Opinioni
I numeri discriminano
Chi sostiene che la maggior parte dei crimini sia effettuata da stranieri fa un uso improprio delle statistiche. Che misurano il lavoro di polizia e magistratura, non la propensione al delitto dell’una o l’altra nazionalità Una delle più autorevoli studiose…
Chi sostiene che la maggior parte dei crimini sia effettuata da stranieri fa un uso improprio delle statistiche. Che misurano il lavoro di polizia e magistratura, non la propensione al delitto dell’una o l’altra nazionalità
Una delle più autorevoli studiose dell’uso penale delle statistiche, Marion Fitzgerald, in un saggio pubblicato sul più recente fascicolo di “Studi sulla questione criminale” (il n. 3 del 2008) avverte che “imboccare continuamente il pubblico” con dati presentati in forma grezza può far sviluppare un “razzismo statistico”. Infatti, evitando di introdurre la considerazione di fattori più complessi per la spiegazione del fenomeno, tanto interni quanto esterni al sistema della giustizia penale, si spinge, anche solo implicitamente, a convincersi che la spiegazione della sovrarappresentazione di alcune categorie “etniche” vada ricercata all’interno di quegli stessi gruppi, i quali oltretutto sono spesso ipotetici (che vuole dire, infatti: “i romeni”, o “gli albanesi”?).
Sui giornali, sondaggi sul senso di insicurezza e “statistiche sulla criminalità”, accompagnate da editoriali e interviste, ci mettono in guardia contro il dilagare della criminalità a opera di stranieri. Spesso vengono indicate le nazionalità più delinquenti.
In pochi però citano un’inchiesta seria, condotta dall’Osservatorio di Pavia, da cui risultava: (a) che il senso di insicurezza cresce proporzionalmente all’esposizione alla tv; (b) che la paura degli stranieri segue un ciclo dipendente dalle consultazioni elettorali: nella primavera dell’anno scorso aveva segnato un picco, seguito da un crollo nell’autunno; ora, di fronte a nuove elezioni in piena crisi economica, soccorrono il dibattito sulla legge sulla sicurezza, il ba-bau “invasione dal mare”, e la “propensione al crimine” dei romeni.
Quest’ultima espressione fa venire i brividi: si attribuisce un’inclinazione (dovuta al carattere? al sangue? a chissà quale storia che ha fatalmente segnato atteggiamenti e cambiamenti?) a una popolazione intera, sulla base di dati statistici agitati prima di essere compresi. Il che sorprende meno quando lo fanno giornalisti di spirito superficiale, come Corrado Augias o Beppe Severgnini; ma a volte parlano così cattedratici di scienze sociali, come Luca Ricolfi e Marzio Barbagli.
Costoro potrebbero imparare dalla criminologia che le statistiche riguardanti le denunce o le incarcerazioni non sono una misura della criminalità, in quanto prodotte dall’attività di diversi attori del controllo sociale. Reificare questi numeri, come se si trattasse di rappresentazioni veritiere di una realtà al netto da interventi, significa non interrogarsi sulle attività di polizia e della giustizia, e sulle loro probabili pratiche discriminatorie: tra colletti bianchi e ladruncoli, o tra cittadini e non-cittadini; ma anche tra un reato e l’altro.
A leggere le statistiche del ministero, e quelle di varie agenzie, risulta molto più facile essere denunciati per la vendita di una borsa con la griffe contraffatta che non per averla prodotta o per averla rubata. Per un venditore di accendini, la possibilità di essere denunciato è 16 volte più alta che per un ladro. E quando, sulla base di comunicati forniti dal ministero degli Interni, i quotidiani sparano a caratteri cubitali: “Furti, uno su tre è compiuto da stranieri”, dimenticano di dirci che non si tratta dei furti compiuti, e neppure di quelli denunciati, ma solo dei presunti autori denunciati; e che questi ultimi sono il 5% rispetto alle denunce per furto. Traduciamo: è stato compiuto un certo numero di furti, che non siamo in grado di quantificare; su 100 furti denunciati, la polizia ha denunciato 5 presunti autori; di costoro, il 33% per cento non ha il passaporto italiano: si tratta dell’1,66% dei furti denunciati. Che sappiamo, alla fine, sulla criminalità da questi numeri? Poco. Spiegazioni poco rigorose, ma di grande impatto propagandistico, come l’eccessiva presenza delle minoranze immigrate nelle statistiche criminali, servono a coprire altre considerazioni, che possono riguardare i fattori criminogeni presenti nella nostra società, o il cattivo funzionamento delle agenzie di criminalizzazione, o ancora la loro “propensione” (direbbe lo statistico bio-psicologista) a individuare e perseguire certi reati e non altri. Naturalmente, criminologi seri illustrerebbero non solo i delitti “dei deboli e dei potenti”, ma anche le politiche criminali e penali. Ma questo aiuterebbe a decostruire una tendenza che troppi politici europei stanno cercando di importare dagli Stati Uniti: la trasformazione dallo Stato del welfare allo Stato penale, il governo attraverso la paura.
* Giuseppe Faso, insegnante, è tra i fondatori della Rete antirazzista. Il suo ultimo libro è "Lessico del razzismo democratico" (Derive e approdi 2009)