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Opinioni

Il manuale delle buone pratiche

Che chi immagina di uscire dalla crisi a partire dalle banche, da un miglioramento delle condizioni patrimoniali dei big del credito, e c’è chi pensa che sia necessario costruita "una nuova finanza pubblica e sociale". Tra questi, gli autori di "Come uscire dalla crisi", un volume collettivo per Edizioni Alegre.
La recensione del nostro Luca Martinelli è uscita su il manifesto il 26 marzo 2014

«Come si esce dalla crisi?» è una domanda, e la rispo­sta dipende dalla pro­spet­tiva di chi osserva. Alcuni stu­diosi misu­rano gli effetti delle crisi (eco­no­mica, sociale ed ambien­tale) sulle fami­glie ita­liane, forti di sta­ti­sti­che che infor­mano che il numero di quelle povere con­ti­nua a cre­scere (oltre il 14% della popo­la­zione, cioè oltre 8,5 milioni di per­sone, con altre 12 milioni «a rischio»), e che i gio­vani ita­liani hanno sem­pre meno pos­si­bi­lità di incon­trare un lavoro (la disoc­cu­pa­zione gio­va­nile è esplosa oltre il 40 per cento). Altri stu­diosi, invece, con­cen­trano l’attenzione sulla crisi finan­zia­ria del sistema del cre­dito, sco­prendo ban­che «in sof­fe­renza», nono­stante i cospi­cui aiuti rice­vuti in que­sti ultimi anni (su tutti, oltre mille miliardi di euro otte­nuti a un tasso irri­so­rio dalla Banca cen­trale euro­pea, di cui 255 toc­cati a quelle ita­liane), e una costante e con­ti­nua ero­sione degli impie­ghi, ovvero delle risorse che le ban­che pre­stano all’economia reale.
Tra que­sti ultimi stu­diosi e impren­di­tori appar­ten­gono gli uomini che hanno gover­nato e gover­nano il paese e l’economia ita­liana negli ultimi anni (da Ber­lu­sconi a Tre­monti, da Monti a Grilli, da Letta a Sac­co­manni, da Renzi a Padoan): sono quelli che imma­gi­nano di uscire dalla crisi a par­tire dalle ban­che, e si affan­nano per miglio­rare i ratio patri­mo­niali dei big del cre­dito a tutti i costi, anche un richiamo for­male della Com­mis­sione euro­pea, com’è avve­nuto nel caso della «riva­lu­ta­zione» delle quote della Banca d’Italia, che potrebbe gene­rare una plu­sva­lenza miliar­da­ria per i due primi gruppi ban­cari ita­liani, Uni­cre­dit e Intesa Sanpaolo.
Pre­fe­ri­scono, invece, la prima rispo­sta gli uomini e le donne che che da quasi vent’anni pro­muo­vono, ani­mano e coor­di­nano cam­pa­gne volte a garan­tite un con­trollo della finanza nazio­nale e inter­na­zio­nale, dalla «più antica» sulla Tobin Tax fino all’ultima «Per una nuova finanza pub­blica e sociale», che — com’è chiaro a chi segue la rubrica set­ti­ma­nale omo­nima su «il mani­fe­sto» — ha due focus sul debito degli enti locali e su Cassa depo­siti e pre­stiti. Si chia­mano — tra gli altri — Fran­ce­sco Gesualdi, Marco Ber­sani, Andrea Bara­nes, Anto­nio Tri­ca­rico, e oggi fir­mano insieme una valida (pic­cola) enci­clo­pe­dia delle ana­lisi pro­dotte dai movi­menti sulla finanza. Nel libro, pub­bli­cato da una casa edi­trice indi­pen­dente, le edi­zioni Ale­gre,Come si esce dalla crisinon è più una domanda, ma un’affermazione (pp. 256, euro 15).
 
