Regione Toscana avrebbe potuto, piuttosto, bandire quattro gare separate: è sbagliato pensare che mettere tutto insieme semplifichi, e generi efficienze”.
A livello locale, la vicenda dei quattro ospedali toscani ha avuto una certa eco, ma solo perché viene associata al buco di bilancio della Asl di Massa. A inizio dicembre il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, in passato assessore regionale alla Sanità, ha passato 9 ore con i magistrati della Procura di Massa, nell’ambito di un’inchiesta che ha già visto condannare l’ex direttore generale dell’Asl.
La situazione massese è stata oggetto di un approfondimento da parte della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, nella cui “Relazione sul disavanzo della Asl 1 di Massa” (approvata a febbraio 2012) ci sono bordate contro il ricorso alla finanza di progetto per quanto riguarda gli ospedali: “A fronte dell’immediato vantaggio della partecipazione finanziaria del privato, comporta l’enorme svantaggio di impegnare per un gran numero di anni la pubblica amministrazione nei confronti di un fornitore di servizi (che diventa poco condizionabile in relazione alla qualità del servizio reso), con costi unitari superiori a quelli di mercato (proprio per consentire al privato di recuperare, con gli interessi, l’impegno finanziario assunto); la parziale deroga alle norme della concorrenza e della normativa sugli appalti pubblici; un complessivo maggior esborso finanziario per la pubblica amministrazione. Come detto, con il project financing è stato possibile derogare alle rigorose norme del codice degli appalti, limitando la concorrenza”.
Un meccanismo che favorisce pochi grandi gruppi: “Quando con un’unica gara si affida la costruzione dell’ospedale e la gestione di tutti i servizi non sanitari, bandisci una gara cui partecipano, al massimo, 4 cordate. Se fai la gara per un singolo servizio, ad esempio la mensa, partecipano 15 operatori. E poi, come controlli la qualità del servizio mensa se è annacquato in un servizio così complesso? Tutto questo ha un impatto -spiega Vecchi-. L’esempio è una società di Milano, che fa logistica in sanità. Mi hanno detto: ‘Se partecipo a una gara con una cordata, sono costretto a stare alle regole del capo della cordata, che normalmente è una società di costruzione e m’impone costi di fornitura che sono di fatto pari ai miei costi di produzione. Sono costretto a non remunerare i miei fattori produttivi per stare a galla’. Così -conclude Vecchi- non si generano efficienza, né risparmi”, favorendo solo le imprese di costruzioni, che secondo il Rapporto Oasi pesano per l’80% nel capitale dei concessionari dei nuovi ospedali.
Una possibile soluzione, suggerisce la Vecchi, è immaginare partnership tra pubblico e privato “leggere”, ovvero che includano solo la progettazione, costruzione, finanziamento e gestione dei servizi strettamente funzionali a garantire la disponibilità delle strutture realizzate. Un modello recentemente incluso nella revisione delle iniziative di project financing nel Regno Unito, approvato a dicembre 2012 dal Parlamento inglese.
In più, l’avvio delle prime esperienze di finanza di progetto (intorno al 2002, in Italia) nasceva dalla volontà di investire senza aumentare il debito pubblico, ma quest’operazione si è trasformata, spiega docente della Bocconi, “in una grande carta di credito revolving: spostiamo i pagamenti verso le generazioni future”. Prendiamo di nuovo i numeri toscani: le Asl si sono impegnate per un periodo di 19 anni e due mesi a riconoscere un canone per i servizi non sanitari di 48,56 milioni di euro all’anno a favore di Astaldi, Techint e Pizzarotti. A favore di un soggetto privato che ha coperto con risorse proprie solo il 30% dell’investimento, per il resto pagato dallo Stato (con i fondi della legge 67 del 1988) e dalle Asl, che per finanziarie la propria quota parte diventano immobiliariste (vedi box a lato).
Le criticità dei project financing emergono, spesso, per questioni marginali: a Santorso, nel vicentino, dove l’ospedale inaugurato a febbraio 2012 è stato realizzato da Summano Sanità (tra gli altri ne sono soci Impresa di costruzioni Ing. E. Mantovani, Palladio finanziaria, Cooperativa muratori e bracciati di Carpi), il problema sono i parcheggi a pagamento; a Nuoro (dove l’Asl ha appaltato tutto ai francesi di Cofely, vedi Ae 132), le pulizie e i contratti per il servizio di guardiania.
Ma il nodo del problema è affidare tutti i servizi non sanitari al privato, in modo tale che questi possa ricavarne delle marginalità in grado di coprire e remunerare i suoi investimenti. Perché a quel punto i canoni diventano costi incomprimibili. Anche di fronte alla spending review: “La Regione Lombardia, quella che più di ogni altra ha fatto ricorso alla finanza di progetto, ha approvato una delibera di giusta che non applicherà la spending review alle concessioni. Invece -spiega Veronica Vecchi- in Veneto la giunta Zaia ha previsto nel Piano socio-sanitario un nuovo modello di utilizzo delle partnership pubblico-privato per gli investimenti sanitari, per superare gli errori del passato”.
