Ambiente
Il modello verticale
La costruzione di un grattacielo amplifica la rendita immobilitare. In Italia -tra il 2000 e il 2014- ne sono stati realizzati 28, poco meno dei trenta realizzati dal 1932. I casi “Porta Nuova” a Milano (l’intero comparto è stato recentemente ceduto alla Qatar Investment Authority) e “Intesa Sanpaolo” a Torino in una video-inchiesta di Altreconomia
Sono alte 80 e 112 metri le torri che compongono il "Bosco verticale" di Milano, e che due classi di un asilo sono venute ad ammirare in gita in via de Castilla, nel quartiere Isola, a due passi dalla stazione Fs Garibaldi. Dopo le fotografie, i bambini ascoltano la spiegazione dell’insegnante: “Noi il bosco lo abbiamo così” dice lei muovendo il braccio in orizzontale, “loro invece ce l’hanno così” aggiunge, e con la mano traccia una linea su fino all’ultimo piano del grattacielo più alto. Il “Bosco” è un marchio, rafforzato dal riconoscimento di “grattacielo più innovativo del mondo” -l’International Highrise Award– ricevuto nel novembre 2014 e promosso dalla città di Francoforte, dal Museo d’architettura tedesco (DAM) e dalla branca immobiliare della compagnia d’investimento DekaBank. Alla notizia del premio anche l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, volle unirsi alle celebrazioni del “Bosco” -progettato dallo studio di architettura di Stefano Boeri e sviluppato dalla succursale italiana del colosso immobiliare texano Hines, proprietario dell’intero complesso di residenze e uffici chiamato “Porta Nuova”, come la zona in cui ricade- esprimendo in una nota il suo “vivo compiacimento”.
All’epoca, però, nessuno ha evidenziato il nesso (del tutto legittimo) che legava il finanziatore del titolo -DekaBank- all’operatore immobiliare insignito –Hines, nella persona del suo amministratore delegato Manfredi Catella- e che prende il nome di Coima Srl. Fondata nel 1974 dalla famiglia Catella e presieduta dallo stesso Manfredi, Coima -oltre ad essersi occupata dell’arredo interno degli appartamenti del “Bosco”- è da sempre “specializzata nelle attività di gestione di patrimoni istituzionali e di co-investimento in operazioni immobiliari nel settore terziario e residenziale” per oltre 4 milioni di metri quadrati.
Compresi -come riporta la società sul proprio sito (www.coima.it)- quelli del “cliente” Deka Immobilien Investment (del gruppo DekaBank). Né Hines né Catella hanno voluto rispondere alle domande di Altreconomia, né hanno accettato di mostrare il piano economico e finanziario dell’operazione -irraggiungibile anche attraverso il Comune di Milano– e dei dati di vendita dello stock di uffici (217mila metri quadrati di superficie), residenze (68mila) e spazi commerciali (20mila) distribuiti tra l’area Garibaldi e quelle delle ex Varesine e dell’Isola. Dall’ufficio stampa si limitano a dar conto di un mero dato cumulativo sulle sole torri del “Bosco”, “vendute per oltre il 60%”.
Sono solo alcuni dettagli della rinnovata rincorsa urbana (e mediatica) al “modello verticale”, anche nel nostro Paese. Salvatore Settis, nel libro “Se Venezia muore” (Einaudi, 2014), l’ha misurata nel paragrafo intitolato “La retorica dei grattacieli”: sono 28 gli edifici di grande altezza ultimati tra il 2000 e il 2014 in Italia, poco meno dei 30 realizzati tra il 1932 (il primo è il Torrione Ina del Piacentini a Brescia, 57 metri) e l’inizio del nuovo millennio. “La tendenza a crescere in altezza è datata -ragiona Antonello Boatti, che insegna Urbanistica al Politecnico di Milano-. Poteva ritenersi un’avanguardia ai tempi di Chicago, nei primi del 1900, per tecnologia e tecnica costruttiva. Ma oggi non è che una contorsione estetica di un modello vecchio”.
Chi, ogni anno, conta i grattacieli è il “Council on Tall Buildings and Urban Habitat” di Chicago (www.ctbuh.org). Il 2014 ha battuto ogni record, con 97 edifici oltre i 200 metri d’altezza ultimati, il 60% dei quali solo in Cina (58), seguita dalle Filippine (4) e dal Qatar (4). L’Europa si è “fermata” a 3. Ed è questa nuova geografia dell’altezza a contraddistinguere quella che Settis definisce una pretesa “modernità d’accatto”. “È molto interessante notare come la rinascita e il rilancio del grattacielo non avvenga negli Stati Uniti, dove la forma è nata più di cento anni fa, -spiega Settis- ma in Cina e negli Emirati del Golfo Persico. Cioè in Paesi senza democrazia”.
Stefano Boeri, che abbiamo intervistato al 22esimo piano della torre più alta del “Bosco” affacciato sul “Parco di Porta Nuova” tutt’ora in costruzione e sul palazzo Unicredit di Cesar Pelli (217 metri), è convinto del contrario. Per lui, costruire in altezza è una sfida ineludibile: “Nei prossimi anni noi non ‘potremo’, ‘dovremo’ pensare a città che crescono in altezza, anche perché il tasso di consumo di suolo ha raggiunto livelli insopportabili”. L’appartamento (ancora vuoto) in cui stiamo videoregistrando, però, è sul mercato per un valore di 14mila euro al metro quadrato. Il prezzo medio dei locali in vendita nelle due torri è di 9mila euro. In una città che, stando alla ricerca “L’offerta e il fabbisogno di abitazioni al 2018 nella regione Lombardia” curata nel 2013 dal Dipartimento di architettura e pianificazione (Diap) del Politecnico di Milano, sarà chiamata tra tre anni ad affrontare un fabbisogno abitativo di sola edilizia pubblica residenziale “pura” (non convenzionata) pari a 238mila alloggi (vedi Ae 150). Servono case popolari, insomma, ma la “risposta” del modello verticale milanese ha assunto la forma di 10 alloggi di edilizia “convenzionata” compresi nel programma integrato d’intervento di via Confalonieri, dietro al “Bosco”. Una soluzione che non è accessibile a tutti: “In data 17 dicembre 2013 -si legge infatti nel bando redatto da Hines- il Comune di Milano […] ha approvato il piano finanziario finale fissando in 3.123,48 euro per metro quadrato il prezzo definitivo medio di prima cessione”.
