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Ambiente

Il paesaggio interiore e la tutela dei suoli fertili

"È sbagliato cercare di tutelare il paesaggio solo quando questo rappresenta qualcosa di straordinario". In anteprima per i lettori di altrecononomia.it la prefazione di Carlin Petrini, fondatore di Slow Food all’edizione 2013 del libro di Luca Martinelli "Salviamo il paesaggio!": "Questo libro si rivela un altro strumento indispensabile per orientare la nostra azione, per renderla consapevole e competente"

Negli anni 50, poco dopo la Seconda Guerra Mondiale,il poeta Andrea Zanzotto – scomparso non da molto – ebbe a scrivere: “Dopo i campi di sterminio, stiamo assistendo allo sterminio dei campi”. Un gioco di parole molto violento, ma quanto mai lucido. Del resto i poeti sanno leggere la realtà e guardare avanti come nessun altro: lo sterminio dei campi è iniziato in quegli anni e poi non si è più fermato. Anzi, si è intensificato a tal punto da diventare palese ovunque, e non c’è più parte della nostra Italia che si salvi. Questo libro è ricco di dati e di storie che lo dimostrano, e che tuttavia sono soltanto una parte di un tutto dalle proporzioni più grandi. Un disastro nazionale come pochi altri nel secondo dopoguerra; un disastro che non soltanto riguarda colate di cemento inaudite, ecomostri, città che si sviluppano male e troppo, speculazioni e malaffari, mercato immobiliare gonfiato, scempi naturalistici: ciò che ne soffre terribilmente prima di tutto è l’agricoltura, e quindi ne soffre il nostro paesaggio.

Lego immediatamente agricoltura e paesaggio perché trovo che la giusta indignazione per l’invasione del cemento non evidenzi ancora abbastanza come questa spinta inarrestabile stia compromettendo per sempre uno dei beni comuni più importanti del nostro Paese: il terreno fertile. E con esso in primis l’agricoltura: il settore umano-economico più martoriato, deteriorato, svilito, abbruttito d’Italia. È ciò che ci dà cibo, ciò che ci garantisce il nutrimento ma anche la salvaguardia di una biodiversità unica, intrinsecamente legata al saper fare umano, ad antiche tecniche di produzione, alla trasformazione della natura in cultura. Non si tratta soltanto di piacere e dell’orgoglio per una gastronomia che tutti ci invidiano: parliamo di un comparto economico decisivo, rilevante anche in una visione prospettica, se si pensa a come possa tradurre tutto il suo fare in buone pratiche sostenibili. In una parola si potrebbe tradurre il tutto con “identità”: le nostre realtà locali, il cibo cui si legano i modi di vivere e rapportarsi agli altri, ciò che siamo come italiani. E questo è il paesaggio, non soltanto connotato in senso estetico.
Non soltanto bellezza pura. È bellezza esteriore ma soprattutto interiore, perché l’antropizzazione del paesaggio ci dice chi siamo e ci garantisce posti in cui sia bello vivere. Vivere è mangiare, lavorare, riposarsi, relazionarsi, conoscere: stare bene.

Un bel paesaggio è il risultato di un’armonia più profonda che ci parla anche di chi lo vive, chi lo plasma, chi ne gode. Per me parlare di paesaggio è come parlare di piacere, e lo dico da presidente del movimento internazionale Slow Food, il “movimento per la tutela e il diritto al piacere”. Non possiamo non educarci a riconoscere questo piacere, imparare a scegliere, a inseguire quella qualità che a Slow Food abbiamo riassunto in uno slogan, “buono, pulito e giusto”: un piacere alimentare organolettico e culturale ma anche sostenibilità ecologica e giustizia sociale nei processi di filiera.
Sbaglia chi pensa alla gastronomia come l’ambito esclusivo del buon mangiare inteso nel senso classico del gourmet, così come sbaglia chi pensa al paesaggio come mero elemento estetico da contemplare. La gastronomia è una scienza multidisciplinare che riguarda l’economia, l’ecologia, le scienze sociali, la storia e la memoria, l’agricoltura e la zootecnia, la produzione di energia, la chimica, la botanica, l’antropologia e altro ancora. E anche il paesaggio è “multidisciplinare”: va letto nelle sue connotazioni più profonde, non ci si può fermare alla contemplazione così come nel cibo non ci si può fermare alle sensazioni gustative. I sensi sono solo il punto di partenza, perché il loro risveglio e il loro allenamento ci permettono di vedere meglio la realtà.

Ecco perché mi sono fatto promotore insieme all’associazione che rappresento delle campagne “Salviamo il paesaggio” del “Forum italiano dei movimenti per la terra e il paesaggio”. Ecco perché sono felice di introdurre questo libro prezioso. Perché così com’è sbagliato pensare che chi tutela la qualità alimentare tuteli soltanto cibi rari e d’eccellenza, e per questo difficilmente accessibili, è altrettanto sbagliato cercare di tutelare il paesaggio solo quando questo rappresenta qualcosa di straordinario. Come noi di Slow Food lavoriamo per la qualità del cibo quotidiano, così crediamo che il paesaggio di qualsiasi luogo sia l’espressione di buone produzioni agricole, di un vivere compiendo atti e attività “buoni, puliti e giusti”, che tutti possiamo fare. Azioni che riguardano l’agricoltura, ma anche il consumare, le nostre scelte quotidiane.
“Mangiare è un atto agricolo”, ha scritto a questo proposito il mio amico Wendell Berry, agricoltore e poeta del Kentucky: una frase che ben ci richiama alle nostre responsabilità individuali. Possiamo tranquillamente parafrasare dicendo che “mangiare è un atto paesaggistico”, e questa è politica pura, nel suo senso più alto e nobile, partecipativo, privo di secondi fini, nell’interesse comune. L’esperienza di “Salviamo il paesaggio”, lentamente ma con grande determinazione, dopo un paio di anni ha già dato i primi frutti: il tema è entrato ufficialmente nelle stanze della politica, è stato posto all’attenzione dei Governi attraverso diversi disegni di legge, più o meno giusti, più o meno efficaci. Il solo fatto che l’attenzione per la tutela dei suoli fertili si stia diffondendo nelle istituzioni e nella società, tra le associazioni di categoria e anche tra i semplici cittadini, ci spinge a continuare la battaglia e a non moderare il nostro impegno.

Questo libro si rivela un altro strumento indispensabile per orientare la nostra azione, per renderla consapevole e competente. Ci richiama alle nostre responsabilità ma ci indica anche i modi per fare pressione, per agire concretamente. Fermare il cemento e il consumo di suolo fertile deve diventare una delle priorità di un Paese che si voglia chiamare civile, lo scempio è andato troppo avanti ed è ora di porre un limite, di prendere coscienza dei nostri limiti: il suolo non è l’unico ambito in cui li abbiamo superati, e nessuno di questi “campi” (agricoltura, economia, finanza, clima, ambiente, salute pubblica, omologazione culturale, tutela della biodiversità e delle bellezza) è disgiunto dagli altri.
Ci vuole una visione che potremmo definire “olistica”, un nuovo paradigma. Richiamarci all’azione – partendo dai sensi – è un richiamarci alla politica, a un nuovo modo di fare e pensare, che ci restituisca prima di tutto il nostro paesaggio interiore, la nostra identità. Ciò che probabilmente alla fine ci farà vivere un po’ più felici.

* fondatore di Slow Food

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