Da un punto di vista medico, accade lo stesso. “Il nuovo ospedale di Lucca (uno dei quattro del sistema toscano, ndr) è stato progettato nel 2002, per applicarvi il modello per ‘intensità di cure’ -racconta ad Ae un medico che lavora presso l’ospedale Campo di Marte dell’Asl di Lucca-: spariscono i reparti, i dipartimenti, e i pazienti vengono affiancati per ‘livello di patologia’. Ciò significa, ad esempio, che chi ha una polmonite lieve si trova accanto a chi ha uno scompenso cardiaco lieve. Dal punto di vista operativo è problematico, e infatti Australia e Stati Uniti hanno già abbandonato questo modello, che è stato sperimentato a partire dalla fine degli anni Novanta ma si è rivelato inadeguato”.
Se in Toscana non si torna indietro, perché gli ospedali (ormai) sono fatti così, la Asl di Biella dimostra invece che cosa si può fare in una situazione simile quando l’ospedale è ancora “pubblico”: “La struttura viene concepita negli anni 90, e realizzata a partire dal 2000. Risente delle logiche dell’epoca: in città doveva esserci una struttura da mille posti letto. Oggi pensiamo a un ospedale da 500 posti letto -racconta il dg dell’Asl, Gianfranco Zulian-. Le proiezioni della Regione indicavano un possibile disavanzo di gestione di 30 milioni di euro l’anno. Ci siamo chiesti come recuperarlo. E abbiamo deciso di portare all’interno dei locali del nuovo ospedale, che sarà operativo nella primavera del 2014, il Centro di salute mentale e una struttura residenziale per anziani, abbattendo così dei costi sostenuti altrove”.
Ben diversa, invece, la situazione per il secondo ospedale in costruzione in Piemonte, quello delle Langhe, a Verduno, tra Alba e Bra. È un project financing sui generis, perché il 92% dell’investimento stimato inizialmente era coperto dal pubblico, anche se gestione farà capo alla società di progetto MGR (Tecnimont, 60%, Impresa Rosso, 36% e Gesto, 4%). Anche in questo caso, però, i costi sono lievitati (intorno al 20%, secondo il Rapporto Oasi 2012): a fronte della situazione finanziaria critica della Regione Piemonte (vedi Ae 143), sul territorio è nata la Fondazione nuovo ospedale Alba Bra onlus per sostenere il completamente dell’intervento: Ferrero spa ci ha messo un milione e mezzo di euro, “adottando” 60 stanze, l’intero Dipartimento di area chirurgica. Secondo Roberto Burdese, presidente di Slow Food, “oggi è meglio che l’ospedale venga completato, perché un ecomostro sulla collina franosa di Verduno è sempre meglio di un edificio incompiuto”. Col senno di poi, l’ospedale -se necessario- avrebbe dovuto essere costruito altrove. “Tutti questi posti letto servono?”, si chiede Vecchi della Bocconi: “Non lo so, non mi occupo di ‘management sanitario’, ma di finanza. Ciò che posso dirti è che costano tanto”. In media, 370mila euro l’uno, contro i 245mila stimati all’inizio. —
Cartolarizziamo!
La ricetta per terminare i nuovi ospedali si chiama “cartolarizzazione”, e permette di affrontare l’indebitamento della Sanità più avanti: “La Regione Piemonte ha finanziato il nuovo ospedale di Biella conteggiando la vendita di alcune strutture -racconta Gianfranco Zulian, dg dell’Asl-: il vecchio ospedale è stato quotato 22 milioni di euro. La Regione, in origine, considerava di poterlo vendere, ma oggi, almeno a Biella, è difficile: qui stanno diminuendo gli abitanti. Così -continua Zulian- l’assessore alla Sanità, Paolo Monferino ha presentato l’idea di un Fondo regionale dove conferiranno tutte le parti ‘immobili’ del patrimonio delle Asl: le strutture occupate, considerate ‘indisponibili’, e quelle da dismettere”.
Per quanto riguarda i vecchi ospedali di Pistoia, Prato, Lucca, Massa e Carrara, a inizio 2012 la Regione Toscana aveva annunciato la creazione di farli confluire in un fondo ad hoc per favorirne la valorizzazione immobiliare. Su cui incide anche l’aumento dei costi del project financing: l’alienazione degli immobili della Asl di Massa-Carrara avrebbe dovuto garantire 14,5 milioni di euro, oggi “rivalutati” a 28 milioni. Quasi il doppio.