L’equazione “grattacielo-tutela del suolo” lascia perplesso Paolo Pileri, professore di Pianificazione territoriale ambientale del Politecnico di Milano: “In questo momento le proposte di densificazione non sono ancora in grado di ‘spegnere’ i consumi di suolo che avvengono sui margini dei contesti urbani. Come Dipartimento -prosegue Pileri- ci siamo occupati di 15 Comuni della Brianza, e di parte dell’area metropoliana, accorgendoci che le aree edificabili previste nei piani di governo del territorio, che dipendono dalle previsioni insediative, sono completamente assorbibili già dalle cubature, dai volumi e dalle case che oggi sono sul mercato. La questione centrale quindi è la rigenerazione della città esistente, senza alcuna previsione di nuova volumetria, che andrebbe altrimenti a bloccare quel capitale già immobilizzato”.
Come fosse un derby dell’altezza, allo sviluppo milanese ha risposto anche Torino. Il 20 gennaio 2015 è stato infatti inaugurato il grattacielo di proprietà di Intesa Sanpaolo -che così ha risposto iconicamente a Unicredit-, progettato da Renzo Piano, costato 500 milioni di euro, sorto su un’area che fu delle Ferrovie dello Stato e alto 167,3 metri, poco meno della Mole Antonelliana. Chiamato, in teoria, ad accogliere gli uffici direzionali dell’istituto, l’edificio di Piano “ha interrotto il rapporto visuale e simbolico tra la città e le montagne -è l’opinione di Guido Montanari, che insegna Storia dell’architettura al Politecnico di Torino ed è stato tra le anime del comitato civico No Grat che dal 2005 ha contestato l’operazione immobiliare-. Il grattacielo non è un’innovazione tecnologica, specie se confrontato con la Mole, che è la più alta costruzione in laterizio mai fatta al mondo, sulla quale è andato a incidere”. Convinta del contrario, Intesa Sanpaolo ha deciso di “condividere” il patrimonio scientifico messo da parte in materia di edifici alti, finanziando per l’anno accademico 2013-2014 un master di secondo livello in “Progettazione e costruzione di edifici di grande altezza” del Politecnico di Torino. Il noto architetto Vittorio Gregotti, che nel 1995 disegnò il piano regolatore di Torino, sorride all’ipotesi di un conflitto d’interessi: “Intesa, avendolo commesso, ha interesse a far sì che il ‘peccato’ non diventi più tale ma una condizione condivisa”. Nel comitato scientifico del corso, oltre al “padre” del grattacielo Renzo Piano, sedeva anche il professor Andrea Rolando, del Dipartimento di architettura e studi urbani del Politecnico di Milano, che difende l’iniziativa didattica di Intesa: “La banca attraverso il master ha sicuramente raggiunto un obiettivo in termini di creazione di consenso -riconosce Rolando-, ma l’ha fatto perché fosse un’occasione per alcuni giovani per capire come questo edificio era realizzato e per far sì che venisse disseminata questa conoscenza, divenendo patrimonio di un’istituzione come il Politecnico”. Al centro direzionale di Intesa si affiancherà il nuovo palazzo della Regione Piemonte, ben più alto della Mole (209 metri) e progettato dall’architetto Massimiliano Fuksas.
A Venezia sembra del tutto tramontata l’ipotesi del grattacielo dello stilista Pierre Cardin (Palais Lumiére), che avrebbe dovuto puntare i piedi del suo robusto corpo alto 250 metri nell’area ex industriale di Marghera.
Il viaggio del “modello verticale” riporta a Milano, nello studio dell’architetto Jacopo Muzio, nei pressi dell’Arco della pace. Da una finestra si intravvede la Torre di proprietà di Allianz (207 metri), bandiera dell’operazione immobiliare “City-Life”, a Nord-ovest della città. Dovrebbe chiamarsi “il dritto” ma qui è amichevolmente detta il “materasso”.
“Il modello economico del grattacielo -ragiona Muzio- è quello del maggior sfruttamento possibile dell’area a disposizione, e cioè la massimizzazione del profitto. I prezzi al metro quadro, inoltre, creano il cosidettto fenomeno di ‘gentrificazione’, che avviene quando, mettendo sul mercato appartamenti che hanno una soglia accessibile solamente dal 5% della popolazione cittadina, si fa in modo che tutti gli altri siano portati a cercare casa altrove”. Il contrario del modello di città “come spazio di dialogo e non come fulcro gerarchizzato” che ha in mente Salvatore Settis.
Accanto a uno dei computer nello studio di Muzio c’è una fotografia incorniciata. Ritrae la “resistente” casa verde di via Bellani, rimasta alla base del nuovo palazzo della Regione Lombardia (161,3 metri), sorto su un vero bosco, posto accanto a via Melchiorre Gioia. I raggi del sole riflessi dalle vetrate a doppia pelle del grattacielo voluto fortemente dall’ex governatore Roberto Formigoni ne surriscaldavano le pareti, portando a fusione le tapparelle. Era arrivata la modernità. —