Per­ché i pal­lia­tivi non ser­vono: è il momento di agire. Di navi­gare lascian­dosi gui­dare da alcune stelle polari. La prima è que­sta: «Se lo scopo delle pri­va­tiz­za­zioni (tutte le pri­va­tiz­za­zioni) era lo svi­luppo del mer­cato finan­zia­rio, a sua volta la pri­va­tiz­za­zione del set­tore ban­ca­rio era il pre­sup­po­sto stra­te­gico delle suc­ces­siva pri­va­tiz­za­zioni». L’Italia, in que­sto, si rivelò straor­di­na­ria­mente dispo­ni­bile. A ricor­dalo la Corte dei Conti in una rela­zione del 2010 che poneva l’accento sugli effetti di quasi vent’anni di pri­va­tiz­za­zioni. Come infatti spiega Ste­fano Risso nel suo con­tri­buto, nei primi anni Novanta «in Fran­cia la pro­prietà pub­blica del sistema ban­ca­rio passò dal 36%al 32%, in Ger­ma­nia dal 61,9% al 52% e in Ita­lia dal 74,5% allo 0%”».
La seconda stella polare è indi­cata da Tri­ca­rico: «Il primo — e unico per pro­fon­dità — mer­cato glo­bale creato negli ultimi 40 anni è stato quello dei capi­tali, in seguito alla libe­ra­liz­za­zione mone­ta­ria del 1971–73, quindi a quella dei movi­menti di capi­tale negli anni 80, quella ban­ca­ria e dei ser­vizi finan­ziari degli anni 90 e all’ingegneria finan­zia­ria negli ultimi 15 anni, che ha creato l’immenso sistema ban­ca­rio ombra».
Per ripren­dere il con­trollo del sistema del cre­dito e sot­trarlo all’eccesso di «finan­zia­riz­za­zione» degli ultimi anni, però, non basta la «sepa­ra­zione dei risparmi delle per­sone dalla finanza spe­cu­la­tiva». Lo Stato — sug­ge­ri­sce Roberto Errico, tra gli ani­ma­tori del «Forum per una nuova finan­zia pub­blica e sociale», ma anche dipen­dente del Monte dei Paschi di Siena — dovrebbe pren­dere misure che «supe­rino l’attuale spinta alla con­cen­tra­zione del set­tore finan­ziari (…), atti che com­pren­de­reb­bero innan­zi­tutto incen­tivi al ridi­men­sio­na­mento, alla rilo­ca­liz­za­zione ed al deli­sting (fuo­riu­scita) dai mer­cati di Borsa di alcuni isti­tuti di cre­dito, al fine di creare un gruppo omo­ge­neo di ban­che pic­cole e legate ai ter­ri­tori di provenienza».
È a par­tire da que­sto che sarà pos­si­bile discu­tere in modo serio di una pos­si­bile sepa­ra­zione tra ban­che com­mer­ciali ed atti­vità finan­zia­rie delle stesse. Che è solo uno degli anti­doti alla crisi, una delle (tante) misure neces­sa­rie per argi­nare la finanza — e le sue derive — che ven­gono pas­sate in ras­se­gna nei saggi rac­colti nel libro. Uno stru­mento, non il fine, che è spie­gare «come si esce dalla crisi» a par­tire dalla pra­ti­che (cam­pa­gne, azioni) messe in campo dalla società civile: dall’analisi del debito pub­blico, che in qual­che modo dev’essersi for­mato, e che uno Stato o un ente locale potrebbe rifiu­tarsi di pagare — almeno in parte -, ai limiti neces­sa­ria da porre ai para­disi fiscali e ai Paesi a fisca­lità age­vo­lata, pas­sando per una tassa sulle tran­sa­zioni finan­zia­rie, che renda meno attraenti que­sti «inve­sti­menti impro­dut­tivi». Un manuale, dun­que, per pas­sare dalla teo­ria all’azione, certi di una cosa: i soldi (per uscire dalla crisi) ci sono, per­ciò baste­rebbe la volontà poli­tica di indi­riz­zare al meglio il loro uso.
 

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